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Il pomeriggio è troppo azzurro

Ma come a faccio a dire il fruscio del mio orecchio ronzante da labirintite cronica che coglie il concerto cacofonico del cortile multirazziale. Le innominabili urla discrete della vita a caso che nutre l’universum sine versum e sine sensum e poliglossolalico. Il sensibile della materia reattiva, l’urlo sperticato e perdigiorno dell’attimo scandaloso che si riversa indegno di ogni notizia da prima pagina. Grumi di memoria laida e dolorosa. Conati di vomito e un desiderio di gelato, magari una pralina al rhum. Ogni ora è l’ora del mistero. Ci vorrebbe un Cage o un Eno, un Mozart dodecafonico o un Bird. Elettroni e positroni che fluttuano fuori, endorfine che giocano a rimpiattino con la necrosi. Nihilum, la poltrona dove si stravacca Dio e lo contiene. I pensieri che diventano carne. E scompaiono per lasciare posto ad altri pensieri. Pozzanghera o marea incessante divino odore di fica misoginia misantropia, stracarico bazar di merci inevase. Tutta l’adrenalina del mondo, conficcata ossessivamente in vacanza oppiacea. Posaceneri che si riempiono come discarica presso fabbrica taylorista. Cacofonia di ritmi, preghiera e pornografia, disperazione e pienezza, alto voltaggio allo sterno che succede a palude oscura. Uno sciame cool di vespe da orecchiare. Normale giorno nel deserto…

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