Do you speak English? | Post comici, demenziali, ludicomaniacali | Andrea Occhi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Do you speak English?

Ora di Inglese. Si divertiva durante le lezioni. La prof. era carina e Giulio, nonostante i suoi undici anni, se ne era perdutamente innamorato. Alessandra era il suo nome, gli piaceva. Era una ragazza non ancora trentenne dal fascino strano, riccioli scuri e occhi chiarissimi. Gli ricordava, fisicamente, quell’attrice statunitense, divertente e simpatica, che conduceva un programma demenziale e prevedibile, la domenica sera sulla seconda rete RAI, che guardava prima di andare a letto. La osservava mentre fumava fuori dall’aula, tra un’ora e l’altra. Era proprio bella. Forse Alessandra si era accorta della sua ammirazione, della sua cotta. Ad ogni compito in classe l’esito era sempre “very good”, ma non studiava mai. Se si fosse impegnato un poco di più, anzi, se si fosse impegnato, avrebbe sicuramente ottenuto “excellent”. Lo rimproverava sempre per questo. Un sabato mattina assegnò alla classe il compito di scrivere una storia, un racconto traendolo dal titolo di una canzone, in inglese, famosa. Il tema era libero, non c’erano vincoli. Giulio era elettrizzato. Di fantasia ne possedeva a carriolate e così, la domenica mattina si mise in cucina, la TV accesa trasmetteva un episodio di “Ralph supermaxieroe”. Non pensò molto. La profonda e seria “Sunday bloody Sunday” divenne la scanzonata, senza irriverenza, “Sunday yellow Sunday”. Una domenica a Venezia invasa da turisti giapponesi che sparavano con le loro macchinette fotografiche ad ogni piccione di Piazza San Marco e ad ogni gondola. Il racconto piacque ad Alessandra che lo lesse alla classe. “Allora mi ama” - pensò Giulio, con orgoglio. Al liceo classico l’Inglese era quasi inesistente. La prof. aveva, comunque, un suo fascino, anche se più maledetto, più tenebroso di Alessandra. Angela era una figlia dei fiori; libera e aperta e con la sigaretta perennemente accesa, fuori della scuola. Aveva un neo appena sopra al labbro superiore, proprio sulla perfetta diagonale che univa l’angolo destro della bocca e la punta del naso. Quanto gli sarebbe piaciuto entrare in camera sua alla prossima gita scolastica. Durante una lezione, in lingua, gli chiese di rivolgersi ad una compagna e di domandarle se le piacesse il tè. Nella confusione generale, Giulio domandò: “Do you like me?” Paola rispose, quasi schifata, con un sonoro: “No!” Una fragorosa risata di scherno si sollevò dai banchi. Giulio non capì. Eppure la sua domanda era stata posta correttamente, così come la risposta. Quando vide che anche la prof. rideva divertita, capì di non avere udito l’articolo determinativo. All’Università sostenne l’esame di Inglese alla facoltà di Lettere. Un ambiente più libertino di quello a Giurisprudenza. Si fumava nelle aule anche durante gli esami e i convenevoli erano pochi. Una tipa, una biondina dall’aria slavata, ma carina, gli chiese, in italiano, erano le nove di un mattino di sole: “Vuoi un caffè?” Per nulla stupito, in considerazione delle circostanze, rispose, in italiano: “No, grazie, l’ho appena preso al bar”. Lei lo guardò con un’espressione scocciata e disse: “Devi tradurre!” Non aggiunse “cretino”, ma glielo si leggeva in faccia che stava pensando: "Translate, imbecile!" Alla fine sul libretto, un bel ventinove, anzi, twenty nine.
 

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