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Fermenti n. 241 - per Rosso Venexiano- di Raffaele Piazza

Fermenti n. 241, anno XLIII (2014)
Periodico a carattere culturale, informativo, d’attualità e costume
Fermenti Editrice – Roma – 2014 – pagg. 657 -  € 26,00
Numero da collezione
 
        
         Considerazioni sui testi di saggistica e sulle recensioni facenti parte del n.241 (2014) di “Fermenti”.
 
Per la saggistica da segnalare, tra i vari scritti, il saggio di Matteo Coco “La bellezza? E’ la ragione per cui viviamo”. Dalla Svizzera di Friedrich Durremat all’Africa di Djbrill Diop Mambety, l’articolo di Marco Palladini “Belli dal monumento all’autodistruzione simbolica secondo Pasolini”, “La fabbrica del romanzetto amoroso: scrittura industriale di stampo fordista” di Francesca Medaglia, “Salvo Basso: annunci. E verso un nuovo millennio” di Renato Pennisi.
In “La bellezza? E’ la ragione per cui viviamo” di Matteo Coco, viene ricordata, dopo la scomparsa di Vincenzo Cerami, una  conversazione dello stesso con l’autore del saggio.
Afferma il critico::-“Conobbi Vincenzo Cerami in uno dei Focolari di FestambienteSud organizzati a Monte Sant’Angelo (Fg) da Franco Salcumi e Legambiente Italia.  E adesso che l’originale ed eclettico scrittore è scomparso, ripenso nella mia memoria frammenti di quella speciale conversazione su un tema degno di lui: “Le parole della bellezza tra realtà e finzione”. Sarà proprio la bellezza, la ragione per cui viviamo? Ebbene sì! Cerami considerava il termine bellezza come possibile “parola di cui riappropriarsi per un vocabolario del Sud Italia” che possa far accendere i riflettori sul nostro territorio.
Cerami, che  si considerava artigiano della Parola, trattando della bellezza si riferiva costantemente ad alcuni brevi film girati negli anni Settanta da Pasolini in Italia e nello Yemen per affrontare il contesto giusto in cui elaborare il concetto di bellezza come storia e come “rapporto tra bellezza e morale” (equazione che non va disgiunta). Partendo dalla “povertà che fa purezza” per poi giungere a trattare esclusivamente della bellezza, che tuttavia non va intesa come criterio assoluto. Citando,, quindi, Keats: “non è bello tutto ciò che è vero, ma è vero tutto ciò che è bello” e aggiungeva che, “forse, la bellezza non si vede a occhio nudo, ma tocca le persone, come la comicità (come tra fame e amore vi sono le maschere riprodotte, poi, ne La vita è bella di Roberto Benigni)”.
Non ci sarebbe artista al mondo se non ci fosse un sentimento della bellezza… E’ ovvio, ma, paradossalmente, anche decifrare il brutto significa avere un’idea del bello contrapposto.
Il bisogno di bellezza, dunque, diventa un bisogno di bellezza anche occulta che scopriamo inconsciamente cercando di raccontare la mutazione degli uomini… cosa cambia nelle case e nelle cose (nelle anime) degli uomini.
Quello della bellezza, allora, è un percorso che dura da millenni, dal pleistocene, quando l’uomo sceso dagli alberi inizia a guardarsi intorno e comincia a segnare graffiti per superare le paure rappresentandosele, esternamente, al di fuori di sé: più cose sappiamo e meno paura abbiamo.
Per affermare tutto questo, secondo Cerami, il racconto è fondamentale (basti pensare a tre opere magistrali senza autore: l’Odissea per l’Occidente, Le mille e una notte e la Bibbia per il medio Oriente che ci mostrano dov’è la bellezza e cosa ci spinge a vivere (la vitalità). La ricerca della bellezza diventa, così, un tragitto, un percorso da seguire, una ricerca (del mito)”.
Attraverso la conversazione tra Coco e Cerami si delinea una forma di teoria estetica antiaccademica dalla quale emerge innanzitutto l’indiscutibile valore del parallelismo etico – estetico.
La bellezza stessa viene vista come antidoto alla paura, attraverso un esercizio di conoscenza, e  considerata come fatto interiore, non visibile ad occhio nudo,  fondamentale elemento per la formazione delle anime degli uomini con il trascorrere del tempo.
Tramite la pratica dell’arte e la sua fruizione si delinea anche per l’esteta una fusione tra conscio e inconscio, fisicità e psiche.
Arte come verità e bellezza in cui immergersi per arrivare ad un senso più profondo della vita ed anche ad una migliore sintonia con la natura dell’uomo del postmoderno occidentale ormai scisso da essa.  
