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Malata d'amore

I
 
«Perché i ricordi», le disse, «non temono l'incombenza del tempo. Sono altezze piene, misure che assemblano la dimensione che si vorrebbe».
R. restò implicata nel profondo; perché continuare a confondersi, nonostante le parole venissero da così lontano?
«Posso non svelarmi per giorni, ma alla fine anche la goccia alla stessa foce fa ritorno».
Riposò gli occhi, distesa tra quei nastri che aumentavano i profili della stanza.
«Sei tranquilla, ora?»
S'immerse in un saldo respiro che accoglieva indelebili indizi.
 
 
II
 
«I musei sono luoghi di confessioni, non ti pare? Hai mai affidato a un quadro, o a una statua, qualcosa che non diresti a nessuno?»
R. ascoltò nuovamente la sua voce; i brusii intercettati dal nastro, sembravano gli stessi di una folla addentrata in una galleria d'arte.
«Adesso spengo; potrebbero portarmi fuori».
Prontamente R. venne richiamata dal responsabile alle consulenze turistiche.
«Di là c'è gente che vuole vedere i cataloghi; tutto bene?»
Le sembrò di si, nonostante non avesse alcun ritratto a cui manifestare il suo turbamento.
 
III
 
 
La cena con Giuliano si rivelò un previsto fallimento. R. aveva cercato, per non rivedersi da sola, di coinvolgere il suo uomo in un percorso di comprensioni.
«È rimasta dell'acqua calda, vero?», era tutto ciò che otteneva alla fine di ogni tentativo.
«Mi piaci quando mi guardi e non mi riconosci...», le ripeteva districato nel letto, mentre lei si accorgeva che la stanza andava rimpicciolendosi.
«Domani ho il turno di notte. L'apprendista si è ammalato...».
L'indomani R. trovò nuovi nastri poggiati nella cassetta della posta.
«Ricordi quella gita alla riserva? Ero venuto soltanto perché tu non mancavi. Ti sei
avvicinata a quel leccio, e hai letto per tutto il giorno Racconto di un naufrago, di G.G. Marquez. Lo comprai soltanto perché ti stava avvincendo.; ma non l'ho mai aperto...».
 
IV
 
«Apri? Possibile che salti la pausa-pranzo?»
Aveva trovato una foto in un diario trafugato da un armadio scolastico.
Non si era mai accorta di come i suoi occhi indugiassero in lei, proprio come uno sfondo che si adegua al soggetto svelato.
«Fai come vuoi. Ti lascio questo nastro sotto la porta. Lo hanno portato a me visto che tu non c'eri...».
R. uscì di fretta dall'archivio, domandando alla curatrice cos'altro avesse detto il ragazzo venuto a consegnarli.
«Ha detto di essere un estimatore di J.Steen. Perché queste domande?»
 
V
 
 
La mostra ebbe un seguito notevole di critici e amanti dell'arte. R. si ritrovò ben presto circondata da sostenitori del pittore olandese, provenienti da ogni parte del mondo.
«Questo è un dipinto del 1660. Si pensa che l'autore si sia ispirato alla “fama” di alcuni dottori, rei di fingere di guarire le malattie d'amore...».
Era quello il ritratto a cui R. stava parlando?
«Notate il pallore della ragazza, come sembri che stia guardando nel vuoto...».
R.percepì lei stessa annebbiata; avrebbe voluto appoggiarsi a una sedia, richiamare l'attenzione di un medico, qualora presente.
«Il quadro presenta dei generosi giochi di tinta, e...».
All'improvviso le si avvicinò un uomo che sembrò mirare soltanto lei.
«Rita? Mi riconosci?»
Rivedendolo capì che stava ritrovando lei stessa, forme ed emozioni tornate ad assumere un significato.
«Io...volevo risponderti, ma non sapevo come...».
F. la condusse via dal gruppo di visitatori.
«Da quanto sapevi che lavoravo qui dentro?», gli chiese, guardandolo con una luminosa flemma.
«Dal momento in cui ho deciso di aprire quel libro...», lui le disse, servendosi di un bacio che non cercava altre parole.
 
 

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