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Figlia della selva

Mi narravi spesso di  luci incontrate in faggeta
nei tempi di passaggio, crepuscoli ed albe
tu che sapevi ascoltare come pochi altri il bosco
mentre coglievi lamponi o spiavi il lavoro dei  picchi
 
quante volte ti ho visto smettere scarpe e calze
e andare innanzi nel guazzo di bruma come spirito in fulve chiome
profumavi di felci e di resina , mani sporche e limpidi occhi
creatura indomita di confine tra selva e battuto sentiero
 
Poi, sei andata via.
Altra vita ti attendeva, vita lieta e lontana.
Un bacio e un sorriso, l’ultimo, come un frustolo di tramonto.
Una notte è scesa, senza stelle, fragorosa di vuoto silenzio.
 
Ho imparato negli anni a riempirlo con il volo delle ghiandaie
con l’impronta del grugno irsuto nel guazzo ombroso a metà del sentiero
ho trovato  piccole luci in luoghi vicini e in altri lontani
collegati tra loro da sentieri di vento sussurrati
 
nei tempi di passaggio
crepuscoli ed albe
In faggeta non ho visto mai luccicare i sorrisi che tu mi dicesti.
Ma ho trovato rugiade a mezzogiorno su felci baciate dal sole.
 
Così siedo su un ceppo e racconto dei tuoi sorrisi, seppur lontani.
Così narro del tuo andare, in altri boschi, tra altre genti.
E il cuore del bosco pulsa più lento.
Sorrisi spuntano, tra fragole e melissa.
 
Perché è il mio mestiere più antico
testimoniare di affetti mai sopiti.
 
Su ceppo seduto attendendo che torni
luce di verdi stelle.

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