Il soffio scarlatto degli déi | Prosa e racconti | PeterManero | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il soffio scarlatto degli déi

“Influenzare qualcuno significa dargli la propria anima. Egli non pensa più i suoi pensieri naturali, non arde delle sue passioni naturali.”            Oscar Wilde

 
 

Un domestico in livrea si presentò entrando in un salone immenso, inchinandosi alla mercè di una donna seduta su di una poltrona, davanti ad un camino ardente il cui scoppiettio dei rami abbrustoliti rompeva il silenzio ivi.

<Contessa, la signorina Bouvèlle chiede udienza.>

La donna immersa nei suoi pensieri, si scosse:

<Ah, l’arredatrice! Falla entrare.>

Figlia di un pittore francese trasferitosi a Napoli sotto il regno di Murat, Scarlett Bouvèlle rappresentava quella bellezza mediterranea fresca e volitiva, ereditata per parte di madre: alta, snella, castana tendente al rossiccio, occhi d’un verde smeraldo, portava uno chignòn ben pettinato che finiva con due ciocche lucide che le scendevano in piccoli riccioli sulle guance. Aveva la bocca che pareva imbevuta, che in armonia alla denatura bianchissima, le donava un sorriso delicato.

<La tua presenza è irradiante, Scarlett. >

Lei timidamente abbassò gli occhi che si spensero all’istante.

Risollevò il capo evitando d’incontrare lo sguardo scrutatore della contessa.

<Ho portato con me il manufatto.> disse poi.

Prese l’involucro che aveva deposto il domestico e sciolse i legami pe consegnarlo fra le mani della donna, la quale tastò lungamente. Il suo aiutante stese il manufatto avvicinandosi ad una finestra.

<Verrebbe così…> motteggiò Scarlett raccogliendo la tenda in un fascio a sinistra.

La contessa si ravvivò facendo un gesto d’assenso con il capo.

<Fantastico, Scarlett! Puoi procedere. La bellezza dei tuoi occhi sono coinvolgenti.>

Ancora una volta chinò il capo, tornando alla velata aria malinconica.

Il domestico le offrì, su di un vassoio d’argento finemente cesellato, un calice empio.

<E’ vino di Borgogna.> le disse la contessa. <Bevi con calma, dammi cinque minuti per disimpegnarmi da una fastidiosa visita.>

Scarlett era rimasta con lo sguardo fisso verso il calice empio di nettare.

<Il soffio scarlatto degli dei!> mormorò fra sé.

Quella voce aveva mutato timbro, adesso era profonda e maschile.

<Conte Orazio Azzaretti, lei sì che è un intenditore.>

Era la voce del suo antico titolare, Cesare il sarto. Poteva contare, il conte, i suoi buoni quarant’anni, leggermente brizzolato.

<Il nero di Troia non smentisce la sua bontà!> rispose costui.

S’udì silenzio, poi alcuni passi, facendo la sua apparizione nella stanza, quella ch’era la sua postazione di lavoro.

Sorseggiava il vino mantenendolo fra le papille per qualche secondo, mandandolo poi giù.

<Il gusto e la sua bellezza. Il profumo della natura, quella che sboccia, si compie e muore portando con se i misteri di ogni cosa. Il nettare non è altro che la sconfitta della stessa, una somma aritmetica fra tutti gli elementi che la compongono: la vite, il frutto della natura, e che è la creazione di acqua, aria e il profumo del creato che si permea. Nulla avrebbe senza, da sola…>

La sua voce aveva una musicalità profonda e ogni qualvolta che si avvicinava a lei, quel suono diveniva un fluido che, spandendosi, la turbava. Aveva riempito il suo calice di vino e l’aveva avvicinato alla bocca di Scarlett.

<Percepisci il profumo, delicatissima fanciulla? Fusione perfetta dell’artista che ha fatto della natura il suo gioiello più bello.>

Senza rendersi conto, la bocca di Scarlett sorseggiò il vino.

<E come baciare l’apoteosi fulgente dell’amore, delicatissima fanciulla.>

Scarlett chiuse gli occhi lasciandosi condurre dalla sua voce come una figlia dalla mano di suo padre.

<Come unire due corpi in uno solo… la grande bellezza dell’amore…> suggì ancora < è il fiato del tuo uomo che desidera le tue virtù, come il nettare la percezione del gusto e il compimento dei sensi…>

Sorseggiò ancora, mentre una goccia di essenza le rigò il bel mento.

<Il soffio scarlatto degli dèi si sta inebriando della tua bellezza deificato dalla sua creazione…>

La bocca di lui bevve quella goccia, come l’assetato s’accinge alla fonte freschissima, chiudendo gli occhi per deliziarne l’ebbrezza fra il gusto del nettare e i sapori della bocca di lei, sorseggiò ancora del vino versandolo in quella di lei.

Le sue mani la sollevarono mentre il suo respiro s’effondeva in quello di lui.

Il compimento della natura si stava svelando in loro...

 

L’arrivo della contessa l’aveva riportata nella realtà, tutta racchiusa in un calice empio a metà.

<Ebbene, Scarlett? Non bevi?>

Scarlett prese il calice e annusò lungamente chiudendo gli occhi.

<Sono astemia, contessa. Ma adoro il suo profumo, inebriante profumo…>

S’alzò dalla poltrona e affermò:

<Non è Borgogna, contessa. E’ il soffio scarlatto degli dèi!>

La donna accennò ad un sorriso.

<Era un prodotto della vena creativa del mio defunto marito. Un grande esteta, il massimo cultore della bellezza, la cui arte l’ho solo compresa dopo la sua morte. Era un assiduo cliente del vecchio sarto, forse l’hai conosciuto, Scarlett: il conte Orazio Azzaretti!>

Scarlett, con il capo chino e il respiro sommesso, s’avvicinò alla porta e concluse:

<Forse, contessa!>

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