A ruota libera (Cap. 3) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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A ruota libera (Cap. 3)

                                                                            III
                                                       10 DICEMBRE (SABATO) 2005
 
 
 
Ore 6.15.
Comincio a sentire che il sonno mi sta abbandonando. L’alba è appena cominciata. La prima alba dopo ieri: il giorno in cui Claudia mi ha lasciato, dopo tredici anni e mezzo, quasi.
Sì, sono proprio le 6.15. Le lancette del mio Sector sono fosforescenti e facili da decifrare, anche al buio, perché un po’ più grandi del normale. E’ un regalo di Claudia, e lei quando fa una cosa pensa sempre a tutto, conoscendomi. Compresa tipologia e forme delle lancette di un orologio. Me lo ha regalato per i miei trent’anni, e da allora non ne ho mai portato un altro al polso. Da quattro o cinque fessure delle tapparelle, rimaste aperte, entra un po’ di luce esterna, quindi non mi sono sbagliato, il sole comincia a sorgere. Fuori almeno.
Dentro di me, c’è solo buio pesto.
Dunque ricapitolando, sono le 6.15 e il pensiero di Claudia si è già fatto vivo. Fremente, ossessivo, angosciante. Praticamente impossibile da allontanare. E’ troppo presto per alzarmi. La mia agonia comincerebbe con disumano anticipo. So che devo stare male e ne sono anche, e ormai, rassegnato. Ho la certezza che non uscirò con facilità da quest’incubo…
Per ora cerco di bluffare, chiudo gli occhi e spero che il sonno si riappropri di me. Anche in parte, soltanto un po’, l’importante è che aspetti ancora ad abbandonare il mio corpo.
E la mia mente, soprattutto. Mi accontento di un misero dormiveglia. Oggi, è un regalo non da niente.
 
 
Ri-sveglia: ore 7.45.
 
E’ naturale e definitiva, purtroppo. Non ho bisogno di congegni elettronici per riaprire gli occhi, per riprendere a soffrire. Come mi è dovuto, come mi merito, oggi.
Eh sì, se Claudia mi ha lasciato, qualcosa devo pur averla fatta. O peggio, molto più di qualcosa. E’ il mio primo pensiero.
Assurdo, ma è così. Non so ancora cosa ho combinato, ma lo scoprirò. Presto, il prima possibile spero. Ora però, voglio andare di là, in cucina. La giornata del mio primo sabato da single, a tutti gli effetti, dopo tanti anni a questa parte, DEVE cominciare. Non può più aspettare. Non ce la faccio più a restare a letto, sotto le coperte. Mi tengono caldo, come stufe, mentre in realtà l’aria mi sembra gelida. Sento freddo, tanto freddo, ma non tra le lenzuola. Lì, nel cuore di Claudia, e ora quel gelo sta lentamente arrivando sino a me, cominciando a ghiacciarmi l’anima, i pensieri, il sangue. Tutto quello che ho e che non posso controllare.
‘Non ho più controllo su di me’, èquesta l’ultima cosa che riesco a pensare percorrendo il corridoio, prima di arrivare in cucina.
“Eccolo… s’è alzato ‘u’ campion’(*)! Buongiorno Tempesta!” e ride, ride di gusto mio padre. Sommessamente, ma col cuore, insieme a mia madre che si gira nella mia direzione, con le mani indaffarate nel lavandino. Mio padre, come al solito, mi sta davanti, seduto a capotavola, mentre io staziono sulla porta della mia stanza preferita.
 
(*) ‘Il campione’, in dialetto barese.
 
