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The Kingdom of Hora - cap.1 - Mr.Fato

In un mondo professato dalle antiche scritture, poco dopo che la parola stessa nascesse dall'Alba dei tempi, il cielo era eretto sopra un Anello, creato da Elueth dall'aulico Elue, "eterna luce", dio dei cieli, della pace e della luce che sotto di essi creò due terre. L'Anello conferiva ai mondi, la luce e l'oscurità e da questi il mattino e la notte.  L'Anello del Tempo era chiamato, situato oltre i cieli. Sotto di essi il dio creò Eah, nella nostra lingua, Lucem , il pianeta su cui si narra furono poi instaurati i Figli di Elueth. Egli genero' poi due razze e li trasferì in due rispettive terre, quali Selfigor agli Uomini e Lauthien agli Auliel. Gli Uomini, secondogeniti del Signore dei Cieli, erano mortali, seppur donati della capacità di morire e dopo la morte, di essere accolti nella luce di Elueth, su una catena montuosa che poteva essere intravista dalla città sospesa di Lothiel, dall'aulico Lot e cioè "cristallo". Questo monte era chiamato da tutti, il Monte Alto o Monte della Luce, situato ad ovest di Lothiel. In esso si diceva dimorasse la benedizione del il Signore della Luce, il dio in persona, e che quando creò le due razze recitò così il rituale:
"Per tutte le Ere, ogni primogenito abbraccia la mia grazia più solenne, mentre ogni secondo, tre parole e sarà salvato."
Le tre parole a cui Esso si riferiva, erano Itel, Sirus e Iteleth, che nella lingua nostra significano rispettivamente Io, Sono, Voi. 
Con queste parole gli Uomini furono creati per secondi, secondo l'antica magia del rituale della luce. Erano eccellenti guerrieri e mastri di ogni genere, fabbricanti d'armi e cavalieri, ma non possedevano alcuna magia, se non la volontà di piegare il proprio destino a loro stessi con le proprie azioni.
Per primi invece, gli Auliel. Erano l'evoluzione degli Elfi per mezzo dell'idea del Creatore, la quale prefiggeva una rinascita degli Elfi tramite nuova forma. Gli stessi Elfi che dopo la Grande Eruzione del vulcano Volge della terza era furono sterminati completamente. Questi Auliel, furono, per propria decisione, disgregati in tre popoli. A quel tempo gli stessi, stavano cominciando ad imparare le prime parole di quel che poi divenne la loro lingua, l'Aulico. Il primo popolo fu Thatelet, dall'Aulico, Thatel che significava "oscurità", gli Auliel del nord o Auliel oscuri di Almon, la catena montuosa sui cui essi nacquero e si ritrovarono, situata ad est di Lothiel. Il secondo fu Aulevin, "verde" in aulico, gli Auliel dell'ovest, e chiamati Nomail (Silvani), perché amavano tutto ciò che era verde o vegetale, come le foreste, gli alberi e la natura. Ed il terzo popolo, il primo a stabilirsi nelle zone del Telluen, nel Nord di Lauthien, i Nuruen, che significa "bello" gli Auliel che dimoravano nella città di Lothiel.
Si dice che quando nacquero gli Auliel, la luce del sole risplendette ovunque e penetrante, ed attraverso tutte le cose, e che si insinuasse attraverso i loro occhi fino all'anima di chi, appena nato, era propenso alla magia e alle Arti Sovrane.
Le Arti Sovrane erano arti con cui gli Auliel si dilettavano per ampliare le proprie conoscenze, quali:-l'arte della magia, l'arte della scrittura e l'arte dell'oratoria-.
Tali arti furono tramandate nascita dopo nascite per secoli e secoli avvenire.
Essi erano tutti fisicamente alti, ed avevano i capelli argentati, le orecchie ricurve a se stesse verso l'alto e il loro potere era concentrato negli occhi, infatti quando usavano la magia, essi s'illuminavano di blu e nella notte risplendevano di bianco. Erano colti e spiritualmente elevati nella conoscenza del divino Elueth. Imparavano a leggere e scrivere a soli 2 anni, e a pregare il divino all'età di 3 anni, per poi vivere fino alla veneranda età di 3000 anni. Ed essendo immortali, per merito di Elueth che concesse loro questo grande dono, potevano essere uccisi solo da una magia altrettanto potente alla loro, o dalle armi magiche e dal deterioramento della loro luce interiore, attraverso il tempo.