Per Cerami anche i luoghi possono diventare unici e luminosi attraverso la bellezza dei paesaggi.
In “Belli dal monumento all’autodistruzione simbolica secondo Pasolini” Marco Palladini afferma:-“La cosiddetta “multimedialità” di Pier Paolo Pasolini, ovvero il suo incessante effondersi creativo, cercando di usare tutti i linguaggi espressivi a propria disposizione è stato sempre accompagnato come un’ombra da una riflessione critica e teorica sui fondamenti e le modalità del suo molteplice fare creativo.
Questo vale per la letteratura, vale per il cinema, vale per il teatro, varrebbe anche per la pittura, pur essendo stato lui poco più (o poco meno) che un pittore dilettante.
E’ anche questo, credo, che tra molte altre cose, tra parecchie formidabili intuizioni, assicura allo scrittore – regista bolognese una permanente attualità, un costante inveramento della sua figura e della sua opera culturale e artistica nell’orizzonte in divenire del nostro presente.
Questa premessa per sottolineare che pure il Pasolini poeta in friulano (la meglio gioventù) e narratore in italo – romanesco (Ragazzi di vita) e (Una vita violenta), ha avuto come necessario doppio il Pasolini acuto studioso e perspicace notomizzatore della poesia dialettale italiana”.
Pasolini va interpretato come precursore della nostra contemporaneità attraverso scritti, articoli e film, realizzati negli ormai lontani anni sessanta e settanta.
Una figura di intellettuale e artista a tutto tondo, quella del Nostro, geniale e poliedrica nella sua fertile creatività.
Eclettico e profondissimo nello stesso tempo, Pierpaolo, in tutte le sue attività, inquieto e geniale, rappresentante di un pensiero sempre sotteso ad una sofferta concezione del sacro.
E’ presente in Pasolini un forte senso del peccato, connessa indissolubilmente alla sua condizione, alla sua natura di omosessuale, che lo portava in molte sue notti ad avere rapporti sessuali con giovani delle borgate romane, nel vivere situazioni nelle quali era conscio di rischiare la vita.
Tutta l’opera del poeta è attraversata da una forte coscienza critica dei suoi intenti, che si traduce nelle sue molteplici espressioni artistiche che riguardano tutti i settori estetici.
Spicca dunque la figura profetica di Pasolini originalissima, nel nostro panorama nella sua essenza di artista e di uomo, personaggio che seppe prevedere quello che sarebbe stato il quadro sociale del nostro postmoderno occidentale.
In “La fabbrica del romanzetto amoroso: scrittura industriale di stampo fordista” Francesca Medaglia scrive:-“Spesso alcuni scrittori usano la locuzione “scrittura industriale”, come M. Marcon, M. Marasco e G. Magini tra tutti, in riferimento alla SIC (Scrittura Industriale Collettiva), non tenendo conto del fatto che “la scrittura industriale” non è solo SIC, bensì una categoria analitica molto più ampia.
Secondo la definizione di Magini, SIC indica “(…) un metodo di scrittura collettiva e la comunità aperta di scrittori che lo utilizzano”, ed ancora Magini sottolinea che “(…) la SIC vuole far diventare la scrittura collettiva dei singoli gruppi una prassi letteraria” e che “(…) il principale ostacolo tecnico, ovvero la difficoltà d’incontrarsi per poter scrivere insieme, è stato superato dallo sviluppo delle tecnologie di comunicazione (…).
Tutto ciò risulta essere vero, ovviamente, per ciò che concerne la SIC, ma non è del tutto esatto, o almeno risulta oltremodo limitativo, per ciò che realmente implica il più ampio concetto analitico di “scrittura industriale”.
In primo luogo, usare l’aggettivo “industriale”, senza alcuna specificazione o approfondimento, per definire un dato tipo di letteratura, è già di per sé un errore.
Se si apre, infatti, il dizionario, si nota che “industriale” significa “di industria, applicato all’industria”, dove il lemma “industria” ha due significati principali: “cura ingegnosa e diligente” e “cose che danno guadagno”.
Risulta evidente da uno studio approfondito dei testi e del concetto di autore plurale di consumo, che si connettono alla sfera della letteratura “industriale”, che i due significati sopracitati non definiscono il tipo di scrittura che qui si vuol prendere in esame”.   
