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La casa

 

 

Di che cosa è composta una casa? Mattoni, pietre e intonaco, infissi, tubature e ricordi, molti ricordi. Ne sono zeppe le camere, le scale e le fondamenta.

- Guarda, hanno buttato giù la casa!

Sposto lo sguardo, là, oltre le costruzioni. Un alto cumulo di macerie ricopre l’intero perimetro.

Allora, colpito dai ricordi, il tempo compie un balzo all’indietro.

 

York, il pastore tedesco, è vicino al portone di legno che attende accucciato il suo padrone. Ed è nel preciso istante in cui drizza le orecchie e punta il muso, che avverto il caratteristico rumore della moto del signor Piero che torna a casa. Affascinato come solo un bambino di sei anni può essere, osservo il disco del volano che gira, gira come la manovella dell’affettatrice del salumiere, quello che ha il negozio lungo la via.

 

In punta dei miei piccoli piedi mi sporgo sulla soglia del portone e osservo i cumuli di neve sciogliersi lentamente al sole, ai lati della strada, certo che mi terranno compagnia sino a primavera inoltrata, quando potrò finalmente sdraiarmi a faccia in su, sulla panchina di pietra e guardare le foglie del grande nespolo che si perdono contro l’azzurro del cielo, mentre gonfie e ignare formiche camminano sulle lastre del marciapiede, serpeggiando tra i rari denti di leone cresciuti nelle connessioni delle pietre.

 

Salgo tre rampe di scale. Supero il pianerottolo con il vecchio gabinetto, gelido per gli spifferi e, aperta la porta dalla lucida targhetta in ottone, mi ritrovo nella penombra delle camere. Tra le persiane accostate si insinuano i rumori della casa. Una radio diffonde una canzone latina. Sale dal cortile il cicaleccio delle donne che cuciono all’ombra del nespolo. Il bucato steso sui balconi ondeggia pigramente all’aria, poi sento la voce di mia madre che mi chiama. Allora scendo veloce le scale e le corro incontro nel cortile.

 

Quando hanno demolito la casa? Ieri sera, immobile, brillava ancora sotto i raggi della luna. C’era una strana calma nell’aria e i tetti delle case sembravano vibrare avvolti da un pallido alone.

I riflessi delle luci tagliavano la notte. I profili degli edifici sembravano disegnati su una lavagna con un sottile gessetto bianco.

Mi era parso, in quel panorama stregato, di intravedere solo per un istante, stagliarsi contro il cielo i capannoni della vecchia segheria, abbattuti ormai da numerosi anni. Vedendo, al loro fianco, crescere la mole della vecchia chiesa, con il suo ampio tamburo circolare, demolita anch’essa per lasciare spazio ad una piccola piazza.

I loro profili vibravano nell’aria. Quell’angolo fantasma di città si era rianimato, in un istante, per salutare una vecchia amica, e tutto vibrava, vibrava.

 

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