Scherzose presenze | Prosa e racconti | Ignazio Amico | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

Scherzose presenze

Quando, fresco di nomina, era arrivato in paese per cercare un alloggio dove trasferirsi con la propria famiglia, il maestro Felice Cannestraro, cui un sensale del posto aveva proposto di prendere in affitto una certa casa in zona piuttosto centrale, era stato tirato in disparte dal bidello della scuola, il quale gli aveva sussurrato in un orecchio: "professore, lasci perdere quella casa, ascolti uno che le potrebbe essere padre". Ma un po' perché il quartiere gli piaceva, un po' perché il prezzo dell'affitto era allettante, aveva stipulato regolare contratto di locazione per un anno, rinnovabile tacitamente alla scadenza. Gli aveva pure procurato alquanto fastidio che un semplice ausiliario della scuola si fosse presa la libertà di dargli consigli non richiesti su affari che non lo riguardavano.
Vincitore di un concorso a cattedra per l'insegnamento di ruolo nelle scuole elementari, traguardo raggiunto dopo ben nove anni di supplenze brevi svolte nella sua regione di origine, la Campania, Felice Cannestraro di Napoli, trentaduenne di gradevole presenza, affetto da leggera balbuzie, sposato da quattro anni, era stato destinato ad una scuola del mio paese.
L' impatto con la realtà locale fu davvero traumatico. Per lui abituato alla grande città, quel paese tanto vicino all'Africa non solo geograficamente, ma anche per le condizioni di vita che bene si potevano definire da terzo mondo, sembrava essere un castigo divino per l'espiazione di chissà quali colpe. Nessun albergo, solo bettole di infimo ordine e maleodoranti per consumare un pasto, assenza di ritrovi adatti al suo rango. Gli unici svaghi che l'ambiente offriva erano un cinema aperto solo la domenica, un paio di bar di cui uno possedeva un televisore ancora in bianco e nero ed una di quelle case che ora hanno l'eufemistico appellativo di "chiuse" ma che allora erano bene aperte e frequentate.
Il nostro Felice rischiò di cedere al più cupo sconforto: aveva atteso e vagheggiato per anni di raggiungere la sistemazione definitiva, di entrare nella sua aula, di sedersi alla sua cattedra, di avere una scolaresca propria, ma, ironia del destino, guarda un po' in che posto doveva capitare.
Pur tuttavia, con passare dei giorni, entrato nel vivo della propria attività educativa, incoraggiato dal direttore didattico e dai colleghi, che trovava invero di una cortesia ineccepibile, cominciò ad abituarsi alla nuova situazione.
Il parroco della chiesa che frequentava, al quale aveva aperto il cuore e chiesto aiuto per trovare un alloggio, gli aveva procurato una stanzetta presso una anziana vedova, che gli preparava anche un pasto caldo a pranzo e cena. Il tutto dietro compenso onesto e ragionevole.
Il pensiero costante era per la moglie, una mora attraente con due occhi grandi e seducenti, rimasta a Napoli e per la quale nutriva un grande affetto, reso ora infuocato dalla lontananza. Traeva un po' di conforto alla sua solitudine solo quando, la domenica mattina, la chiamava al telefono e ne riceveva il resoconto degli avvenimenti della settimana.
Ma questa situazione non poteva durare a lungo ed il nostro maestro, desideroso di riunire e godersi la famiglia, cominciò a darsi da fare per trovare una casa in affitto, dove stabilire la propria abitazione.
In mancanza di un'agenzia immobiliare, si rivolse ad un sensale, una di quelle persone che, in fatto di case e terreni ne sanno più di quanto il mestolo può saperne della pentola. Appena un paio di giorni e l'intermediario lo andò a trovare a scuola, proponendogli la locazione di un appartamento al primo piano, con ingresso indipendente, abbastanza ben messo ed arredato, di dimensioni ottime per le esigenze di una famiglia di due persone. La conversazione si svolse nell'androne del plesso scolastico, dove il bidello, dalla sua guardiola, quasi senza volerlo, ascoltò quanto bastava per capire che quel giovane maestro stava per cacciarsi in un grosso guaio. Si sentì così in dovere di dargli un sano e disinteressato consiglio, come anzi si è detto, ma non fu ascoltato.
Le vacanze di Natale di quell'anno, che Felice trascorse in famiglia a Napoli, furono tutto un fervore di preparativi per il trasferimento in Sicilia; pacchi, valige, scorte alimentari, tutto quanto potesse servire per la prima sistemazione erano pronti per il grande viaggio, che fu compiuto in treno, con la comodità che tale mezzo di locomozione poteva offrire nell'immediato dopo guerra.