E li guardo, tutti e due. Prima l’uno, poi l’altra. Con aria intontita, quasi idiota. Oggi non mi è difficile, mi viene… naturale. Non ho neanche il tempo di rispondergli.
“Buongiorno… Che c’è, è successo qualcosa?” è il felice saluto di mia madre, in ferie, proprio oggi. Il mio sguardo, assonnato, non poco assente e in procinto di fulminarla è l’unica cosa che potrebbe evitare il peggio. Per me, s’intende.
Davvero una bella domanda per cominciare questo sabato 10 dicembre 2005. Mentre la guardo, non sapendo ancora bene cosa rispondere, mi chiedo come si fa. Come si faccia a essere come mia madre. E’ assurda, allucinante, un essere alieno, proveniente da chissà quale altra dimensione parallela, chiamata a partorirmi un giorno non comune di 35 anni fa: il 14 luglio del 1971.
14 Luglio 1789: giorno della storica Presa della Bastiglia, e da allora festa nazionale in Francia. Per questo giorno, e per il mio carattere, i soprannomi di sempre: Tempesta, Furia, Ribelle, Uragano, il Rivoluzionario e via dicendo. Oggi neanche me li ricordo tutti i miei nomignoli. Ma anche così torno con il pensiero a Claudia, perchè lei, per metà di madre, è proprio francese. Infatti, ha la doppia cittadinanza. Io invece, a stento ricordo di averne una. Sembra una congiura, qualunque mia riflessione mi riporta alla stessa persona.
L’unica e sola da tredici anni e mezzo, quasi. E’ inutile, indipendentemente dall’angolazione, quale che sia il punto di vista sulle cose, qualunque cosa, torno sempre alla medesima condizione. Sono in un dedalo cerebrale senza uscite. Anzi no, con una sola via d’uscita: Claudia. Un vero incubo.
“Mi sono appena alzato, come faccio ad avere già qualcosa che non va!?” la vorrei strozzare, mia madre. Sto mentendo, meglio che posso, ma lei c’ha preso in pieno e riesce a imbestialirmi di prima mattina con una nonchalance che ha del paranoico. Non capisce, non capisce proprio come si faccia a essere discreti. Lei, mia madre, non sa neppure dove abiti la discrezione, con i suoi figli. Mio padre sogghigna, e continua a leggere fintamente assorto ‘La Repubblica’.
L’unico quotidiano presente da sempre in casa mia. Anche lui sa bene che ho ragione, ma sa anche che se dovesse appoggiarmi troppo spudoratamente in questo campo, in presenza di mia madre, lei gli si rivolterebbe contro, come e peggio di un’arpia. Lui le deve dare ragione quando si tratta di farsi i cavoli dei figli, punto e basta. Lei deve sapere, e lui non può intralciare la sua asfissiante opera di ‘estorsione’ delle informazioni. Quella continua, regolare, implacabile e sfibrante operazione di conoscenza dei particolari a lei sconosciuti, della vita dei suoi ‘bambini’.
Di tutti e tre: Vito (solo in casa, Claudio per il resto del mondo, per fortuna) Alessandro e Flora. Esattamente di tutti e tre, nessuno escluso. Una donna, mia madre: uno sbirro spesso, un incubo a volte, quando non dovrebbe.
I matrimoni sono compromessi da accettare, e quello di darle sempre ragione, da parte di mio padre, è stato uno di quelli. Uno dei più duri da rispettare, negli anni. Soprattutto in quelli a venire credo, a naso, conoscendo ormai entrambi.
Per me è diverso, io di compromessi non ne ho mai fatti con lei. Non le ho mai ceduto, e mai lo farò. Sarebbe la mia fine. E’ questo uno dei pochi pensieri che adesso mi riesce a consolare.