La luce interiore, in aulico, Eotel, era lo spirito dell'Auliel. Consentiva loro di provare qualsiasi tipo di emozione, come fosse l'anima degli umani. 
Ma con le emozioni malvagie, essa mutava, divenendo aspra, cupa e la consumava accorciando il tempo terreno degli Auliel fino al suo esaurimento.
Essi avevano capacità telecinetiche e sapevano manipolare la magia a loro piacimento, ed eccellenti manifatturieri. La primogenita specie, gli Auliel vivevano a Lothiel, una cittadella bianca, l'unica vera città sopravvissuta alla furia della Signora Pallida, sospesa in aria dalla magia elfica e nanica, era al centro degli anelli celesti che il dio aveva creato attorno la costruzione, all'Alba dei tempi. Gli anelli, si vociferava, se messi in una particolare condizione, fossero un portale per l'Eden della Luce, il regno del Signore della Luce, Elueth. 
La Cittadella era edificata in due anelli, uno di sopra e l'altro di sotto e fra due fiumi, cadenti dalle estremità dei bordi della costruzione, che incrociandosi formavano una croce all'inverso per poi scivolare nel vuoto. Al centro esatto della croce, dominava la Torre d'Oro Rosso da cui si vedeva l'intera Cittadella. Al suo interno c'era il sacro tempio del Signore della Luce, non che la Sala del Re di Lothiel, Mirael figlio di Mirul, terzo Re della cittadella. Dinnanzi al tempio del Signore della luce, era situato un tempio più piccolo, pieno di merli e strani manufatti elfici delle Antiche Ere, quando gli elfi costruirono la cittadella sospesa di Lothiel. Il piccolo tempio, al centro della città, fu restaurato dagli stessi Auliel poco dopo la Seconda Era del Novo Regno, e destinato ad un piccolo dio minore, Bonumel, dio della bellezza e del materiale, adorato dai fedeli Auliel che ambivano alla supremazia del bello sulle cose spirituali del mondo.
Sotto la croce invece si concentrava la piazza d'Acqua, un cerchio concentrico d'acqua che lievitava a getti dall'intera struttura per irrigarne gli immensi giardini dell'anello sottostante. Ogni giardino possedeva milioni di varietà di piante, tra cui i fiori e tutti con colori differenti: turchesi cielo, rossi ardenti, verdi smeraldo; e di ogni forma: piccoli rotondi, medi triangolari e giganti semicerchi. Quei fiori erano l'espressione dell'eterna bellezza di Lot, che era immersa nelle fragranze più semplici e delicate o più forti e dominanti che ogni fiore offriva, appena veniva colto, come l'ebbrezza marina di un particolare tipo di giglio, chiamato Nectun, dall'aulico Nec, e cioè "sotto terra". Era un fiore blu rampicante che cresceva dal sottosuolo, vicino al prato di una casa azzurra disposta poco lontano dal centro, appena qualche passo in più dalla periferia della Cittadella. L'abitazione aveva piccole finestre quadrate, il tetto circolare ed ovviamente un immenso giardino, abitato da specie animali particolarmente docili e di piccole dimensioni. Era una casetta Auliel, non una semplice casa, infatti c'era una camera che aveva la facoltà di mutare magicamente in qualsiasi camera l'Auliel volesse trasformarla. 
La porta all'entrata era quadrata, e di un rosso acceso, come le finestre che erano piccole e sottili rettangoli, da cui, per magia la luce filtrava perfettamente, illuminando tutto il primo piano dell'abitazione. Dopo l'ingresso c'era un corridoio, proprio nel mezzo, che portava, tramite piccoli cunicoli, alle varie stanze della casa. L'essere che ci abitava, a quanto pare, aveva il vizio di lasciare la roba in giro per le stanze. C'erano abiti ovunque, cappelli, camicie, scarpe e gli shanish - erano abiti nuziali Auliel, usati per il primo matrimonio, si perché gli Auliel potevano sposarsi più volte con la stessa donna, e più volte rafforzare il legame sotto la guida del dio Elueth. I mobili erano disposti a casaccio lungo il corridoio circolare che fungeva come stanza grande della dimora, oltre che la stanza da pranzo usata per le feste. 
