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Free Lance

Arianna aveva vent’anni più di me quando ci presentarono, ed io ne avevo appena compiuti ventotto; ero sposato, con un figlio in arrivo. Ed ero innamorato di mia moglie.
L’avevo trovata piacente, di intelligenza brillante e molto femminile, nel senso che do io a quest’aggettivo: dotata cioè di una personalità che  immediatamente riusciva a sedurti.
Mia moglie, tornando a casa in macchina, aveva espresso su di lei un giudizio molto meno lusinghiero, più sintetico
“È una troia!”
“ In che senso?”
“Sparge l’urina ai piedi di qualunque maschio passabile che incontri”.
A presentarcela era stato Ugo, un pubblicitario che viveva e lavorava nella capitale, un free lance, come si dice oggi, cioè uno senza lavoro fisso, ma che a modo suo sbarcava benissimo il lunario vista la Maserati su cui andava in giro, la girandola di donne che lo attorniava e che, a qualunque festa tu andassi lui, o c’era, o arrivava per non perdersi la chiusura.
La incontrai la seconda volta, per caso, circa tre anni dopo, dentro la più rinomata e centrale bottega gastronomica di Parma.
Sollevò gli occhi dalle mani del bottegaio che stava adagiando le fette di culatello sulla velina sul piatto della bilancia per dirmi, dopo un’occhiata impercettibile, “ un bambino o una bambina?”
Sorrisi. “ Una bimba”.
Fuori dalla bottega feci un complimento al suo golfino arancione,che le disegnava perfettamente la bellezza del seno poi, sempre usando una cortesia formale, le domandai anche di Ugo. Avevo infatti avuto la netta impressione che facessero coppia quando li avevo incontrati.
“ Simpatico Ugo”, mi rispose con una risata aperta, “ ci siamo lasciati alla fine di quell’estate”.
Dopo una breve sospensione della frase aggiunse, come avesse ancora davanti a sé qualche immagine di quel distacco che non doveva esser stato troppo doloroso,  “come due ladri”.
E scappò via ridendo di nuovo.
In quel periodo stavo frequentando, a Parma, insieme ad alcuni colleghi, un corso di specializzazione che mi avrebbe tenuto occupato tutti i giorni dal lunedì al venerdì per circa tre mesi. Avendo libero solo il fine settimana, quelli come me, in auto o in treno, approfittavano del week end per raggiungere le rispettive fidanzate o le famiglie, mentre i celibi si sparpagliavano per la città nei due club privati frequentati esclusivamente dalle famiglie degli ufficiali superiori dell’Accademia, sapendo che lì, il sabato sera si dava, oltre una cena ricca di leccornie locali,  sempre un ballo.
Circoli incestuosi come altri, ragionavo dopo averne visti tanti, contento di non far più parte del progetto, aventi quale fine unico il riprodursi, senza apprezzabili evoluzionismi, di una classe dirigente con stipendi quasi da fame.
Se da una parte mi sentivo orgoglioso della mia ribellione, dall’altra però mi chiedevo sempre più spesso, ora, da grande, cosa volessi fare.
Prendere la decisione di staccarmi dall’Esercito, fare il Consulente indipendente per qualche Governo del Terzo Mondo, trasferirmi armi e bagagli? O cambiare radicalmente area di servizio?
In fondo una laurea ce l’avevo, e anche qualche discreta esperienza pratica.
A casa, alle tre del mattino del lunedì, facendomi la barba, ebbi coscienza che qualsiasi altra cosa avessi fatto, in qualunque altro settore fossi andato ad operare, se non avessi deciso diversamente, radicalmente, il mondo, comunque, avrebbe continuato a schiacciarmi,.
“Ti sembro un guerriero”? Domandai al Eliana dandole l’ultimo bacio a letto.
“ Sei il mio cucciolo”. Rispose mia moglie, illanguidita dalla passione delle due ore appena trascorse.
“Si, un cucciolo” continuavo a ripetermi traforando coi fari il buio senza dignità guerresca degli strapiombi appenninici.
 
continua
 

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