Anche se soltanto per alcuni attimi. Rapidi, fugaci istanti della mia vita senza Claudia. Come volevasi dimostrare, sono per l’ennesima volta al punto di partenza: Claudia, cioè Bi.
“Dai papà, spostati. Faccio colazione.”
“Embè? Non puoi metterti da quella parte?”
“Dai muoviti, lo sai che mi siedo sempre al mio posto.”
“Tuo posto? Perché l’hai comprato? E quando?”
Poi ride, di nuovo. Oggi mio padre è di buon umore. A dire il vero lo è quasi sempre il sabato.
“Dai… spostati, ho fame!” continuo. Sa bene che non cederò. E comunque, meglio ascoltarmi, se no ‘Tempesta’ stamattina s’incazza. S’incazza sul serio, come mai prima.
Non è aria, e soprattutto non ho la minima voglia di scherzare. Peccato che i miei questo non lo sappiano. O meglio, mio padre non lo sa, e non lo immagina neppure. Mia madre, se non conosce già tutto, invece, e lo escludo perché avrebbe potuto saperlo solo facendomi parlare durante il sonno (ancora non è arrivata a tanto, in futuro non lo escludo…), ha di sicuro subodorato qualcosa. Ma per ora continuerà a far finta di niente.
Poi, con calma, quando meno me lo aspetto, ‘alla scrdat’, cioè all’improvviso, come consiglia il dialetto barese, tornerà alla carica più curiosa e rompiscatole del solito. Le voglio bene, un bene immenso, unico, enorme e indicibile, ma non la sopporto quando fa così. Lo so, dovrei, lei è sempre ‘una e mia’ madre, ma è inutile, è più forte di me. Io sono pur sempre ‘un e suo’ figlio, e a volte non la sopporto, non la reggo proprio. Per giunta, essendo il primo figlio maschio, ogni mio problema, con quello che ne segue, è amplificato
“Aaah…, ma non si può stare in santa pace in questa casa, neppure il sabato mattina! Se mi alzo tardi: e perché ti sei alzato tardi? Se mi alzo presto: e Tempesta deve fare colazione.
Mai un po’ di pace! Tra te e tua madre…” conclude mentre si sposta. Alla fine la soddisfazione di tirarle una bordata mio padre se l’è tolta. Ora ci si aspetta la ritorsione, certa.
Invece niente. Silenzio. Lei fa finta di non aver sentito. Secondo me sta pensando a cosa mi passi per la testa.
“Bravo. E ora ‘muvt’(*)” cerco di fare il simpatico, mentre comincio a prepararmi la colazione, tra gli sguardi imperterriti e sfuggevolmente indagatori di mia madre. Mio padre invece, continua a leggere, disattento. Come al solito, per fortuna.
Eppure è difficile, molto difficile far finta di nulla. Pensare e convincermi che la mia Bi in realtà ci sia ancora, e che tra un po’, dopo colazione, potrò andare a chiamarla nella mia stanza, al telefono. Come sempre del resto, come ogni sabato da oltre una decina d’anni a questa parte. Ci penso, un istante solo, e decido. Non devo rovinare questo sabato dieci dicembre a nessuno della mia famiglia. C’è aria di Natale, di festa, di doni, di buoni sentimenti. Di pizze e condimenti, di cioccolato fondente e di dolci che adoro da impazzire, mentre mangio meccanicamente gli Oro Saiwa sfatti, uno dopo l’altro, nel latte e caffè bollente. Sì, oggi non è proprio il giorno giusto per dire, o per confessare che Claudia mi ha lasciato.
…Per telefono.
Soprattutto, penso: non è mai il giorno giusto per farsi lasciare. Dopo tredici anni e mezzo, quasi.
 