A livello etico la produzione di romanzetti amorosi, che spesso divengono dei bestsellers, (fatto che avviene soprattutto negli USA) risulta un’operazione corretta.
La pratica della lettura di questi libri ha sempre una valenza positiva, nonostante la leggerezza e la frivolezza  di tali testi.
Ovviamente il genere del romanzo impegnato, che, dopo la morte di Alberto Bevilacqua, continua ad avere numerosi rappresentanti in Italia e che, in molte altre nazioni, seguita a proliferare,  è superiore, a livello morale, per la complessità dei contenuti, al modello di narrazione suddetta..
Ma se si intende la fruizione dei romanzi in se stessi come un fatto quasi sempre utile per il lettore, per la sua crescita culturale e per il raggiungimento di una condizione di benessere psicologico e di equilibrio, il genere del romanzetto rosa può essere visto non solo come un fenomeno speculativo a livello economico, ma anche come qualcosa che può fare del bene alle coscienze dei lettori, un modo semplice per evadere dalla monotonia di una vita ripetitiva tipica della nostra contemporaneità.
In “Salvo Basso: annunci, E verso un nuovo millennio” Renato Pennisi afferma:-“ Nel mese di dicembre del 1999, mentre il mondo si preparava ad accogliere il nuovo millennio, e ovunque era un preparativo di festeggiamenti e un gran discutere sul bug che avrebbe potuto distruggere i sistemi informatici, precisamente il quattordici dicembre di quell’anno Salvo Basso presentava al  Centro Fieristico Le ciminiere di Catania il mio primo romanzo.
Dopo pochi giorni soltanto ci ritrovavamo un’altra volta insieme nella stessa Sala C 3, e stavolta l’occasione era la presentazione di un corpulento volume, più di quattrocento pagine, che raccoglieva testi di autori siciliani e Siciliani era per l’appunto il titolo del libro, pubblicato, come il mio primo romanzo, da Prova d’Autore.
Riuscì appena a intravedere Salvo nella calca che affollava la grande sala.
Ad un certo punto lo scrittore Mario Grasso, curatore del volume, dal tavolo dei relatori tuonò che il libro conteneva le poesie, in italiano, raccolte con il titolo E, con cui Salvo Basso annunciava di abbandonare la poesia in dialetto siciliano.
Saltai sulla poltrona. Stavano scherzando?
Poco dopo una giovane attrice lesse alcuni testi. E’ vero. Indiscutibilmente Salvo Basso dichiarava che da lì in poi avrebbe scritto soltanto in italiano.
Riuscii soltanto al termine della presentazione, a fatica, a raggiungere Salvo e a dirgli, in modo scanzonato:-“Scommetto che neanche tu credi alle tue parole”.
Ma lui era attorniato da altri anici, e mi rispose con una smorfia birichina.
Avrei voluto soprattutto chiedergli:”Ma come? In tanti hanno salutato la tua poesia in dialetto come la più interessante novità che è arrivata dalla Sicilia negli ultimi anni, firme autorevoli hanno scritto sui tuoi versi siciliani, da Maria Attanasio, a Franco Loi, da Giuseppe Cavarra a Franca Grisoni, e tu ci comunichi che adesso basta, scriverò soltanto in italiano?”.
La poesia dialettale di alta levatura, come quella di Salvo Basso in siciliano, va considerata come un genere che ha intrinsecamente una sua dignità letteraria e non va osservata come subordinata a quella in lingua italiana.
La pratica della poesia dialettale diviene intrigante quando nel testo a fronte si legge la traduzione della poesia in italiano, fatto che crea una forte dose d’ipersegno, per l’essenza stessa del tradurre.
Tra i poeti dialettali importanti del passato incontriamo, tra gli altri, il napoletano Salvatore di Giacomo, Porta, Belli e Meli, siciliano come Basso stesso.
Interessante, e questo è l’aspetto preminente del saggio, indagare le motivazioni che hanno spinto Salvo Basso ad abbandonare la poesia in vernacolo, per scrivere solo in italiano.
In Recensioni leggiamo “Incontro dialettico dei linguaggi” Su Il pollice smaltato di Gemma Forti, di Marcello Carlino.
“Il pollice smaltato (Fermenti, 2013, pp. 132, prefazione di Gualtiero De Santi e immagini di Bruno Conte) insiste su uno spazio d’avanguardia e ne riprende la tradizione, per articolarne e proiettare le linee lungo tre direzioni di tendenza.
