A ruota libera (Cap. 1) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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A ruota libera (Cap. 1)

PROLOGO
 
 
Vi siete mai chiesti se la vostra compagna resterà tale per tutta la vita? Io sì, almeno un migliaio di volte. E ogni volta mi sono ripetuto sempre la stessa cosa: credo che Claudia, prima o poi, diventerà mia moglie.
Oggi, l’unico quesito che riesco a pormi è: perché non smetto, una volta per tutte, di farmi queste domande idiote!?
 
 
                                                  ******************
 
 
Il 09 dicembre 2005 Claudia mi ha lasciato.
Dopo 13 anni e mezzo, quasi.
...Per telefono.
 
 
                                                    *******************
  
I
ORE 19.15
 
 
 
Squilla il cordless sulla mia scrivania. Ovviamente non è a portata di mano. Sono sul divano, disteso, a guardare la televisione. Un classico. Mi alzo, infastidito, per conoscere chi stia chiamando con tanta insistenza. So bene che come al solito se non lo faccio io nessun altro lo farà al mio posto. E in quel caso il telefono continuerà a squillare, imperterrito, sino a quando qualcuno non si sarà preso il fastidio di rispondere.
Sì perché a casa mia, rispondere, è quasi sempre un fastidio.
“Pronto?”
“Claaa?”
“Sì, ciao Bi. Che fai?”
Cominciavano più o meno sempre così le nostre telefonate. Qualunque fosse il periodo, qualunque fossero gli umori, di entrambi.
‘Bi’, diminutivo di ‘Bimba’, è il primo vezzeggiativo con cui ho cominciato a chiamare Claudia. E da allora, per me, che mi chiamo come lei e ho quattro anni e quattro mesi di più, è divenuto il suo vero nome.
La storia con Bi, iniziata il 28 giugno 1992, durava ormai da circa tredici anni e mezzo. Anzi, per la precisione, tanti sarebbero stati il 28 dicembre del 2005. Sempre che lei, il giorno della telefonata, non avesse deciso fosse giunto il momento di lasciarmi prima. Evitando che anche quel fatidico traguardo venisse raggiunto. Il prossimo, dei quattordici anni insieme, molto probabilmente l’avremmo festeggiato andando a vivere sotto lo stesso tetto. A settembre avevamo già cominciato a cercare casa. Ma da comprare, perchè affittare non conviene.
Oggi, il problema non si pone più.
“Ero nel salone, e stavo vedendo la televisione.” La sua voce mi sembra flebile e tenera, più del solito.
“Anch’io, ma non c’è un cavolo stasera” rispondo, con sufficienza.
So che qualcosa da tempo non va, e in quel preciso istante avverto forte, dentro di me, essere giunto il momento di affrontare la situazione.
La spada di Damocle che pende sul capo della mia anima da mesi, ora, in pochi minuti, farà scempio di lei e del mio cuore, come di tutto me stesso, per bene. Più di quanto avrei mai potuto immaginare.
“Che c’è Bi? Che hai?” d’improvviso, secco.
“Niente… perché?”
“Lo sai che non serve sviare. Te l’ho chiesto, quindi vuol dire che c’è qualcosa.”
“Dimmi almeno di che tipo?”
“Hai parlato di nuovo con Anna?”
“Sì, c’ho parlato, ma non oggi.”
“E quando?”
“L’altro pomeriggio, all’uscita dalla banca.”
“E che ti ha detto?”
Che domanda del cacchio che ho fatto. Lo so cosa può averle detto, altrimenti non me lo sarei mai posto il problema.
“Niente Cla, lo sai. Con Daniele…”
“Che cosa? L’ha mollato di nuovo?”
“Veramente è da un po’ che non stanno più insieme. Ma continuano a vivere sempre in quella situazione del cavolo. Non sono né carne né pesce.”
“Innanzitutto è lei che l’ha lasciato, per la precisione. E poi, forse è Anna che non è né carne né pesce. Daniele purtroppo lo sa bene ciò che vuole, anzi chi vuole: Anna, ed è quello il suo unico problema.
Comunque non me ne frega niente, sono fatti loro.”
“Appunto…”
“Eh, appunto! Il problema è che ogni volta che parli con lei, da quando avete ripreso a sentirvi, c’è sempre qualcosa che non va. Ti sta facendo il lavaggio del cervello, lo sai vero?”
“Ma che dici?”
“Che dico? La verità, altroché.”
“Dai Cla per favore, non riprendiamo ogni volta la stessa discussione.”
“Ok, come vuoi. Dimmi allora che cos’hai?”
“Niente. E’ solo che… non lo so…”
“Cosa non sai?”
