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Chi stabilisce il costo delle parole?

L’alba è oltre il pensiero di rivederti.
E’ gia nata altrove ed ha trovato il suo giorno, che ora continua.
Penso che rivederti oggi avrà il sapore dei panni stirati di fresco che indosso e l’amabilità del sognare un volo antico rinascere dentro un caffè.
 
Senza zucchero, perché la pancia… eh, sai com’è!
 
Mi chiederai di me, lo so, e se ancora scrivo qualcosa a qualcuno.
Ti risponderò che no, non scrivo a nessuno. Che la penna è solo uno sherpa e il foglio l’Himalaya intero: troppe soste per arrivare al cielo prima del gelo.
Abbasserò gli occhi sulla tua mano e continuerò dicendo che scrivere in fondo è lanciare un’esca al dolore e aspettare che abbocchi per tirarlo via dal mare di pena che pesa più di un oceano intero.
Seguirò le tue dita disegnare un sicuro sentiero nell’aria per sottrarsi alla futile carezza degli occhi e udrò, affondando l’orecchio nel sapore dell'aria, la tua voce ripetermi che son sempre un romantico chiodo.
Perché mai un chiodo? ripeterò incessante ai miei occhi, per i quali sceglierò l’espressione di un sogno svanito.
Non avendo risposta, muterò la domanda in incerto commento e così udrai una voce più flebile dirti che in fondo un chiodo regge qualcosa.
 
Intanto cammino, pur essendo più avanti di un’ora.
Lo so, non c’è gusto a piantare l’attesa, si raccoglie una messe di ansie, ma così ci si sente più vivi o almeno soltanto feriti. E prima dell’alba io dentro ero morto.
 
La strada diventa più facile: per andare non occorre fatica e il passo permette persino un rumore di vento.
 
Ah!, certo… Tu dirai al chiodo che regge qualcosa e frenando di poco la lingua colpirai appena sotto la cintola affermando che quel chiodo aveva anche una testa più dura.
 
Ancora il livore.
 
Eppure, in tanto sarcasmo, io ti ho amata. E tu hai sgretolato l’argine per contenerlo.
 
Solleverai la tazzina come su un altare. Le tue labbra avranno un fremito che era delle mie labbra fino a quando ho potuto baciarle. Non potrai parlare di noi, ma ti sfuggirà un piccolo grido eliso dal tuo bon-ton: accidenti come scotta la tazza! Aspetta, facciamo così… e prenderò una goccia di liquido caldo con la quale aspergerò il bordo bollente e sul quel velo poggerai la bocca con un gesto di fiaba. E il principe in me si risveglierà che già sperava.
 
Inutile. L’angoscia avrà il sopravvento, quando il piccolo oggetto rotondo, vuoto come sarà vuoto il mio sogno di quell’adesso, verrà spinto nascosto dalle tue mani piene di addio.
Un saluto ch’è un vecchio vestito dismesso.
Com’era quella frase sui vetri? Tua per sempre. La condensa si asciuga e la finestra lacrima le parole rimuovendo la promessa caduta.
 
Che me ne faccio, ti dirò, dopo un ridondante silenzio. Tienilo tu o buttalo altrove. Non posso toccarlo: non hanno spessore le anime d’oro svanite. E in quell’anello risiede una certezza ch’è morta. Dove vuoi che la metta? Dentro al taschino?
 
Avrai gli occhi abbassati: anche tu guarderai timorosa la nebbia evidente del non sarà più. Ma assunta la china, non si frena nessuna discesa e fino in fondo si sceglie cadere potendo rialzarsi, magari feriti, magari, magari...
 
L’addio… chi stabilisce il costo delle parole? Esiste un listino? Un ciao lo paghi un sorriso sincero o una malcelata noia e un arrivederci costa poco più? Ma un addio possiede in sé il valore di un naufragio ineluttabile quanto il Titanic e persino il suono apocalittico di un meteorite a caccia di pianeti, anche se ad udire lo schianto sei solo tu che subisci quell’urto. Un addio sigla la fine dell’età dell’oro. Il rimpasto di un’epoca rivoluzionaria è il tuo addio. No, non ci credo!, urlo alla folla di pensieri che si assiepa nella piazza degli occhi. Forse sei qui per una scialuppa, uno scudo stellare, una nuova epoca di conferme e la corsa a riaprire il tuo scrigno a questa ciurma di mani pirate che sono le mie aggrappate al tuo mi sono sbagliata… riproviamoci insieme. Morirei se solo fosse vero, ma spesso si muore per niente.
 
La speranza è un propellente che invola i miei passi e occlude la vista. La chiude all’attenzione più ovvia.
 
Attraverso al semaforo.
 
E’ un punto di giallo che appena mi frena e l’urlo del ferodo sui dischi il clacson le mie mani in avanti il metallo che schianta le costole il volo il rimbalzo la fitta il breve dolore il silenzio che uccide l’addio e annulla ogni speranza: è l’attimo in cui la vita perde i contorni e precipitano tutti gli anelli sconnessi dal cielo che non vedrò più.
 
Chissà se mi restituirai amore ora che non puoi sottrarmi la vita.
 
Ti alzerai passando dall’impazienza al sollievo senza chiederti perché non sono venuto e in un soffio quasi più libera dirai senza pena: mi ha reso le cose più facili.
 
Difatti! questa volta, il chiodo non tocca alla parete ma alla cassa...
 
piess: salvo errori e/o missioni o anonimato perseverante (nda).

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