La prima si riconosce in una logica intermodale, di cui garantiscono lo svolgimento funzioni delegate soprasegmentali.
La rivoluzione tipografica, già invenzione futurista, è qui adoperata di modo che tanto l’indicazione sonora – l’oralità implicita nella sequenza, percussivamente fatta salire di tono con lo spicco dei grafemi e delle loro potenzialità assertive – quanto la rilevanza visiva – assicurata dalla misura e dalla distribuzione dei versi sulla pagina, nonché dalla poussée degli ingrandimenti dei caratteri di stampa e di neretto – agiscono in concorso da fattori esponenziali e, in un contesto nel quale il voler dire appare determinante e la scrittura letteraria non ricusa davvero la quota pro capite di responsabilità, si rendono occasioni di ampliamenti dei significati, sobbarcandosi un forte carico semantico.
Lontane perciò dall’informale, che nel testo poetico è spesso profilato dalla monumentalizzazione dei significanti – riportati così dentro l’alveo di una mera sonorità, assoluta, autoreferenziale – epperò ben dentro l’organicità di un tessuto verbale del discorso che assume specifici compiti attoriali, declamatori e testimoniali, l’intermadolità si pratica in Pollice smaltato come incontro dialettico tra i linguaggi, come modo di una più alta e inusuale mediazione potenziale.    
Che è quanto può contrassegnare utilmente, in linea di principio, una riproposta della sperimentazione e dell’avanguardia in questo particolare momento storico”.  
Il pollice smaltato, felice connubio di testi poetici e di immagini ad essi felicemente intonate, incontro dialettico di linguaggi, si può considerare, in un’accezione ampia, un testo sperimentale, anche per la disposizione dei suoi sintagmi sulla pagina irregolari per forma e dimensione.
Il libro è il sesto dell’autrice, pubblicato dopo un silenzio durato sei anni.
La raccolta può essere letta anche come un libro di poesia antilirica e civile, per i suoi contenuti politici e sociali e per l’impegno ideologico.
Infatti viene trattato il tema della dittatura mediatica e molti strali vengono lanciati contro un ex premier italiano, che ultimamente ha perso notevolmente potere. .
Viene affrontata anche la tematica della violenza sulle donne e il tono è spesso ironico e sarcastico.
Opera originale, il suo tessuto linguistico non rasenta mai l’alogico e la scrittura non è  anarchica, nella sua chiarezza e immediatezza.   
Cifra essenziale pare essere quella di una matrice realistica del tutto controcorrente nel panorama poetico italiano della contemporaneità..
La ricerca linguistica della Forti in Il pollice smaltato  raggiunge i suoi esiti più estremi con un montaggio delle parole sempre arduo e spericolato.
Quella di Gemma è una poetica che non potendosi più configurare secondo i canoni del canto ((in un continuum che va da Petrarca a Caproni), si apre ad accensioni subitanee che portano al grido e all’invettiva.
La poeta produce una scrittura dinamica scevra da soggettività e sentimentalismi e le espressioni sono sempre  precise,, veloci e ben controllate..
In “La parola che scova. Su Oltremonte di Bruno Conte”,  Marco Furia scrive:”Con Oltremonte (2014, pp. 159, Robin Edizioni, Roma, euro 10,00), Bruno Conte presenta una raccolta il cui specifico ritmo accompagna il lettore con risoluta assiduità.
Nel proporre immagini, suoni, colori, Conte mostra come per lui scrivere versi sia un’esigenza primaria.
Il poeta compone, innanzi tutto, per se stesso?
No, perché qualunque tipo di scrittura è, in ogni modo, articolazione linguistica tesa a comunicare, anche se l’attitudine a servirsi di una lingua inedita (qual è quella poetica) è sintomo di spiccata individualità.
Sorge, insomma, il problema: come rivolgersi agli altri esseri umani praticando un idioma molto specifico.
Il Nostro risponde al suddetto quesito proponendo una versificazione precisa, esatta, persino discorsiva, ma mai dimentica della propria naturale enigmaticità.
Ho usato l’aggettivo “naturale”,  poiché la suddetta enigmatica indole non è per nulla straordinaria e, per il poeta, (ma non soltanto per lui), costituisce ampio ambito di ricerca.
Già il primo verso indica, in maniera quasi programmatica, che l’autore intende tenere conto dello smisurato territorio del
 