“Tutto…”
Quando qualcuno sta per darti una trambata di quelle che non ti scorderai mai, l’incipit del suo colpo di grazia comincia spesso con la parola ‘tutto’.
Frasi come ‘tutto quello che volevo dirti…’; ‘tutto ciò che so è che…’; ‘tutto quello che posso fare…’; ‘tutto è possibile, ma…’ e altre, rendono l’idea delle fregature e delle mazzate che si nascondono nelle continuazioni di ciascuna di queste e altre frasi simili.
Il ‘tutto’ di Claudia, non faceva quindi eccezione.
“Tutto cosa, Bi?”
“Tutto Cla, tutto…”
Il colpo era ormai in canna. Bastava solo che lei prendesse la mira, neanche tanto, e sparasse. A freddo, senza pensarci oltre, e senza alcuna pietà. Ero la sua vittima e lei il mio carnefice.
“Non lo so, ma… sono confusa.”
Già dimenticavo: dopo il ‘tutto’, la parola ‘confusione’, comunque coniugata, è la più inflazionata in circostanze simili.
Claudia aveva bisogno di una mano per fare ciò che doveva, e io ho aspettato qualche mese proprio per sentirmi pronto a dargliela, quella mano.
Così, subito, su due piedi, d’emblè, al primo accenno. Del resto, quando faccio le cose, le faccio per bene. Sono o non sono un ingegnere? Sarà per lo stesso motivo che a volte finisco davvero per odiarmi. Per non sopportarmi a livello fisico direi.
“Non mi ami più, vero Bi?”
“No… che dici amore, non è questo.”
“E che cos’è allora?”
“Non saprei… è tutto così… confuso…”
 Silenzio. Il mio e il suo. Ho già cominciato ad accusare il colpo, e lei lo sa. Lo capisce, lo immagina. Mi conosce come le sue tasche. Meglio delle sue tasche. Sono tredici anni e mezzo, quasi, che stiamo insieme e nessuno potrebbe più di lei comprendere, per poi anticipare, le mie reazioni. Come sa bene che sto cercando di darle una mano. Quella famosa mano che le serve per seppellire il mio cuore sotto una montagna infinita di perché. Un massiccio da cui chissà se riuscirò mai a uscire. Sepolto come quelle formiche coperte da montagnole di sabbia, scaricate loro addosso dalle mani sadiche di bambini pestiferi, senza coscienza, che giocano sul litorale, vicino la battigia.
Ignorando come anche quella di una formica sia una vita. Tanto quanto lei sembra stare ignorando che il mio sia vero amore. Il mio amore per lei. Per tutto ciò che ho.
Per l’unica persona con cui vorrei invecchiare, più di ogni altra cosa. Sono un uomo, ma non per questo sono predisposto a soffrire meno. Adesso Claudia, la mia Bi affonderà la lama, premerà il grilletto. Ora o mai più.
Difficilmente potrebbe capitarle un’occasione simile, con la vittima che collabora come sto facendo io. Ma io ci sono già stato. Al suo posto, intendo. Sì, ci sono passato. Nel luglio del 2000, quando le ho detto che non l’amavo più. Nonostante la sua immensa disperazione ad accettare la situazione. Incurante di tutti i suoi tentativi per raggranellare persino le briciole del mio sentimento per lei. Di quello, grande, che sapeva avevo nutrito sino a qualche mese prima che la crisi tra di noi cominciasse.
In quell’occasione avevo avuto la sua stessa freddezza. Quella del vero killer. Che deve abbattere la sua vittima, perché sa che è l’unica maniera per evitare che ci sia un seguito. Un seguito pericoloso.
“Invece è così Bi, lo capisco.”
“No, non è vero!”
Prova a negare, ma sa bene che sta mentendo. A se stessa però, non certo a me.
“Ti dico di sì, piccola. Dimentichi che ci sono passato. E so tutto. Come incomincia, come continua, e anche come finisce. Almeno come è finita per me, visto che siamo tornati insieme. Purtroppo la tua fine, non posso saperla… Mi piacerebbe, ma non posso…”
Claudia comincia a piangere. Sa che è l’inizio della fine. Un inizio breve che la porterà all’epilogo della nostra storia, non appena avrà messo giù il telefono. Così si consumerà la fine di un amore durato tredici anni e mezzo, quasi.
“Io non so cosa mi stia succedendo, non riesco a capire…”
“Lo so, me ne sono accorto l’ultima volta che ti ho detto sarei andato a vivere da solo. Che ero stanco di stare dai miei. Non hai risposto nulla, né battuto ciglio.”
“Ma Cla… che c’entra…”
“No Bi, lo sai che è così.