Ma giunsero a destinazione e Carmela, moglie di Felice, rimase entusiasta della casa che da quel giorno sarebbe stata la sua. Era una donna semplice e pratica, ben forgiata dalla vita, vissuta fino al matrimonio in seno ad una famiglia di modesta estrazione, in un quartiere povero del capoluogo campano, il che le fu di grande aiuto per superare l'accoramento che il nuovo paese le procurava.
Per carità, nulla da lamentarsi del carattere della gente che incontrava. Appena i vicini di casa li videro arrivare a bordo della balilla scura che avevano noleggiato alla stazione ferroviaria di Agrigento, gli si fecero incontro dando loro il benvenuto, aiutandoli a scaricare i bagagli dalla vettura. Tutto questo sarebbe stato più che sufficiente a rassicurare Carmela su quella nuova destinazione, su quel paese che arrivando non le aveva dato una bella impressione, con le sue strade sconnesse, polverose e soprattutto tanto sporche, lo squallore di certe abitazioni, l'abbigliamento di molte persone, quei cattivi odori nell'aria..., se non avesse notato qualcosa che le procurava una certa inquietudine e disagio. Il sorriso di quelle brave persone che l'avevano accolta era strano, quasi affettato, sforzato; leggeva nei loro occhi un senso di strana commiserazione, di compatimento misto ad imbarazzo; avrebbe giurato che quella gente volesse dirle qualcosa ma non trovasse il coraggio di farlo, vuoi per non scoraggiare due forestieri appena arrivati, vuoi perché non c'era stato ancora manco il tempo di entrare in confidenza.
Sentiva che gli occhi di tutto il vicinato era puntati su di lei, da balconi e porte socchiusi facevano capolino donne curiose ed incredule, che ammiccavano tra loro con sguardi interrogativi e preoccupati. Carmela non capiva, come non afferrò il senso di una frase che una vecchietta, venuta loro incontro da una casa di fronte asciugandosi le mani nel lungo grembiule che le cingeva i fianchi, le disse con voce quasi tremante e gli occhi sbarrati ed impauriti: "acqua biniditta, jttati acqua biniditta e ca lu Signuri v'aiuta".
Appena aperto l'uscio della casa, che immetteva sul pianerottolo della scala, i due napoletani, che avevano già licenziato il tassista, si ritrovarono soli con i loro bagagli scaricati sul marciapiedi. Tutti si dileguarono frettolosamente, tornando alle loro faccende. "Gente discreta che ci vuole lasciare in pace " - pensò Felice - "E chi ci capisce niente?" mormorò un po' preoccupata e stizzita Carmela. Poi portarono dentro le loro masserizie e richiusero la porta, prendendo possesso della nuova casa.
Seguì una visita frettolosa all'appartamento,una grande camera da letto, vasta cucina e servizio, giusto un giro di orientamento anche per aprire qualche finestra e ventilare l'ambiente che sapeva di chiuso. Poi disfare le valige e riporre la roba in armadi e cassetti e mettere in moto il frigo, perché fosse pronto a ricevere le cibarie che andavano messe in fresco.
Stava già per imbrunire ed il successivo impegno della donna fu quello di preparare qualcosa di caldo per la cena. Ne avrebbe fatto a meno molto volentieri, tanta era la stanchezza che aveva accumulato in quel viaggio, aggravata dalla levataccia mattutina per andare a prendere il primo treno per la Sicilia, ma riteneva doveroso offrire al marito qualcosa di diverso dai secchi panini imbottiti che avevano consumato quel giorno.
Si recò pertanto in cucina con in mano diversi sacchi pieni di buone cose comprate a Napoli, utili per preparare una calda minestra. Notò con sollievo che il fornello a gas era già acceso ed una pentola mezzo piena di acqua vi stava poggiata a riscaldarsi.
La tavola era già apparecchiata con piatti, bicchieri e posate ben disposti su di un' allegra tovaglia pulita ed ancora con le pieghe della stiratura. Ringraziò in cuor suo il marito per la solerzia e precisione dimostrata, ma rimase anche alquanto meravigliata di quell'iniziativa da lui presa, cosa mai avvenuta in passato: "l'essersi gestito da se in questi mesi di solitudine - pensò - gli ha fatto bene".
Finalmente a tavola, di nuovo insieme, con la minestra assaporavano ora anche il calore domestico ed una intensa gioia che si esprimeva in uno scambio di sorrisi, di gesti affettuosi, di promettenti ammiccamenti.
Dopo la frugale cena, un po' per la stanchezza, un po' per il desiderio di continuare più comodamente le loro effusioni, si misero a letto, lasciando la tavola non sparecchiata.