“diramare delle idee”…
 
Verso cui fa da contrappunto, più avanti, la pronuncia:
 
“Si trasforma sul piano del tavolo
Tangibile orizzonte
una collezione di pensieri”.
 
Immagine, quest’ultima, in grado di esprimere, con determinata chiarezza, come il tutto del pensare e del dire sia a disposizione sempre e ovunque, anche nelle circostanze più quotidiane.
Non mancano, poi, tratti capaci di stupire per vie di fisionomie compositive che, nel proporre sorprendenti sembianze poetiche, emanano un fascino davvero particolare nella loro illogica semplicità: si legge, a pag. 7
 
“assunto a combaciare
ogni cosa nella stessa cosa”   
 
e, a pag. 41
 
“Con una mano tocco il futuro”.
 
La sorpresa sconfina nello sbalordimento di fronte alla sequenza
 
“nessuno guarda
tutto coincide
come niente fosse”:
 
questo passo tratteggia un mondo che sembra bastare a se stesso indipendentemente dal fatto di essere osservato da qualcuno.
Siffatta chiusura tuttavia, costituisce, a mio avviso, anziché un definitivo assunto, una sorta di costruttiva provocazione tendente a proporre fecondi atteggiamenti poetici.
Così versi quali
 
“In uno scovato cassetto
Aria chiusa di festa antica”
 