 
Ore 16.45 (sono sul divano che guardo catatonico la tele)
 
Squilla il telefono. Stavolta è a portata di mano. L’avevo previsto e avevo messo il cordless sul carrello, accanto al divano.
“Si chi è?” spero con tutto me stesso che sia Claudia.
Forse ci ha ripensato, si è accorta dell’errore madornale che ha fatto e ora chiama per chiedermi scusa. La notte le avrà portato consiglio.
 
(*) Muoviti
 
Ti prego… fa che sia lei.
“Pronto Claudio?”
“Ehi… Mary” e la delusione, d’istinto, va a mille.
“Che mi dici piccolo? Stavi dormendo?”
La voce tenera e sottile, carinamente burrosa, è quella di Mariagrazia, Mary per i più intimi.
“A dire il vero… no...”
“E’ successo qualcosa, Cla?”
Magari fosse successo solo qualcosa, mi grido dentro. Semplicemente la mia vita sta andando a rotoli, tutto qui, che vuoi che sia! Quella sentimentale, per il momento, la professionale potrebbe avere la stessa identica sorte, di questo passo. Il mio contratto è in scadenza e chissà se me lo rinnoveranno. Il solo pensiero mi deprime ancor di più. Tutto in un attimo, prima di risponderle. Meglio togliersi subito il dente con Mariagrazia.
Lei capirà, come sempre, è la mia migliore amica.
“Claudia mi ha lasciato.”
“Sei proprio ‘nu’ chigghiaun’(*)” e ride, divertita. Sa che mi piace dire fesserie nei momenti più imprevedibili.
“Magari…”
Il mio tono di voce ridimensiona l’entità della sua ironia. In breve passa da quella alla sorpresa, e infine al forzato scetticismo. Lo intuisco dalla voce.
“Stai SCHERZANDO… vero?”
“Purtroppo no.”
“Ma… ma come? E perché? Quando è successo?”
“Ieri sera, nel tardo pomeriggio. Al telefono.”
“E dai Claaaa!”
Si ostina a pensare sia tutta una messa in scena.
 