L'Auliel in questione, era più basso degli altri della sua razza, quasi all'altezza media di un essere umano ed aveva le orecchie più ricurve e allo stesso tempo più lunghe, i capelli più fini di colore argenteo più chiaro, i piedi più affusolati e gli occhi più lucidi e del blu più intenso. La carnagione era simile a quella umana, ma più chiara, sembrava che nemmeno un raggio di sole l'avesse mai sfiorata. Le ciglia erano lunghe, il naso a punta e le guance più rosee dei palmi che sfregava per evocare la sua magia, o magari per le faccende puntuali di casa. Si perché questo Auliel, aveva la fissa per le faccende di casa, doveva essere tutto in perfetto ordine, tranne i vestiti come si è già enunciato. Per cui puntualmente usava la magia per sistemare la casa. Ma quel giorno, volendo innaffiare il giardino pronunciò "Ashin" nel nostro linguaggio "Acqua" e dalle sue dita si formò un drago d'acqua che si riversò, per sbaglio, nei corridoi dell'abitazione spazzando via ogni cosa che potesse intralciarlo. Peccato che poco prima di invocare l'acqua, inciampò su un secchio davanti a sé, sviando il drago, che distrusse la sua collezione di mobili antichi e di valore. Questo Auliel aveva la bellezza di 400 anni, ed ogni tanto perdeva qualche colpo, s'intende colpo di magia. L'abitante di Lothiel, si mise le mani ai capelli quando vide la mobilia superstite colma d'acqua e fradicia. Prese una pezza e fece alla vecchia maniera, asciugando e sfregando con tutta la forza che aveva in corpo per cercare di recuperare qualche pezzo raro. All'improvviso tre colpi si udirono sbattere lentamente alla porta sull'ingresso principale, mentre l'Auliel era indaffarato nell'asciugare il pavimento. Il mezz'elfo nano si alzò, andò ad aprire la porta, quando un piccolo gnomo spuntò davanti a lui, sfregando il suo nasino contro il bastone che teneva in mano, e rilasciare una sottile polvere bianca sul pavimento.
L'Auliel:" Mi sporchi la casa appena pulita" disse, con tono di rimprovero.
Lo gnomo:"Che impudenza! Non mi accogli nemmeno?" replicò con un tono insolente. L'Auliel:"Perdona il mio nervosismo, ma oggi è una giornata storta". Le giornate "storte" come le definiva l'Auliel, erano quelle giornate in cui il nostro amico aveva numerose faccende da sbrigare. Dunque non poteva occuparsi di altro se non della casa, figuriamoci se poteva occuparsi di quello gnomo appena apparso sull'uscio della sua casa. Ma visto che era là, l'Auliel si incuriosì e disse "Perché ti trovi qui, gnomo?" e continuò "Il motivo della tua visita?". 
Lo gnomo osservò l'Auliel dal basso verso l'alto, essendo uno gnomo, lo squadrò e disse: " Sono qui per proporti un affare interessante".
"Affare interessante?" Chiese a se stesso l'Auliel, pensando al motivo per cui di quel tizio non ci si poteva fidare, dato che gli gnomi amano prendersi burla di tutte le creature che non appartenessero al loro rango magico.
"Si, un affare interessante" Replicò ancora il piccolo gnomo, che nel frattempo si era accomodato su una sedia, senza alcun permesso da parte del padrone di casa.
Gli affari interessavano molto gli Auliel, dato che la razza, originariamente, aveva imparato dal senso per gli affari dai nani, che come è risaputo, sono eccellenti commercianti e manifatturieri.
"Comunque io sono Algot" disse lo gnomo, prima di accendersi la sua piccola pipa per poi crearne disegni col fumo.
"Il mio nome è Levith Fato" replicò l'Auliel. " Ma mi chiami solo Fato".
"Tra qualche giorno sarà il compleanno di mia nipote Scarlett" disse il signor Fato. 
"Sarà meglio parlare di affari dopo che sia finito, allora" disse Algot.