illuminano con delicata efficacia, un aspetto osservato o, meglio, scovato.
Ci accorgiamo, allora, di come proprio nell’uso del verbo scovare si riveli appieno il senso di una raffinata silloge che nell’immediatezza dello sguardo coniuga, non saltuariamente, la ricerca volenterosa, l’analisi impegnativa.
Facciamo parte del mondo ma dobbiamo imparare, ogni giorno a meglio conoscerlo e (conoscerci)?
Sì, e in tale assidua attività sarebbe davvero poco saggio rinunciare all’aiuto offerto dalla poesia”.
Nella poetica di Bruno Conte, cifra essenziale è dunque quella dello scovare, di cercare, attraverso la pratica del poiein, di andare in fondo alle cose, attraverso una parola rarefatta, precisa, veloce e leggera.
Ma scovare è abbastanza simile a scavare, termine usato dal Premio Nobel Seamous Heaney per definire l’etimo del fare poesia: tutti e due i termini si riferiscono ad una forma di ricerca attraverso un dire, che è sotteso ad urgenza, al fatto di scendere in profondità.
Quindi una tensione ad abitare i sintagmi.
Nella poesia tutto è presunto, asseriva Maria Luisa Spaziani, e proprio in questa zona tra detto e non detto emerge il messaggio in bottiglia che Conte invia, cesellando versi brevi e densissimi, icastici e armoniosi.
In BibloSound di Gemma Forti, tra le numerose recensioni, quella al libro di poesia di Paolo Guzzi, Dittico diptique, Campanotto Editore, 2013  €. 10,00.
“Questa elegante raccolta o poemetto bifronte, italiano e francese, di Paolo Guzzi, poeta, traduttore, critico teatrale, francesista, pubblicata nel 2013 da Campanotto Editore, si avvale della prefazione di Lamberto Pignotti, nonché di due sue illustrazioni a colori.
Paolo Guzzi ha dedicato il libro ad Anna, l’amata compagna scomparsa.
Le dieci composizioni, tradotte dallo stesso autore in francese, seguendo il ritmo e le immagini dei versi italiani, costituiscono un unicum, essendo un incalzare costante di ossimori, iperboli, paradossi, attraverso uno straniamento dello sguardo che intriga il discorso in un complesso gioco onirico.
I versi di Guzzi, confermano, come del resto la citazione di premessa, “ad occhi chiusi vedo meglio” di Shakespeare,  la ricerca da parte del poeta di uno sguardo altro che permetta, attraverso la visione onirica, di penetrare nella realtà deformandola, forse per non essere troppo aggredita da essa.   
Quindi strani esseri emergono dall’inferno quotidiano: “Zombi si intromettono nella vita di ogni giorno/…Zombi si trascinano sulla sponda: / qualcuno raggiunge la sua ombra/ che si specchia nell’onda…” da L’acqua veloce.
E ancora:”Quei corpi insanguinati che si ammucchiano/ si macchiano e si riversano sulla strada/ zombi che costeggiano strade di campagna/ mi accostano senza sembrare, mi toccano/ mentre sogno nel sogno una rappresentazione/ di eleganza…”da Luoghi infrequentati e infrequentabili.
E nel sogno, duplice come il distico: ”…Una donna compare e ti saluta con un sorriso: la conosci:/ ma non ricordi nulla di lei che ti appare con il corpo di un’altra/ e sopra un volto che un poco assomiglia a quello che forse/ avevi amato/…Poi compare quella di giorni felici, almeno finché durano/ inserita nel cratere di catrame, sempre più in basso/ sprofondando lentamente…” da Giorni felici.
Quindi una poetica strettamente avvolgente, raffinata ed intrigante: quella di un autore accurato, mai retorico o banalmente stravaganti”.
Una forma espressiva che ha per cifra essenziale una concezione della pratica del versificare come mezzo salvifico per riemergere dal mare magnum della vita con le sue contraddizioni e i suoi dolori (per primo quello della morte dell’amata compagna Anna).
Poesia come antidoto al male, per aprirsi un varco salvifico nella lotta dell’avventura dell’esistere.