(*) Un Coglione
 
“Sì al telefono” e glielo dico apposta, voglio colpire Claudia. Deve passare per una vigliacca, così almeno mi rifaccio del dolore che mi sta consumando, dentro fuori. Enorme e sempre più ingestibile. Con i miei, con Mary e con tutti, ormai.
“Ma perché, non capisco!”
Mariagrazia deve sapere la verità. Mi costa farlo, ma non posso tacergliela.
“Sono stato io.”
“A far che?”
“A dirle di lasciarmi.”
“Claudio tu stai male. Hai deciso di prendermi in giro, vero?”
Mariuccia spera ancora di ricevere il fatidico: ‘Smile, you are on candid camera!’
“E’ stato meglio così. Era da un po’ che qualcosa… o meglio più di qualcosa non andava.”
“Cioè?”
“Ho capito che non voleva più andare avanti. Le ho detto, e non una volta sola, che sarei andato a vivere da solo, ma lei niente.”
Le confesso tutto: paure, insicurezze, dubbi, supposizioni, pensieri di giorni, settimane, mesi. Bla, bla, bla…
Mariagrazia si è ammutolita. Si sente solo la mia voce lungo il filo del telefono. Non sa cosa dire, lei. Io, tutto quel che so, glielo sto sviscerando come un fiume in piena.
Chissà che mi aiuti a star meglio.
Sento che vorrebbe farmi altre domande, ma è disorientata, quasi più di me. E ce ne vuole. Le sembra tutto un’assurdità, è evidente. Io e Bi siamo… eravamo la coppia invincibile, da sempre, con tutti e contro tutto.
Claudio e Docce Amor, un altro soprannome di Claudia (che le ho dato circa due anni fa, e anche uno dei più gettonati nel gruppo) si sono lasciati. Avrebbe potuto essere soltanto uno scherzo per Mariagrazia, neppure tanto divertente.
Invece no. Stavolta non è così. Non è affatto così. Ho solo detto la verità, ed è proprio questo il problema. Il mio problema, che è già quello di Mary. E che presto sarà anche di Antonello, Pippo e Mara, Diletta e Michele, cugino di Mariagrazia. E poi ancora di Paolo e Luciana che ormai, da un paio d’anni, vivono su a Milano, ma che continuiamo ancora a vedere, appena è possibile. Un problema di tutti.
Con loro abbiamo trascorso la quasi totalità dei momenti liberi, dei giorni di ferie, delle vacanze estive, di Natale e di Pasqua degli ultimi tre anni. Dei giorni belli e di quelli difficili che ciascuno di noi ha dovuto passare, perchè così è la vita. Sempre però uniti, uno con l’altro, il più possibile. Con loro, io e Bi. Ora, tutto è finito.
“E tu come stai?”
“Non lo so ancora. C’è solo una cosa che mi ferisce, più di tutto.”
Mariagrazia non ci prova neanche a ipotizzare una spiegazione.
“Tutto è cominciato quando Claudia ha iniziato a sentirsi con Anna, quella sua amica. Quella con cui ha vissuto i due anni a Lecce, quando lavorava in Banca 121, prima che diventasse Monte Paschi e venisse trasferita a Bari.
La ragazza di Daniele, quel mio amico di Taranto, te ne ho parlato… Anche Anna è di Taranto.”
“Sì, ho capito chi sono, li hai già nominati altre volte. Ma perchè, che ha fatto a Claudia?”
“Il lavaggio del cervello, è semplice.”
“Claudio, non ci credo. Claudia non è la tipa.”
“Anch’io lo pensavo.
Eppure, combinazione, da quando quest’estate hanno cominciato a risentirsi, i problemi di Anna sono pian piano diventati i suoi.”
“Cioè?”
“Ma… Mary… delle cose che non stanno né in cielo né in terra. Allucinanti. Dice che non sa cosa vuole, che non si sente pronta a crescere, a farsi una famiglia, e che noi non litighiamo mai. Ma ci pensi? Adesso è un problema non litigare. Le persone pagherebbero, Bi invece no. Per lei questa cosa è un problema.”
“Eppure io non ho mai avuto quest’impressione. Quando abbiamo parlato di matrimonio, di case, di famiglia, non mi è mai sembrata contraria, anzi.”
“E lo dici a me? A ottobre siamo anche andati in giro per Bari a cercare casa. Un appuntamento me lo ha preso proprio lei, nel suo stesso palazzo. Restare vicino ai suoi, o ai miei non sarebbe stato male. Tutti e due eravamo d’accordo.”
“E allora? Che cosa è cambiato?”
“Non lo so, ma ogni volta che mi diceva di aver parlato con Anna, la sentivo diversa. Lei con Daniele sta di cazzo da una vita, e secondo me alla fine se non l’ha influenzata, qualcosa comunque gliel’ha messa in testa. Non è una cattiva ragazza Anna, io le voglio bene, anche se non la conosco come Claudia. E voglio bene anche a Daniele, che credimi è un carissimo ragazzo. Ora un mio amico a tutti gli effetti. Solo che tra loro non è storia, non va proprio.”
“Tu dici che Claudia si possa essere fatta influenzare da queste cose? Dai Cla, la conosci meglio di me, molto meglio di me e sai che ti ama. Non poco, lo sanno tutti.”
Le sue parole mi fanno male. Involontariamente, ma feriscono in maniera profonda.
Ora non v’è più traccia intorno a me di quell’amore infinito.
“E poi Mary, una serie di sensazioni, di pensieri…”
