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Il segno rimasto

 
 
Mi dici quindi di un covo. E indichi il tetto.
Penso che avrei dovuto darti più tempo
ma non sapevo se il tuo orologio
l’avrebbe scandito. Parlo della tua fronte
meridiana. Parlo degli occhi più frequenti dell’oro.
Parlo della traccia lasciata quando li posi.
Tutto quello che è possibile cambiare lascia un segno
dove poggia. Sia torace o altra superficie la base.
Per la Terra vale il principio che niente è fermo.
Ogni abbraccio ci ha divarigato più che le gampe.
In questo è evidente il raggiro della lingua: se io dovessi
pronunciare quanto scrivo non udresti che crolli.
Sono di terra e mi scioglie il mare.
                                                 Ti vedo seduta
sul delfino di marmo in piazza. Sei statuaria e palese.
Intanto mostri il seno nella foto. Ed io amo la foto.
Mostri la pelle con una magia di sali. Ed io amo il sale.
                                                  In questo momento,
più di ogni altro incanto, affermo di vederti nella baia.
Nella baia cerco il mondo passato come presente.
Tutto quello che poteva cambiare è cambiato. Ne cerco
i segni. Sveglio il mio doppio sangue costiero
- lì il normanno e lì il saraceno
partono dalla roccia e fanno per andare a fondo.
Si fermano. Devono fermarsi per scriverti ancora.
Eppure i ruderi dicono che l’uomo parla soltanto.
So che mentre mi apro almeno una ferita appare.
E da ogni ferita una nazione liquida si versa:
milioni di squame mutano ciò che può essere cambiato
ma anche lì un segno rimane nel punto in cui calchi
la mano. 
 

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