Il cielo è plumbeo. Calma. | Poesia | Scintilla Elis | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il cielo è plumbeo. Calma.

“Una donna

nel suo giardino

guarda il cielo

sotto il sole spento di Febbraio."

Torno in cucina.

Prendo la scatola

e la svuoto sul tavolino.

Metto le pillole

in cinque file da cinque.

Trenta, neanche tante.

Acqua e ingoio.

Una.

Ho così tanta calma addosso

che non riesco nemmeno a dormire. Due.

Sono tre ore che ho gli occhi chiusi

e fingo la morte.

Non so che fare di me.

Non so dove mettermi.

Dove portarmi.

Questo corpo da donna

m’intrappola e m’imprigiona.

 Tre, quattro.

Ho il terrore di svegliarmi, un giorno

mentre mi stavo toccando nel sonno. Cinque.

(Silenzio. Penso a cosa mi direi.)

 Sei.

La sesta non va giù.

Mi si incastra tra la bocca e la gola.

Tossisco

e vomito il nulla

sul pavimento.

Sette. Nausea da acqua.

Potrei finire, da sveglia

e dal falso

riportare un liquido vero, bagnato.

Godendo. Realmente di un sogno.

Otto.

Uccidendolo.

 Il pittore sogna che sul pennello

sbocci un fiore, ma se lo fa, un istante

ed è già appassito.

Le onde sbattono

sulle pareti dello stomaco. Nove. Dieci.

L’esistenza mi pesa.

Non erano noti casi di sovradosaggio da Sedatol.

Undici. Detesto l’idea

che qualcuno stia dentro di me

e mi guardi. Dodici, tredici.

O da fuori, la pelle. Quattordici.

Gli altri :

Cos’hai? -niente, cos’hai? -sono stanca

cos’è successo? -nulla, Quindici, sedici.

stai male? -no. Va tutto bene. Diciasette.

Non so parlare.

Non mi so esprimere, ma ho il controllo delle mani.

Diciotto, diciannove.

Vorrei solo averlo vicino, sentire il suo profumo, vorrei solo

poggiarmi sulla sua spalla.

Non importa una relazione.

Vorrei solo poggiarmi sulla sua spalla, adesso.

 Venti.

Perchè presto i ricordi

se ne andranno

e sarà lontana l’emozione

che mi faceva scoppiare i sorrisi.

Vorrei essere come una fenice

e rinascere bella dalle ceneri. Ventuno.

Ho bisogno di essere amata. Ventidue.

E quindi provare dolore.

Ho bisogno di essere sconvolta, ventitre, e, a mia volta

sconvolgere.

 Vedere che effetto fa

essere desiderio. Ventiquattro.

Amo tutto ciò che non esiste. Venticinque.

E se prende forma abbasso gli occhi. Ventisei.

E’ difforme. Scappo. Ventisette. Cambio.

 Il tempo non trascorre nè lentamente nè in fretta.

Ventotto. Sono abituata all’assenza.

A volte dimentico di respirare. Ventinove.

Segue la fame d’aria, che fischia, dentro questa gola

che a tratti si chiude. Trenta.

Vado in camera.

Ho una bella stanza, con due letti.

In uno dormo io

nell’altro veglia l’ansia.

Fuori, i balconi sono tristi.

 << Domani alle Otto sarò fuori di qua. >>

Ascolto, e la voce esce dal muro e lo crepa.

 Mi ci siedo davanti con le ginocchia a contrasto.

<< La scorsa volta persi una caterva di sangue

tentai di spararmi

dall’aria alla terra, a fittone. >>

 Il muro si gonfia e cede.

Non mi muovo.

 << Sporcai molto e non servì a niente. >>

Ad ogni parola

pezzi d’intonaco

a caduta sulle gambe

 ma lentamente

anche se più veloci delle mani

come piume soffiate

 dalla bocca di un cannone

a fiori accesi.

 << L’essere umano tende ad imprigionarsi

se cerca di scappare, mentre l’animale

si cattura in stato di libertà>>

Non c’è più luce.

<< Perchè fai quella faccia? >>

 e finalmente mi riconosco.

Sono io. Sono la terra, il tempo, sono la morte

e l’aria che mi blocca il respiro.

Sono la gabbia e l’abuso.

Sono la corona e abito le facce di quelli

che ci sputano sopra.

Sono il muro ed esisto

 in questa stanza

 anche priva d’anima.

Deja vù, di me

che sviene sul pavimento

mentre nell’aria

suona ancora l’eco

del tonfo di un corpo caduto

e mi viene da piangere

pensando

a questo sorriso idiota

che sembra sfrecciare sottovoce

su una strada di rabbia

mentre io

finalmente

 dormo

 e mi guardo.

 

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