“La donna nei detti napoletani” | Recensioni | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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“La donna nei detti napoletani”

Magari fosse col Professore invece che col Colonnello
      La filosofia spicciola napoletana si identifica nelle migliaia di proverbi coniati dal popolo partenopeo nel corso dei secoli ed è scontato che la poliedrica dimensione del pianeta donna vi penetrasse con robusto spessore. Aristotele definiva i proverbi –“Frammenti di saggezza”. Nella Roma imperiale essi erano definiti “Granelli di sale” dal momento che il sale era sinonimo di sapienza.
      A Napoli il periodo più fecondo delle presenze proverbiali è collocato nel barocco seicento. I detti di quell’epoca sono impregnati con copiosa continuità di riferimenti alla donna in genere, alla moglie, all’amante nonché all’aspetto esteriore,  alla giovinezza, alla vecchiaia, alla religiosità. Il trattamento riservato al gentil sesso dalla paremiologia (studio dei proverbi) napoletana non è fra i più gratificanti: “Dice buono ‘o ditto ‘e vasce quanne parla de la donna, una bona nce ne steva e ‘a facettero Madonna ( Dice bene il detto popolare quando parla della donna, una buona ce n’era e la fecero Madonna).
      Tuttavia il fatto non deve meravigliare più di tanto dal momento che si deve tener conto sia del contesto temporale relativo alla strutturazione dei detti, che all’esasperato maschilismo tipico di una società contadina nella quale la donna aveva un ruolo fatalmente subalterno limitato alla procreazione e alle incombenze familiari: “Femmene, cane e baccalà, p’essere buone s’hanna mazzià, (Donne, cani e baccalà per essere saporiti si devono battere) “Femmene e criature hanna parlà quando piscia ‘a gallina” “Femmene senza piette e cavalle senza palle nun vanne nu treccalle.” ( Non valgono u soldo”
      Comunque dagli adagi nostrani traspare una certa benevolenza e una riguardosa considerazione circa la maternità, la fedeltà, la riservatezza. Valgono per tutti gli esempi d una donna “Canzone d’’a casa” capace di ottenere co “na mezza parola” quelllo che l’uomo no riesce ad avere con “ciente fatte”. ‘A femmena ‘e casa vale tant’oro quanto pesa!.”  La moglie, nei proverbi viene considerata alla fin fine un male necessario. Ella è da preferire addirittura  povera, brutta e anziana e non intrigante,  a ricca, bella e giovane tanto da creare grattacapi e non essere all’altezza del suo compito: “’A femmena ciarliera è na mala mugliera…”, “Femmene spenzierate gatta appriparata( Se la donna è sbadata dimenticherà il cibo a portata del gatto).
      L’aspetto esteriore e la gioventù si configurano scarsamente rilevanti ai fini dela cammino esistenziale. Ad essi la saggezza popolare non conferisce una valenza determinante La vecchiaia invece viene trattata con ingenerosa prevenzione e beffarda canzonatura:”A quinnece e vinte, ‘a vanno appriesse fino a dinto. A trente ha da ji essa appresse a’ gente.”  ( A quindici e ventanni la donna viene corteggiata e trenta deve corteggiare lei).
                                                                                   Antonio Cristoforo Rendola
 
 
 (Dedicato alle simpatiche dott.sse Rita, Rossana, Annamaria della Farmacia Sanitas di Qualiano (Na), dove, ahimè, so' buon cliente.

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