Il sonno fu un ristoro, anche perché, al confronto del rumore della grande città da cui provenivano, qualche cigolio di carretto o il canto dei contadini mattinieri che si recavano in campagna, lungi dal disturbarli, ne favorivano la distensione ed il riposo.
Un raggio di sole filtrato attraverso le persiane svegliò Carmela che si ritrovò piena di energia e di buonumore, pronta a sbracciarsi per mettere in ordine la nuova casa. Una gran bella sorpresa le diede il buon giorno appena entrata nella cucina: la tavola era sparecchiata, le stoviglie lavate e riposte in ordine nella scansia, nemmeno una mollichina di pane sulla tovaglia ed al centro, in bella mostra, un mazzo di fiori freschi e profumati. Arguì che il suo Felice, per farle una sorpresa, si era alzato di buon'ora e senza farsene accorgere le aveva voluto dare la "buona levata" in quel primo risveglio nella nuova residenza, per poi rimettersi a letto a riprendere il suo sonno. Sorrise compiaciuta e commossa e non poté trattenersi dal lanciare un tenero sguardo verso il marito, che dormiva beato.
Ma all'improvviso, un rumore per lei alquanto familiare la distolse da queste riflessioni ed un intenso profumo di caffè si diffuse presto nell'aria: giratasi di scatto verso l'angolo cucina, vide sul fornello la sua caffettiera napoletana sprigionare i soavi vapori e, ai due lati del tavolo, due tazzine pronte a ricevere la nera bevanda.
Carmela per un attimo non capì più niente, poi si chiese se per caso non stesse sognando, si tastò il viso e le braccia dubitando della sua stessa identità; si senti invadere da vampate di calore, mentre un gelido freddo le attraversava la schiena. Indietreggiando senza il coraggio di
voltare le spalle a quel fornello, un nodo alla gola che le impediva di emettere un qualsivoglia gemito o suono, si portò verso il letto e scosse violentemente il marito dal sonno.
Svegliato di soprassalto, il povero Felice si trovò davanti la moglie con gli occhi sbarrati e pieni di terrore, il volto stravolto e pallido da fare impressione, incapace di parlare, il dito puntato in direzione della caffettiera che gorgogliava.
Ancora assonnato, non riusciva a capire dove fosse, cosa stesse succedendo, se doveva ridere, piangere, imprecare. Ci volle qualche minuto perché il poverino realizzasse nella mente che qualcosa di terribile stava accadendo in quella cucina e scalzo e barcollante vi si recò disponendo l'animo a chissà quale sciagura o terrificante visione. Esplorò ogni angolo, aprì sportelli, rovistò in ogni direzione, ma niente, non c'era assolutamente niente che giustificasse quel terrore ancora impresso sul volto di Carmela, pietrificata vicino al letto. Anzi tutto era in perfetto ordine, ogni cosa a suo posto, un invitante odore di caffè diffuso nell'aria, le tazzine pronte sulla tavola, in una c'erano persino i due consueti cucchiaini di zucchero che egli amava mettere, mentre alla moglie la bevanda piaceva amara. E poi l'allegria di quel mazzo di fiori... a proposito: chi li aveva portati a quell'ora del mattino? Cercò di rispondersi da solo, visto che la moglie quasi non dava segni di vita. La sera prima era sicuro che non c'erano, la stessa mattina era improbabile che Carmela, con tutto il lavoro che l'aspettava, si fosse presa la briga di uscire a cercare un fioraio aperto a quell'ora, in un paese che ancora non conosceva.
No, non ci arrivava da solo a darsi una spiegazione logica. Spento il fornello sotto la caffettiera già colma di caffè, si avvicinò alla moglie che lo guardava negli occhi con mille interrogativi. "Ma che cosa t'ha messo tanta paura? - le chiese con tono affettuoso e tranquillizzante - Non c'è proprio niente, ho guardato io. Mi vuoi dire cosa hai visto? " La donna, cui il tono della voce del marito ed ancora di più le sue mani fra i capelli in un gesto di tenera carezza stavano ridando un po' di calma, con un filo di voce ed un accenno di sorriso gli rispose: "Ma allora sei stato tu... ed io stupida che credevo...scusami, tesoro, sono propria una stupida". Felice non capiva a cosa lei si riferisse: era stato lui a fare cosa, se era stato strappato dal letto mentre beatamente dormiva? Prima di chiedere ulteriori spiegazioni, ritenne opportuno cercare di riaversi dopo quella sveglia violenta e di riordinare i pensieri, sorseggiando una buona tazza di caffè ed in questo trovò Carmela perfettamente d'accordo.