Sono vago, preferisco non entrare nel merito, troppo nel dettaglio, per il momento. Ma lei non è stupida, capisce al volo.
“Vuoi dire che…”
Non riesce ad aggiungere altro. Ha quasi paura di pronunciare quella parola. Potrebbe essere peggio di un proiettile dritto al cuore. Il mio.
“Forse ha conosciuto qualcuno… e…”
La voce le si spegne in gola, si fa muta. L’ha pensato e lo ha detto. Anche per lei c’è, o potrebbe esserci un lui, quindi. Come non supporlo, del resto, è stato tutto così veloce che quella sembrerebbe l’unica spiegazione più ragionevole e logica delle altre. Ancor più della precarietà di Anna e Daniele respirata da Claudia nei mesi scorsi.
“Sì, c’ho pensato. Era a quello che alludevo. Ci sono stati degli episodi in cui ho avuto la sensazione che ci fosse un… lui.
Forse un collega, che ne so…
Ma come faccio a dirlo, con certezza? Non l’ho mica mai controllata Claudia!”
“Lo so piccolo, non sei mai stato il tipo.”
Non ho più voglia di parlare. Le lacrime reclamano la loro fetta di attenzione, ma non voglio piangere al telefono. Non lo sopporto. Mi dà fastidio che Mary si trovi in imbarazzo.
“Comunque… ora è fatta. Sono solo.”
“Ma tu non sei solo. Io e Anto non ti lasceremo mai solo. Né te né Claudia, nessuno dei due. E poi è ancora troppo presto. Lasciale il tempo di pensare, di riflettere. Io sono sicura che tornerà indietro, da te. Voi siete fatti per stare insieme. Non credo sarebbe possibile vedere qualcun altro, oltre voi stessi, l’uno al fianco dell’altra.”
Era inevitabile: le lacrime cominciano a scendermi sulle guance. Calde e silenziose, sino alle labbra. Non ricordavo che quando si piange così intensamente, con il cuore, fossero anche tanto salate. Mariagrazia non può vederle, ma riesce a intuirle, a immaginare che il dolore prima o poi avrebbe rotto i fragili argini della mia coscienza d’amore.
“Voi siete Claudio e Bi, la coppia delle coppie, amico mio... No… non è possibile! Vedrai, tutto si sistemerà.”
“Non credo Mary. Sento che non tornerà. Non chiedermi perchè, ma è così.”
E intanto piango. Ormai tutti i freni sono saltati. Sto andando ‘a ruota libera’, e l’unica cosa che riesco a fare è alzarmi per chiudere a chiave la mia stanza. Non voglio che nessuno mi veda così, in questo stato. Mia madre soprattutto, non deve vedere, né sapere. Almeno non subito, non adesso.
“Non sai quanto mi dispiaccia Claudio…”
“Lo so Mary… lo so.”
E quasi non riesco più a parlare. Il groppo che ho in gola mi sta strozzando.
 “Ci sentiamo, ok?” riesco ad aggiungere a fatica. Forzando all’inverosimile le corde vocali paralizzate dal pianto. Mariagrazia lo capisce. E’ discreta lei, non come mia madre. Infatti, è una mia amica. E come tutti gli amici, quelli che si rispettano, riesce a essere presente senza mostrarsi mai ingombrante.
Le si stringe il cuore nel sentirmi così, ma sa che non può fare altro, per il momento. Proprio nient’altro. Deve lasciarmi solo, con me stesso. L’unico amico-nemico onnipresente che avrò accanto da quest’istante in avanti.
“Si… piccolo. Ma non stare così, vedrai, tutto si risolverà. Per il nostro matrimonio sarete di nuovo insieme.”
Credo che qualche lacrima stia uscendo anche a lei, adesso.
Mariuccia è troppo buona e sensibile per restare indifferente al mio dolore. Al vuoto sofferente che mi sta dilaniando, dentro. Ma intuisco che la sua sia solo una speranza, non una convinzione. Il 28 dicembre, tra neppure tre settimane, al matrimonio suo e di Antonello ci andrò da solo.
E Claudia pure, spero.
“Ciao Mary, ci sentiamo.”
“Sì… ciao Cla. Ti chiamo presto, un abbraccio enorme. Non dimenticarti che ti voglio bene, ok!?”
“Uhmm… anch’ i’…”
Le parole escono tronche, non sono riuscito a dirle tutte. Non ce la faccio più, sto per scoppiare. Sono tutto lacrime e un gocciolio inarrestabile dal naso. Mi faccio pena da solo. Credo che un uomo che si riduca così come sono io adesso susciti molta più compassione di una donna che piange, e che si dispera per amore. Forse perché questa sarebbe una scena più normale, più accettabile dal sentire comune. La verità invece, l’unica verità, è che non c’è alcuna differenza tra uomo e donna, tra maschio e femmina, quando è il cuore che si sgretola tra le mani. E non si può far nulla per evitarlo, se non aspettare che il tempo lenisca ogni ferita. Quelle dell’animo poi, sono sempre le più difficili da curare e da far guarire. Soprattutto, sono le uniche che lasciano sempre il segno, perché non c’è chirurgia plastica che possa farle sparire, o quanto meno nasconderle.
Mary ha riattaccato, e io con lei.
Penso a Claudia, alla mia Bi, ma sono ormai solo.
Definitivamente.
Dopo tredici anni e mezzo, quasi...
 

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