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Natale con un Angelo

Non volevo scrivere. Fino all’ultimo c’è stato un briciolo di speranza nel mio cuore.
Piccola, piccolissima speranza ma mi do   sempre  la possibilità di avere una porticina aperta e di ricredermi. Sto ora in cucina, fra i fornelli, guardo ogni tanto i tegami, non vorrei bruciare ciò che sta cuocendo, non ho una grande abilità culinaria da cinque anni a questa parte.
Sono molto distratta, incomincio un qualcosa, lascio, passo ad altro, lascio e ricomincio da capo, spesso c’è “un fil di fumo” che si sente per casa: qualcosa si è bruciato. Perciò oggi devo stare attenta, è Natale, Natale 2009, il quinto senza mio figlio.
Se ne è “andato” in una grigia “forse grigia, forse pioveva, forse nevicava” non ricordo, ricordo soltanto mio figlio.
Dal primo istante ho pensato e capito che Francesco, il suo andare, era una cosa solo mia, di mio marito e di mia figlia. Ma c’era tanta gente attorno. Gli amici di lui che si abbracciavano tra le lacrime, impotenti nella loro disperazione e vera sincerità. I parenti, gli zii costernati e forse anche un po’ addolorati. I cugini, un paio con sincero dolore, gli altri un po’ annoiati per aver rotto il loro tram tram.  
Mi sono all’attimo sentita incredula per tale partecipazione, specialmente, e onestamente, solamente da parte dei parenti e cugini. E’ stato soltanto un attimo di dovere da parte loro, ora mentre scrivo ne ho la più fervida certezza.
Il primo, il secondo e forse anche il terzo anniversario si sono ricordati di aver avuto un nipote e cugino e sono venuti alla sua commemorazione. Li ho ringraziati ancora incredula di tanta bontà. In cuor mio ho sempre creduto che Francesco fosse un ricordo, un amore soltanto mio, di mio marito e di mia figlia. I primi quattro Natali due fratelli di mio marito hanno creduto opportuno di averci al loro desco, di aiutarci ad avere un giorno differente, meno triste degli altri. Lo è stato. Ma mi sono trovata a disagio. Non c’era amore, solo un obbligo, una compassione. Ho visto veramente la realtà al quarto anniversario di mio figlio. Solo mio marito, mia figlia, io, gli amici di Francesco (i miei ragazzi), qualche mia amica (quelle non mi sono mai mancate) e basta. Zii, zie e cugini nemmeno l’ombra. Francesco l’hanno dimenticato in fretta e furia. Non ho mai preteso nulla da nessuno, ma una telefonata, un attimo di pensiero costa poco, e in quello veramente ci credevo. Ma non importa, si conferma sempre di più che mio figlio è un fatto nostro, puramente nostro e anche dei suoi amici, ma degli zii e cugini assolutamente no.
Ho spento una pentola e nonostante stia in cucina un leggero filo di fumo si è levato nell’aria, ma sono riuscita a salvare tutto o quasi. Non me la sento di avere qualcuno a pranzo il giorno di Natale, non riesco ad imbandire un tavolo e non vedere il volto di mio figlio. Il giorno di Natale no. Altri giorni si. Infatti gli inviti che mi sono stati fatti li ho sempre contraccambiati, non voglio essere un peso per nessuno.
Quest’anno tutti hanno “slittato”, con la speranza che qualcun altro si fosse fatto avanti. Ho avuto la conferma di quello che pensavo dal primo  istante dell’”andata”  di Francesco. Il loro è stato soltanto un dovere, un obbligo, una ipocrisia. Mi sono, ci siamo sentiti soltanto un pacco, una palla fra un passaggio di mani. Lo sapevo ma non volevo crederci. Ora ne ho la certezza.
Non ci sono più sentimenti in questo mondo. Non c’è amore verso il prossimo., il consumismo e l’egoismo hanno in mano tutto. Non son arrabbiata no, soltanto molto, ma molto delusa.
Ho negli occhi e nel cuore lo sguardo triste di mia figlia, il suo chiedermi di qualche telefonata, di qualche speranza. Non è per un invito al pranzo di Natale, no. E’ per la mancata certezza di un appoggio, di una spalla, per aver un sorriso, un po’ di sicurezza, un punto di riferimento per un oggi, un domani. Per non sentirsi soli.
Oggi abbiamo pranzato con il nostro Angelo

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