Scarlett Fato era la pro nipote minore del signor Fato, una ragazza di 120 anni, alta quasi un metro e sessanta e di bellezza notevole. I suoi capelli ricci erano setosi ed i suoi occhi verdastri marroncini, potevano penetrare i cuori di chi la osservava a lungo, dicevano. E perfino di origini nobili. Si perché i Fato, un tempo erano una famiglia nobile di Lothiel, imparentati con la cugina del Re Mirael. Ma col tempo e le mescolanze genetiche con altri membri non nobili, ma comunque borghesi, la famiglia Fato perse questo filo nobile a cui apparteneva. La ragazza venne affidata a Fato, anni addietro, dopo che i genitori perirono in un incidente mortale di magia nera.
Fato: "Argot, lei vuole fermarsi per il compleanno della mia cara nipote?" Continuò: " Più siamo, meglio è".
" Si grazie, mi farebbe molto piacere, ma prima vorrei illustrarle l'affare" disse lo gnomo.
"Mi dica pure di cosa si tratta" continuò Fato.
"Vede signor Fato, a Nord di Lothiel, verso Boscofatuo, c'è una miniera d'oro abbandonata, ed infestata dagli orchi".
" E dunque? Cosa dovremmo farcene di una miniera infestata dagli orchi?" Disse Fato.
Lo gnomo controllò nel taschino, ed estrasse due pepite d'oro lucenti, le diete in mano a Fato, e disse:" L'oro è l'unica motivazione che farà accrescere le nostre tasche".
"Viviamo in tempi di crisi, e lei lo sa bene, signor Fato".
Fato comprese subito, il nano non cercava solo l'oro, ma qualcos'altro in quelle buie e profonde caverne.
Ma perché richiedere l'aiuto proprio di Fato, quando si sa che gli gnomi possono usare i propri poteri magici per rendersi temporaneamente invisibili ai nemici circostanti? Si chiese Fato.
Lo gnomo lo squadrò di nuovo, e disse: " Pensi alla Leggenda!".
Fato: " Quella leggenda non può essere vera".
"La venuta di un cavaliere che ci salvi dalla distruzione della Signora Pallida, che riposa nelle profondità di Gea, chissà dove, addormentata dopo la Grande Eruzione?" disse Fato. 
Algot:" Lei sa bene che noi gnomi consideriamo quella leggenda l'unica opportunità di scampo dalla rovina del nostro piccolo mondo. La Villa Baccabosco è la mia città, e se la Regina Oscura si risveglia, la distruggerà".
Fato:" Capisco la sua preoccupazione, Algot, ma quella leggenda risale a secoli fa, quando non esisteva nemmeno la parola scritta ed i miei avi, gli Elfi Bianchi di Notram erano ancora in vita".
"Fu un invenzione dicono, una favola per divertire i bambini" continuò Fato.
Algot:" E se io avessi una prova importante della veridicità della leggenda?".
"Cosa potrebbe mai avere uno gnomo?" disse Fato, arricciando le sopracciglia.
Algot schermì un pugnale dal piccolo mantello che lo celava, ben nascosto, tra i gingilli dello gnomo, e lo porse a Fato.
Fato:" Questo sembra un pugnale elfico di strana fattura. A che epoca risalirebbe?".
Algot:" Signor Fato, questo è l'unico pugnale sopravvissuto alla Grande Eruzione provocata dalla Signora Pallida".
Fato rimase in silenzio per qualche istante, perplesso, pensando che quel pugnale, se fosse stato autentico, avrebbe suscitato varie maldicenze sul suo conto.
Fato:" Algot, metti via quell'oggetto!"
Continuò: "Quel pugnale è pericoloso, essendo un pugnale sacrificale. Si sa che i miei avi usavano incantesimi potenti su quei pugnali per imbrigliarne poteri malefici, ed usarli contro i propri nemici".
Algot:" Fato, mi ascolti, quel pugnale può consentirci di entrare dentro la miniera e cercare la città".
Fato:" Quale città?".
Algot: " Non faccia il finto tonto con me, signor Fato. Voi Auliel non ne parlate per timore. Quella città esiste, e la prova è quel pugnale che ora lei tiene imbrigliato tra le mani".
Fato: " La città di Mironel si è persa molti secoli fa, durante la seconda guerra di Antamo, la fortezza della Regina Oscura".
