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Mulinava bufera nel petto

Io dicevo calore ma rispondeva male
così pensai a un tormento, mio, nello stomaco
una casa indigesta, primo, secondo piano 
capacità del particolare di demolire l’assoluto
 
-Di sotto Gabriele deciso sull’ Eden
tra i rami la colpa dei figli.-
 
Io dicevo scarto ma un albero rispondeva malvagità
Così aprì il costato. Vidi il dolore solido, nemmeno sembianze di uomo
Ombre e freddo danzare, scricchiolare di bacini casualmente.
 
C’era la crudeltà di mezzo, una macchia nell’energia, 
bolla nera che stampava manifesti e li diffondeva.
 
Io dicevo natura ma rispondeva una frusta, un disservizio, 
un godere bambino del piede su topo.
 
Così capii l’universo, compresi il senso nel ripiego di mano
valeva la pena sbattere il polpo sullo scoglio.
Un assalto di gabbiani ad un pasto di colombi  era bastato.
 
Era giusto, avremmo condiviso le ragioni dello tzunami e l’uragano 
si sarebbe arreso all’evidenza del girare la schiena.
Emergenza tranquilla nella mente. Naufragio borghese senza dignità.
 
 Trascorre la notte di un pasto 
qualcuno mescola formule per quadrare avvenire e tradimento
-E’ possibile l’onnipotenza se si guariscono le parole
 
Gli aguzzini pensano sempre al dopo\ alle statistiche dei piedi inchiodati
ma qui si spreme sangue di Cristo e con uno non c’è media che tenga.
 

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