Un onirismo purgatoriale contrassegna le poesie di Guzzi e la traduzione a fronte in francese accresce il fascino della raccolta.
Originalissimo il tessuto linguistico del Nostro, che presenta un forte scarto dalla lingua standard.
Attraverso una parola poetica icastica, il poeta riesce a mutare la propria realtà soggettiva dalla quale traspira anche un senso di rimpianto per una felicità perduta.
Nonostante la forte presenza del dolore Paolo Guzzi, nel suo poiein, non si geme mai addosso e la forma della sua scrittura è sempre controllatissima.
In Biblio/Caravan, a cura di Velio Carratoni,  numerosissime recensioni su libri di vari argomenti (costume, saggistica, cultura, arte, economia, biografie, filosofia, attualità, epistolari, cinema, musica, CD).
Nella sezione cultura leggiamo la recensione a Brevi incontri di Irene Bignardi,  p.p. 274, Marsilio, 2013, € 20,00
“Quaranta incontri con prestigiosi esponenti della cultura a livello internazionale.
Da Borges, Fellini, Greene, Kinski, Le Carrè,Garcia Marquez, Miller, Roth, Scorsese, Truffaut ecc.       
Un dialogo leggero, stimolante su fatti di un sapere da accertare. Qualche assaggio. Borges: “…Sono un anarchico spenseriano. Odio lo stato, odio gli stati, odio i confini… E’ la costruzione del romanzo che mi è estranea…”.
Brodsky: “…L’inglese è una lingua di grande chiarezza… La prima cosa che ti chiedi, quando scrivi in russo, è se suona bene… di fronte a una frase inglese è se ha senso…”.
Cioran: “ …sono sempre stato semisposato… Ho una psicologia da macrò… per disporre del proprio tempo bisogna essere pronti ad accettare tutti i sacrifici, anche il disonore…” Fellini: “Quando comincio un nuovo film è come se arrivassi in una cittadella sconosciuta, stanco del viaggio, mezzo addormentato… Fin da ragazzo mi è sembrato di convivere, di accogliere meglio l’insolito, l’inaspettato, il differente…”. Kinski: “… Le persone le voglio conoscere attraverso altri strumenti, non attraverso le parole.  Credo nei rapporti telepatici… tutto è sensuale… la pornografia non esiste… E’ una parola inventata dai nostri governanti…”. Le Carré: “.. Una parte di quello che ha fatto la Thatcher è stato come un intervento chirurgico indispensabile… penso… che abbia rischiato di ammazzare il malato… Putin dovrebbe essere davanti a un tribunale per i crimini di guerra… Bush è lo strumento visibile del potere delle grandi società. E che Blair è un ultraconservatore travestito da socialista…”.
Garcia Marquez: “…Quando aprii Le metamorfosi mi dissi che, se questo si poteva dire, anch’io potevo provarci.. Di Castro mi affascina anche il suo potere che condivide con altri…Cuba adesso non dipende che da Cuba…Il secolo XX si è perduto per il dogma del socialismo e il dogma del capitalismo… della morte… mi dispiace che non potrò raccontarla…”.
Gli incontri brevi continuano.
Ognuno di questi ti fa assaggiare lo spirito del personaggio  che si presenta al pubblico per familiarizzare. Saranno sempre sincere le risposte?. Irene Bignardi le presenta come se lo siano.
E ogni personaggio che ci parla direttamente o per manipolazione ci fa entrare nel suo mondo.
I testi e le opere degli autori sono basilari, ma il pensiero degli stessi si tramanda attraverso aneddoti, rievocazioni, frasi provenienti da contatti e parole che per essere ripetute chissà quante volte scolpiscono un autore nella sua realtà.
E per sollecitare qualsiasi risposta occorre che le domande siano brevi e appropriate”.                                                                                                                      
Si nota nelle affermazioni, sia pure frammentarie, tratte dagli incontri con prestigiosi rappresentanti della cultura, a livello internazionale, una struttura dei vari discorsi che, per la sua brevità, rasenta l’aforisma e l’epigramma e che sembra avere come modello Massime e riflessioni di Goethe.