Fato: "Non vedo come possa essere ancora in piedi quella città, dato che molti hanno tentato di trovarla e nessuno l'ha mai più rivista".
Fato: " E poi la fortezza di Antamo fu distrutta dai figli degli Elfi, noi Auliel".
Algot: " Mi creda signor Fato, qui non c'è in gioco solo la Villa nei boschi, qui c'è in gioco la vita del mondo". 
Fato:" Dammi un valido motivo per cui dovrei partire con te alla ricerca di una città perduta, migliaia e migliaia di secoli fa".
Algot: " Non è la città d’oro, non è il pugnale, ma la vera scoperta che rimarrà nella storia".
"Capisce ciò che dico, signor Fato? La storia! La storia!" continuò Algot.
Mentre lo gnomo continuava a parlare, al signor Fato passò in mente di aver già visto quel pugnale da qualche parte, in qualche luogo strano e oscuro nelle sue passate avventure.
Fato: "Ho un'idea. Venga con me, andiamo nella sala della Trasformazione".
Algot seguì fato nella sala della Trasformazione, la sala in cui ogni oggetto poteva essere trasformato in qualsiasi strumento fosse utile per l'analisi di utensili magici o di armi.
Fato:" Prego entri, si accede da qui".
Scesero qualche scalino prima di arrivare nelle profonde sale sotto la casa, dove era situato il laboratorio dell'Auliel.
Fato prese un normale piccolo lume, e lo trasformò in una lente gigante, poi chiese allo gnomo di mostrargli di nuovo il pugnale, e lo esaminò attento, in cerca di qualche segno che potesse convincerlo della veridicità di quella storia.
Il pugnale era piccolo, aveva delle strane scritte dorate sull'impugnatura che si intravedevano al buio.
Fato: "Ciò è molto strano, non dovrebbe avere queste scritte. I pugnali sacrificali degli Elfi erano "puri" e cioè privi di ogni runa magica affinché fosse possibile sacrificare un animale a Elueth, senza accorrere ad alcuna magia.
Fato poi prese il pugnale, lo osservò ancora, e lo poggiò in un altare rituale affinché potesse esaminarne la lama. Era sottile, eppure tanto tagliente e affilata da ferire Fato ad un dito.
Il sangue scolava sul pugnale come fosse acqua. Ad un tratto apparvero delle piccole rune sul lato opposto della lama, e Fato le osservò ancora. Erano rune naniche ed elfiche. Ciò significa che quel pugnale non era stato forgiato dagli Elfi, ma dai Nani e dagli Elfi insieme. Cosa assurda, benché i Nani e gli Elfi non ebbero mai avuto buoni rapporti, ne in passato, né quanto meno nel loro futuro.
Il signor Fato e Algot pensarono bene di nascondere il pugnale in casa di Fato, a patto che egli non lo avrebbe ulteriormente esaminato senza la presenza dello gnomo.
Il signor Fato, si voltò verso Algot e disse: "Vedi Algot la storia... La storia la facciamo noi, su questo non ci sono dubbi".
Continuò:" Tuttavia questa impresa è rischiosa, ed io ho la mia età ormai."
"Ho passato anni ad inseguire leggende e non ho mai trovato ciò che realmente ho oggi. La semplice serenità".
"E va bene, lei si tenga pure la sua serenità!" rispose lo gnomo con tono severo.
Algot uscì dalla casa, sbattendo la porta e svanì nel nulla.
-Chissà cosa voleva veramente quello gnomo e quale diavoleria si nasconde sotto le profondità di Boscofatuo - pensò Fato, dopo essersi seduto.
Fato continuò a rimuginare il comportamento dello gnomo, e a pensare bene di distaccarsi dalla sua proposta, in quanto per troppi anni l'Auliel era inattivo, e dunque le probabilità della riuscita dell'impresa erano scarse, e senza dubbio Fato non si fidava di Algot, benché lo stesso gnomo aveva chissà quale intenzione, di trovare quel qualcosa che fosse al di fuori della leggenda e del semplice oro, considerando poi le rivelazioni date dal pugnale, non poteva rischiare di perdere tutto ciò che nei secoli aveva ben costruito. 
 

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