Un paio di caldi sorsi e Felice tornò sull'argomento: "Ed ora vuoi farmi capire cosa è successo
di tanto grave?" Con un po' di vergogna mista a risentimento lei si dolse: "A momenti mi facevi prendere un colpo: la cucina rassettata, la caffettiera a bollire sul fuoco... e poi anche i fiori...; per un momento ho creduto che in casa si fosse introdotto qualcuno... ed invece questo buontempone di marito vuole farmi le sorprese... e ti sei pure rimesso a letto e fingevi di dormire, mariuolo che non sei altro... a farmi venire un accidenti!"
A quelle parole il maestro sbiancò in viso, avvertì, una stretta al diaframma, un forte calore alla testa, un concitato pulsare alle tempia. Si alzò di scatto in piedi, sputò l'ultimo sorso di caffè che non aveva ancora trangugiato, come se in bocca avesse avvertito sapore di arsenico e scaraventò con violenza la tazzina sulla tavola. Carmela voleva dire che non era stata lei a darsi da fare in cucina quella mattina... credeva fosse stato lui... ma allora chi era stato? Chi c'era in casa, come era entrato? Mille domande frullavano nel suo cervello in un assillo senza posa, fra incredulità, stupore, incertezza, smarrimento... anche paura. Avanti e indietro per la stanza, con passo concitato, guardava quelle mura cercando una risposta che rimettesse al loro posto tutti le tessere di quel puzzle impazzito. Non voleva coinvolgere la moglie in questo guazzabuglio di pensieri che lo assillava: una spiegazione doveva esserci e toccava a lui trovarla alla svelta, anche per tranquillizzare quella poverina, che, a vederlo tanto agitato e pallido, aveva ripreso a tremare, avendo realizzato che non era stato Felice a prepararle quella sorpresa.
Fu messa in campo ogni ipotesi. Di sicuro non avevano subito alcun danno, anzi...a pensarci bene, chiunque fosse stato l'autore di quegli interventi nella cucina, doveva essere animato da buone intenzioni, doveva trattarsi di una persona gentile. Forse un uso locale, un bel gesto del padrone di casa, che avesse voluto dare loro il primo buon risveglio nella nuova casa... Ma non sarebbe stato strano oltre che illegale, introdursi furtivamente nell' abitazione, anche ad essere spinti da nobili propositi? No, non reggeva.
Felice stava passando ad esaminare altre ipotesi, quando fu scosso da un fischio prolungato e da un forte sferragliare di ruote, mentre un altoparlante annunciava il prossimo arrivo a Messina. Aprì gli occhi e tornò alla realtà: era sul treno che lo conduceva in Sicilia, aveva già raggiunto la città dello stretto, bisognava cambiare convoglio per Agrigento, era stato tutto un sogno, ma quanto strano...! Tanto più che, nel proseguo del viaggio verso la città dei templi, scambiando le sue impressioni con Carmela, con immenso stupore scopriva che anche lei, addormentatasi sul treno appena lasciato, aveva fatto lo stesso sogno, identico in tutti i particolari. Ma come poteva essere accaduto tutto ciò?
Il sollievo che i due poco prima avevano provato, nel constatare che quell'incubo era stato soltanto un sogno, svaniva di colpo, tornavano a non capire, ripiombavano in uno stato di ansiosa incertezza.
Per il resto del loro viaggio non proferirono parola, immersi com'erano nei loro inquieti pensieri.
Giunti ad Agrigento, chiamarono un taxi per farsi accompagnare al paese di destinazione e rimasero di sasso quando nel guidatore riconobbero senza dubbio alcuno la stessa persona incontrata nel sogno. Un'altra strana ed inquietante coincidenza che fece loro scambiare occhiate mute ma eloquenti.
Arrivarono infine davanti alla casa che doveva ospitarli e Carmela, quasi non credendo ai suoi occhi, riconobbe essere esattamente quella vista in sogno, sia all'esterno che all'interno. Sul tavolo della cucina, quel medesimo vaso di fiori, ma questa volta accompagnato da qualcosa che attirò la loro attenzione: una scatola di scarpe, sul cui coperchio era posata una busta da lettere ingiallita, senza indirizzo.
Superato il primo momento di titubanza e forse anche di timore, Felice aprì quella missiva e
lentamente, sforzandosi di decifrare le parole vergate in una scrittura elegante ma ormai desueta, lesse: " I padroni di questa casa dànno il benvenuto ai nuovi inquilini, ed offrono loro, in segno di simpatia, il contenuto di questa scatola. Si augurano che la convivenza sotto questo tetto sia di comune gradimento".