Ho preso il discorso più d’una volta, perché volevo esserne sicuro. E tutte le volte non ti sei mai smentita. Ho supplicato dentro di me sentirti dire che mi avresti seguito, ma tu niente. Non ti sei scomposta di un millimetro. E allora, è stato tutto chiaro.”
“Io… non me la sento, Cla.”
“Sì Bi, l’ho capito. Ti ripeto, ora solo ne sono sicuro. E sai qual è la cosa più assurda di tutte? Che sto facendo per mano tua il boia di me stesso. E’ assurdo, eppure è così.”
“Tu sei una persona meravigliosa… Cla.”
In ultimo, il suo affondo. Era solo questione di tempo, ma è arrivato. Finalmente. Meglio, non reggevo più la tensione. Le mani leggermente ghiacciate, la testa che mi rimbomba un po’, sono i segnali impercettibili, ma inequivocabili, che è giunta l’ora. Il momento dell’addio. Definitivo.
Non so se sono una ‘persona meravigliosa’, come dice, ma pochi di certo avrebbero accettato un colpo simile con la dignità che sto cercando di tenere.
 “Non credere mi faccia sentire meglio” replico per consolarmi.
Lo sapevo: le lacrime cominciano a invadere anche i miei occhi, adesso. La voce mi si strozza in gola e quasi non riesco a parlare. Ma devo tenere duro. Voglio andare sino in fondo. Devo farlo.
“E’ vero Cla, quando tu mi hai lasciato io non volevo saperne di farti andare via da me.”
“Sì, me lo ricordo, ma le persone non sono tutte uguali per fortuna” riesco a concludere a malapena, con la voce che si spegne subito dopo aver varcato rapida la soglia delle labbra.
“E ora…?”
Bella domanda che mi fa: ‘e ora?’
E io che cavolo ne so!? E’ già tanto che mi sia massacrato spingendo lontano da me l’unica persona che amo, con tutto me stesso. Che altro dovrei fare? E’ davvero possibile, compiuto un gesto simile, pensare a un dopo?
Qualcos’altro oltre il suicidio, intendo.
“E ora niente Bi, prenditi il tempo che ti serve, tutto quanto, e… e poi vediamo. Non so…”
Lei continua a piangere, anche se il pianto mi sembra un po’ forzato. Forse il gelo che le sento dentro, che l’ha svuotata dell’amore che aveva per me, per noi, le blocca le lacrime ancor prima che riescano a uscire.
A farsi vedere. A farsi udire, al telefono.
Siamo distanti anni luce, e l’aria, almeno quella che io sto respirando, è diventata rarefatta e pesante. Quasi palpabile, difficile da spingere nei polmoni. Mi manca, mi manca sempre di più. Ho l’impressione di svenire, di addormentarmi, per sempre. Eppure siamo ancora al telefono, ma bisogna sbrigarsi, la libertà è a portata di mano. La sua libertà, io non ne ho bisogno, adesso. O almeno, non più.
Ho creduto di volerla, tanto, nel 2000. Ora, affatto, so che è inutile se vuol dire solitudine.
Quella libertà che serve a capire. A vivere, a sentirsi di nuovo adolescenti, come se tredici anni e mezzo si possano finalmente scrollare con un colpo dalle spalle.
Pesanti come sono, peggio di macigni.
“Mi mancherai Cla…
…Come farò da sola… senza di te…”
“Fhumm…
Come si fa in questi casi: lo imparerai amore.
Ciao Bi… e ricordati sempre che ti Amo.”
Non riesco più a parlare. Se mi dovesse dire altro, o fare domande, resterei muto.
“Cla… mi dispiace… mi dispiace… davvero credimi piccolo…”
E anche il colpo di grazia, l’ultimo e inesorabile, definitivo, implacabile, non si è fatto attendere.
Poi butta giù. Io lo stesso, subito dopo, più d’istinto.
Ora sono solo. Solo con il mio unico futuro alleato: me stesso. Che gran consolazione…
Ho ancora il cordless in mano e già è come se qualcuno, d’improvviso, senza dirmi nulla, abbia spento le luci intorno a me. Tutto d’un tratto, senza darmi il tempo di accettare la sua decisione. Quanto meno, di assuefarmi all’idea.
La televisione è ancora accesa e muta, ma sono al buio. Un buio nero, tetro, freddo. Gelido e impenetrabile come il muro di ghiaccio che di fatto Claudia ha frapposto fra me e lei, per sempre.
Nonostante le parole, le lacrime, i singhiozzi. Di entrambi.
Ma ora?
Che si fa?
Fhummm…
Belle domande.
 
 
(Pubblicato sul numero 42 della rivista letteraria PROSPEKTIVA, nel febbraio 2008)

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