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Ah destino mio povero bistrattato destino mio

Stavolta non ho intenzione di scrivere un racconto per stupire o per narrare le gesta di qualche "nessuno" che potrebbe diventare famoso, ma lo voglio fare per avvisare chi legge.
Un avviso importante peraltro.
Non si può sfuggire al proprio destino.
E manco da moribondo deluso e sfaccendato mi viene da aggiungere.
Però tranquilli io non sono moribondo sono solo deluso e sfaccendato.
Cioè sono in crisi d'identità ed in riposo forzato e dunque ho il tempo per farlo.
E via con la narrazione dunque.
La storia incominciò ch'ero ancora bambino.
Non ascoltavo ragione alcuna infatti, io dovevo diventare un carabiniere e pertanto, non appena raggiunta l'età minima, presentai la domanda e sostenni le relative visite ed i normali test attitudinali.
Un orgoglio pazzesco la mattina in cui salpai con il traghetto per raggiungere la destinazione assegnatami.
Ah e nel frattempo continuai gli studi chiaramente.
Mossa astuta e parecchio utile in prospettiva carriera.
Ecco la carriera ovverosia colei che dalla gavetta mi consegnò al momento topico e fatidico.
Nel mezzo ne vidi tante comunque.
Il lavoro è quello che è poco da discutere.
Delitti, infamie ed atrocità di ogni genere e... ed un incontro particolare e ripetitivo.
Appunto il mio destino e con le sembianze d'un individuo mai abbastanza nel male che compiva compiutamente descritto.
Rozzo, ignorante, violento, sadico, perverso e personaggio per cui tutto il peggio era possibile, bastava andasse ad oliare i suoi scompensi umani.
Lo pizzicai la prima volta che regalava bustine d'eroina agli adolescenti fuori dalle scuole medie.
Lo scopo chiarissimo.
Procurarsi futuri e stabili clienti.
«Sei arrivato tardi» mi disse allorché lo conducemmo in carcere.
«Oramai il grosso del lavoro è fatto».
Pratica d'infame livello se permettete ed atta a gettare nel pericolo giovani virgulti e nella disperazione famiglie e famiglie.
L'incontrai nuovamente nel mentre risolvemmo un caso aberrante.
Era lui l'individuo abietto che seviziava vecchi indifesi ed impossibilitati a reagire o anche persone portatrici di gravi handicap, allo scopo di far loro rivelare dove nascondevano in casa i pochi averi.
Niente di più schifoso ancora mi permetto d'aggiungere.
«Pure stavolta arrivi tardi” mi lanciò con un'accidia impossibile da definire.
«Ho già messo da parte molto e l'avvocato lautamente retribuito lavora volentieri».
Ed io zitto ma dentro di me un vulcano in eruzione e grande difficoltà con l'auto controllo.
E picchiava pure la moglie, oltre che costringerla a prostituirsi e sui figli spegnava le sigarette in giro per il corpo o pestava le unghie col martello se piangevano o lamentavano.
Lurido verme.
Dispiace ma queste gesta mi coinvolsero troppo.
L'infanzia no.
E fu lì che iniziai a metterla sul personale ed a desiderarmi arma letale di mirata rivalsa a disposizione dei sottomessi.
In seguito l'arrestai colpevole d'un sequestro di persona con annessi e connessi maltrattamenti malvagi, violenza carnale multipla e ripetuta e relativo aborto finale.
Dovreste vedere com'era ridotta la signora.
La rabbia.
Avete presente percepire con tutto l'essere la rabbia?
Col cuore, col cervello, con il fegato e con la milza?
Eh avete presente?
Ecco io l'avrei esplosa disintegrandolo a mazzate immediatamente volendo rendere l'idea.
E godendone assai per la precisione.
Ed infine di nuovo lui bastardo fino al midollo quando, durante una rapina in banca, sparò a caso su dodici clienti e rigorosamente mirando parti del corpo sensibili però non mortali.
«Così tanto per divertirmi un po' a condannare anch'io» mi disse con il suo solito ghigno diabolico stampato.
Ovvio subì un'altra condanna se non che già si sapeva, esattamente pari a quelle precedenti, non l'avrebbe scontata intera in galera.
A questo punto giuro avevo oramai dentro il fuoco sacro di vederlo morto fra mille e mille e mille sofferenze ed urla di dolore.
La notte sognavo di strangolarlo e torturarlo con le mie mani ed avevo incubi dove mi cibavo del suo intestino e bevevo il suo sangue.
Di giorno m'immaginavo ed aspettavo con ansia dei suoi comportamenti che autorizzassero la mia pistola a scaricargli addosso il caricatore intero.
Ero bramoso di terminare per sempre un essere si indecente insomma se non che... se non che la morale del ruolo e la mia coscienza sociale me l'impedivano, nonostante ripeto l'avrei disintegrato con estrema gioia e secondo me con tutte le sacrosante ragioni del mondo.
Ed a queste regole rigorosamente m'adattavo.
Rigorosamente.
Rigorosamente.
Rigorosamente.
Bene tutto ciò era successo prima di quella fatidica mattina durante la quale l'allarme della caserma, suonando impazzito, mi spinse di corsa verso la gazzella che normalmente guidavo.
Nemmeno aspettai d'uscire dal cancello che la sirena già urlava.
«Vai, vai, vai» m'urlò il compagno nei pressi del dare la precedenza che immetteva nel traffico urbano.
Ed andai che lui abitualmente mi segnalava se avevo campo libero o meno.
Ed andai e boom una bicicletta sfuggita al suo occhio e centrata in pieno.
Cazzo, infinito sgomento.
Sentii distintamente il suono classico delle ruote che passando sopra un corpo lo maciullano e fanno cantare le ossa triturandole.
Mi fermai e scesi costernato e... e sorpresa sorpresa sorpresa era lui.
Il delinquente odiato a morte, ch'era venuto in caserma per firmare la libertà vigilata e c'era rimasto secco.
Pazzesco pensai.
Ero io e lo sapevo il vendicatore del caso.
Ero io ed avrei dovuto agire.
Troppo potente in me la voglia d'assassinarlo barbaramente e cancellandolo dal mondo applicare giustizia "divina".
Ero io e nessuno avrebbe potuto togliermi dal mio fato a parte me ovviamente che... che nel frangente mi faceva pena la sua povera fine accidentale.
E che adesso il mio destino si ritrova beffato dal suo.

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