Nell'attimo preciso in cui Felice finì di leggere quel laconico messaggio, tutte le lampade della casa si accesero contemporaneamente, come pure una vecchia radio posata sul frigo, che a volume sostenuto intonò note di musica classica. Frastornato il maestro aprì la scatola con mani tremanti e rimase interdetto ed a bocca spalancata nel vederla colma di banconote di grosso taglio, nuove di zecca, raccolte in mazzetti come usano fare le Banche.
Fu solo allora che un terribile dubbio lo assalì, voleva non capire, allontanare dalla mente quel pensiero terribile, ma due più due cominciavano a fare quattro anche nella sua testa confusa e frastornata. Prima di arrendersi all'evidenza, volle controllare ogni angolo della casa, per escludere la presenza di qualcuno nascosto che stesse divertendosi alle loro spalle, ma non avendone trovata alcuna traccia, concluse di avere capito abbastanza e dovette farne parte con la moglie, balbettando un po' più del solito per la paura: "Qua ci sono gli spiriti, buoni quanto vuoi, ma spiriti, fantasmi,diavoli, hai capito Carmela? Ce ne dobbiamo andare di corsa, ora stesso, qui è pericoloso, andremo a passare la notte dalla signora che mi ha ospitato finora e domani ti riaccompagno a Napoli. Non c'è tempo da perdere, cara, mi dispiace, ma dobbiamo lasciare questo stramaledetto posto".
Carmela era terrificata, confusa, gridava parole prive di senso, quasi non trovava l'uscio per uscire in strada, trascinandosi le sue valige. Felice si affrettò a portare fuori tutto il resto delle loro cose, senza dimenticare la scatola con quel regalo tanto prezioso quanto insperato e misterioso. Infilato il piccolo tesoro in un sacco contenente libri, raggiunse la moglie in strada, con un palpito cardiaco che somigliava al galoppo di un cavallo. Fu allora che la vecchietta col grembiule, che avevano visto nel sogno, si affacciò all'uscio della sua casa e con la bocca sdentata gridò loro: "Acqua biniditta, vi l'avia dittu... acqua biniditta!"
Alla vedova, che li vide arrivare sconvolti e tremanti e che li accolse come una mamma, facendo di tutto per calmarli e metterli a loro agio, i due malcapitati raccontarono la loro avventura.
La signora li ascoltò con un malcelato sorrisetto, ma con tanta sincera partecipazione. Infine dovette ammettere che in quella casa qualcosa di strano doveva pur esserci, se nessuno era mai riuscito a trascorrervi più di una notte. Era da tempo immemorabile che il posto era circondato da
un'aria di mistero, fantasmi, demoni, strane presenze, chissà; fatto sta che nessuno del paese si sarebbe mai sognato di andarci ad abitare, nemmeno gratuitamente.
L'indomani, viaggio di ritorno. I coniugi avevano superato quei momenti di paura della sera prima, si sentivano più rasserenati, quasi in vena di scherzare sull'argomento, su quella incredibile vicenda che li aveva coinvolti e sconvolti e che avrebbero raccontato a parenti ed amici.
Provarono tanto sollievo nel ritrovarsi a Napoli, nel loro ambiente, anche se ripiombavano nei problemi di prima, la forzata separazione, la lontananza, le maggiori spese.... A proposito di spese, non era ormai giunto il momento di dare una sbirciatina a quella scatola piena di denaro? Entrambi erano impazienti di contarlo, di sapere a quanto ammontasse quella fortuna e fu con vera emozione che Felice tirò fuori dal suo sacco il contenitore e l'aprì sotto gli occhi attenti ed impazienti di Carmela. Ebbero un tuffo al cuore, si sentirono mancare, nemmeno la forza di emettere un grido, un lamento: la scatola non conteneva più banconote ma era colma di grossi gusci vuoti di lumache. Sopra era posato un biglietto con poche parole vergate con la stessa scrittura del messaggio precedente: " Chi disdegna la nostra amicizia non merita la nostra generosità".
I due capirono il senso di quelle parole, ma non si pentirono nemmeno un momento della loro decisione.
Felice, dopo tre anni di attesa, ottenne il trasferimento per ricongiungimento al coniuge, in un paesino vicino a Napoli. Gli capitò di raccontare la sua avventura in Sicilia in diverse occasioni, ma pochi prestarono attenzione alle sue parole, quasi nessuno ritenne credibile quella assurda vicenda.

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 4 utenti e 4792 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Ardoval
  • Bowil
  • Il Folletto
  • Antonio.T.