Scritto da © Piero Lo Iacono - Mar, 08/01/2013 - 17:50
AMORESSIA (AMO DUNQUE SONO E NON SONO)
Voi mi splendete innanzi
e di speranze e timori mi riempite.
Della morte di perdervi.
Del tormento di non potervi mai avere.
Traviandomi la mente di fedi e illusioni.
Travisandomi il cuore di facili ardori.
Oh potersi amare senza
la cognizione del dolore
e il sentimento del tempo!
Perché amo e sono infelice?
Ma anche se non amo sono infelice.
Non è mai adulto il dolore.
Langue il donativo non accolto.
Lo sciatto vocativo profuso.
Quando ti presentasti Amore
non dicesti che ti saresti mutato
in pena e disperazione.
Sei diventato il pensiero
più grande dello stesso pensare.
Il sogno più nemico dello stesso sognare.
Mi anemizzi senza essere zanzara.
Gli umani lo chiamano Amore
ma come lo chiami tu angelo
che a testa bassa dici
l’amore passa?
E mi togli il piacere di respirare.
Muto affanno che non fa rumore.
Ah se io t’amassi meno non userei
tutti questi fremiti e rossori!
Ma Amore non è scienza
perché non si fa misurare.
Odia numeri e misure
perché brama di durare.
La passione è nemica della perizia.
Amore sei nel vocabolario
tra Amorale e Amorfo.
Fu Socrate che quasi bestemmiando
non ti credette un dio ma un demone.
Nato da Penìa, la povertà di un tu,
e da Poros, l’arte di sopravvivere.
O Mancanza che ti chiami Amore.
In te convergo tutto ciò che
mi è mancato e non ho ricevuto.
Com’argilla ti plasma il mio bisogno.
E tutta l’immensità della mia mente.
Tutto lo spazio del suo universo,
occupato, sprecato dal pensiero unico
ed esclusivo di te soltanto.
Per te rinuncio alla libertà
e volentieri accetto la sola
schiavitù che si possa desiderare.
Catena d’aria. Piuma di piombo.
Perché non ho la libertà
di non volere ciò che voglio?
Di non fare ciò che sono?
Di non essere ciò che non voglio?
Invece continuo a volere e rivolere
anche ciò che non vorrei.
E sempre più assomiglio a ciò che
non avrei mai voluto essere.
Amarmi in ciò che si perde
mi è divenuto un piacere.
Perdermi in ciò che amo e morirne
un vizio dell’anima.
Lascio ad altri il passatempo
di altre felicità.
Io forse non amo te
ma questa schiavitù,
il laccio e il lacciolo
che a te mi legano.
Amiamo forse il nodo, il cappio
che stringe i nostri colli.
Il legaccio, la corda e il legame.
Così ce ne andiamo
allacciati d'aria
coi nostri inganni
di sogni e d’ideali.
“Felice me che riamato amo!” (W.Shakespeare, sonetto 25)
“Then happy I, that love and am beloved” (W.Shakespeare, sonnet 25)
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