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Il tempo non ha ombra (Cap. I)

I
 
 12 gennaio 2009
 
Andy Glover si svegliò sbadigliando pigramente poco dopo le sette. Come al solito. Il sapore dell’alcool gl’impastava la bocca in maniera fastidiosa, ma era il prezzo da pagare dopo una serata di bagordi. Continuava a stropicciare con le gambe il lenzuolo sotto il piumone, pur sapendo che non avrebbe potuto crogiolarsi ancora a lungo in quel caldo tepore. Scostò appena la tendina della finestra di fianco al letto e constatò come anche quella giornata sarebbe stata pessima. Erano mesi che il tempo non offriva altro che pioggia, neve e vento.
I pochi sprazzi di sole comparivano rapidi solo nelle ore centrali della giornata, per poi lasciare il posto al solito clima invernale assai meno gradevole, noioso e deprimente.
Quella mattina non sarebbe stata differente. Nonostante Andy si fosse alzato in orario, il suo fisiologico ritardo l’aveva costretto a una furibonda corsa contro il tempo. Le sue lezioni dovevano cominciare in perfetto orario come ogni giorno, il preside della Duncan University non avrebbe tollerato eccezioni neppure dopo una serata passata a sbronzarsi. Confuso dalla fretta e dal mal di testa post divertimento, Andy aveva dimenticato che i suoi alunni non sarebbero stati in aula per via di una lunga serie di scioperi ai quali avevano deciso di aderire.
Una volta in classe si era deciso a correggere le tesine consegnate quindici giorni prima dagli studenti del quinto anno. Poi, verso mezzogiorno, aveva fatto tappa con Sonia Bankètt, la collega docente di Archeologia Moderna del terzo anno, in un piccolo ristorante della zona situato poco distante dall’università. Un pretesto come un altro per Andy per saperne di più della vita privata di Sonia. Una donna che non passava mai inosservata, ma che soprattutto avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non essere considerata una come tante. Più grande di Andy di circa quattro anni ne dimostrava in realtà molti meno.
Il fisico mozzafiato unito al metro e ottanta d’altezza, eredità delle gare di nuoto dell’adolescenza, non lasciavano indifferenti gli uomini con cui aveva a che fare. A volte, guardandola dritto negli occhi grandi e scuri, Andy fantasticava in silenzio su come sarebbe stato averla come compagna di vita. E ogni volta che la sua fantasia cominciava a sbizzarrirsi, Andy percepiva nello sguardo di Sonia un enorme imbarazzo per quel suo insistente modo di fissarla, ma intuiva anche che la cosa non le dispiaceva. Più passavano i giorni, più lui si convinceva che presto o tardi sarebbe riuscito a conquistarla. Trascorsa la pausa pranzo entrambi erano tornati nelle rispettive aule, pur manifestandosi l’un l’altra il proposito d’uscire insieme una delle sere a venire. Mancavano ancora un paio d’ore al termine della giornata lavorativa e Andy rimase in aula a finire di correggere le tesine, in parte assorto nei pensieri di conquista di Sonia. Appena tornato a casa cominciò a pensare a un buon pretesto per portarla fuori a cena quella sera stessa. Sonia Bankètt era divenuto un pensiero assillante da quando lei era stata trasferita alla Duncan University. Del tutto assorto nelle sue riflessioni, verso le diciannove e trenta Andy udì squillare il telefono. Era disteso sulla poltrona del soggiorno, con una gamba stravaccata sul bracciolo e lo sguardo fisso nel vuoto.
“Ehilà, vecchio mio, come ti va? Tutto ok?” gli avevano detto in sordina dall’altro capo del telefono. Sulle prime Andy rimase spiazzato dalla familiarità del suo interlocutore. Quasi non si aspettasse quell’immediata confidenza.
Un istante dopo riconobbe la voce. Era quella di Andrew che lo cercava per avvertirlo che il tanto atteso poker slittato il sabato sera precedente si sarebbe tenuto quella sera stessa, lì da lui. Insieme a Tom e a Jimmy, Andrew era uno dei migliori amici di Andy Glover, sin dall’infanzia. Alla soglia dei suoi venticinque anni Andrew Alistone era riuscito a sposare Hellen Dunaway, una donna splendida e di rara intelligenza, la cui bellezza avrebbe senza dubbio potuto farla maritare a qualcuno assai meno burbero di lui. Sebbene in verità, Andrew fosse un grande cuore sotto una pelle da orso. Lui ed Hellen si erano comprati una fattoria non tanto grande e un po’ vecchiotta a nord-ovest della città di Los Angeles. Un posto lontano dal caotico centro metropolitano dove Andy al contrario aveva sempre vissuto sin dall’infanzia. Entrare nella loro casa e godere del calore profumato di legna bruciata che il camino in pietra rossa, posto al centro del soggiorno, non smetteva mai di emanare era un piacere senza eguali. Trasmetteva un senso di serenità e di pace del quale a volte lo stesso Andy, standosene da solo, la sera, davanti alla tivù nel suo appartamento, avvertiva con forza il bisogno.
“A proposito Andy, stasera il whisky tocca a te, non dimenticarlo!” gli aveva ripetuto Andrew prima di salutarlo. E quella sera Andy Glover avrebbe mantenuto il suo impegno, portando la bottiglia di Jack Daniels che teneva compagnia ai quattro durante le ore di poker. Nessuno di loro sarebbe più riuscito a fare a meno di una così cattiva e dannosa abitudine. Nonostante i buoni propositi Andy finì per collezionare l’ennesimo pesante ritardo, giungendo a casa di Andrew circa un’ora più tardi del previsto. Il vero problema con cui però lui e gli altri dovettero presto confrontarsi fu l’assenza di Hellen. La quale di solito, a ogni serata di poker, usava preparare grandi tramezzini al salmone e ottimi panini alla pancetta scottati sulla brace. Quest’ultimo era uno dei piatti per cui Andy avrebbe fatto carte false. Quella sera purtroppo, Hellen era uscita con dei colleghi di lavoro per un’importante cena d’affari e nessuno dei presenti avrebbe saputo come sostituirla. L’unica soluzione restava quella di un sano e dietetico digiuno, reso meno triste solo da qualche patatina e del burro di arachidi, così da evitare di prendersi una bella sbornia. Il poker si concluse con un risultato del tutto inatteso e Andy non poté che sentirsi molto soddisfatto di se stesso per i sei piatti consecutivi con cui riuscì a portarsi a casa un bottino di circa trecentocinquanta dollari, centesimo più, centesimo meno.
Come ogni volta che i quattro giocavano a carte, il tempo era volato. Presi dal gioco nessuno di loro si era accorto di quanto tardi si fosse fatto. L’orologio a cucù appeso in soggiorno segnava le due e cinquanta esatte quando decisero di abbandonare il tavolo verde. Era per tutti giunta l’ora di salutarsi e tornare a casa. Si diedero appuntamento per il cinema di metà settimana, dopodiché Andy, stanco ma soddisfatto, imboccò la via del ritorno.

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