Si tratta di riferimenti che trattano di politica, cinema, letteratura, teatro, fumetto, ecc.
Le suddette frasi sono concentratissime e ricche di senso  e, qualsiasi ambito tocchino, sono sottese a profondità di pensiero e a grandi intelligenze.
Le parole riguardano settori che vanno dal pubblico al privato, dall’estetica alla filosofia, dall’individuale al collettivo; sono sempre drastiche e puntuali nella loro forza e non dicono mai tra le righe.
Particolarmente interessanti le frasi di Brodsky sulla lingua inglese e quella russa,che hanno per oggetto, implicitamente, il tema della traduzione..  
Affascinanti le affermazioni di Fellini sulla genesi del suo lavoro cinematografico; acutissime le affermazioni di Marquez sia a livello estetico che politico.
Da segnalare la recensione a Dante oltre la commedia di Alberto Casadei, pp. 288,  Il Mulino, 2013, € 25,00.
“Un esame storico – filologico, uno sforzo critico – interpretativo per motivare ragioni, commenti, presupposti.
Dal titolo Commedia o Comedia in poi.
Dall’ Inferno si arriva all’ Epistola a Cangrande per puntualizzare le origini del Paradiso, ad opera di un conoscitore della vita, della colpa, simboleggiate da testi dottrinari, teologici, filosofici.
Nel volume l’Eneide come presupposto rievocativo di una vicenda ciclico- espansiva sulla storia di una stirpe, influenzata da influssi mitologico – locali, per arrivare a contorni a largo raggio su vicende riguardanti vizi, amori, crudeltà, sentimenti, tendenti a raggiungere quella che per le sacre scritture è lo scopo della vita: l’espiazione con i dovuti effetti. E per attuarla non c’è bisogno di presupposti dottrinari per arrivare a teorie o massime teologico religiose.
Secondo Alberto Casadei, autore del testo, dopo le varie vicende, non sempre pertinenti, sarebbe utile tornare alle origini delle fonti per focalizzare la storia di un creatore che ci appartiene per ragioni naturali. Non sempre spiegabili.
Applicando ogni esigenza di fonti o di basi di partenza non può tralasciare, sia pure per superarle, tante interpretazioni simboliste che il Croce rigettava quando divenivano moraliste, meramente teologiche o di sapere dogmatico.
E chi ha allontanato Dante da tanti lettori, sono stati quelli che l’hanno ritenuto un teologo, un moralista.
Conoscere le topografie dei vari regni ultraterreni non serve certo a potenziare alcuna specie di approfondimento gnoseologico”.
La Commedia dantesca continua ad essere un punto di riferimento culturale in Italia e anche in molti altri paesi.
L’opera dell’Alighieri rimane oggetto di studio nelle scuole e la concezione medievale che la sottende fa sempre parte dell’immaginario collettivo a proposito del problema del bene e del male.
In Dante oltre la Commedia, Casadei indaga quella costellazione di eventi e opere che riguardano la genesi  della Commedia a partire dall’Eneide (non si deve dimenticare che Virgilio, virtuale maestro di Dante, viene considerato precristiano)
Si deve tornare alle origini, ai presupposti dottrinari e filosofici, vigenti nel Medio Evo, per giungere alle motivazioni della genesi della monumentale opera dantesca.
Dante è da intendere come un creatore senza tempo. A noi vicino se lo interpretiamo in maniera da renderlo sempre attuale criticamente nella nostra contemporaneità.
Nell’impossibilità, in questa sede, di un’analisi critica di tutti i saggi e le recensioni in “Fermenti” 241, si rimanda il lettore alla lettura della rivista stessa.
 
 
 
P.S.
 
Le parti in corsivo e tra virgolette sono riportate direttamente dal testo della rivista “Fermenti” n.  241
 
 
Raffaele Piazza
 

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