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A ruota libera (Cap.2)

                                                                        II
      09 DICEMBRE (VENERDI') 2005
            Ore 20.15
 
Sono passati solo alcuni minuti da quando Claudia ha riattaccato e ancora non mi rendo conto di ciò che è accaduto. Mi sento come sospeso, in un vuoto muto e irreale. Tutt’intorno. A stento riesco a udire i rumori provenienti dalla cucina. Di mia madre che armeggia, decisa, tra le pentole. Quelle in alluminio che le abbiamo regalato l’anno scorso, a Natale.
Tra un po’ si cena, e a lei non piace fare tardi. Perché poi deve stendersi sul letto e guardare la televisione sino a quando non sopraggiunge il sonno. Inevitabile e rapido dopo una giornata, iniziata alle sette, divisa tra lavoro e casa, con tre furie di figli in circolazione. Avverto, a stento, il vociare confuso e ovattato di Sandro e Flora, di là, nella loro camera. Di sicuro ridono per una delle tante fesserie che si dicono ogni tanto per spezzare il ritmo di studio di mia sorella.
Io invece, resto nella mia stanza, immobile. Incapace di reagire, di farmi vedere con uno sguardo ebete che nessuno di loro, o dei miei, potrebbe e saprebbe capire. Come ci riuscirebbe, del resto, se neppure io mi rendo ancora conto di ciò che è avvenuto, realmente.
D’istinto, senza pensare, spengo la tele, l’avevo ammutolita rispondendo al telefono e ora non mi serve più. Neppure per farmi compagnia.
Non potrebbe, non è più sufficiente, e non lo sarebbe null’altro al suo posto. La televisione no, già, ma Claudia sì.
Peccato che… lei invece, non ci sia più.
Silenzio: gelido e tombale, fuori e dentro di me. Poi, le prime incalzanti domande.
Ma come è possibile?
Perché?
Davvero è successo?
A me e a Bi. Proprio a noi due, la coppia invincibile...
Dopo tanto tempo, tanti anni. Sì, tredici e mezzo, quasi.
No… no, non ci credo. E’ solo un brutto sogno. Un orribile incubo da cui presto mi sveglierò e tutto tornerà come prima. Sì, ne voglio essere sicuro, così ogni cosa, mia e di Bi, tornerà a risplendere.
Fhumm…
Ma davvero prima della sua telefonata era tutto così splendido, lucente?
‘Ne sei proprio sicuro Claudio?’ ripeto a me stesso, di continuo. E questa domanda mi assilla. Mi opprime e mi piega la coscienza. E’ l’ora dei dubbi e dei perché. Tanti i primi, infiniti i secondi. E ogni cosa continua a restare nera e buia, ancor più di prima. Dicono che soltanto le donne riescano a soffrire davvero per amore. Dato come mi sento mi sa proprio che questo detto andrebbe seriamente rivisto. Sto malissimo, mai provato nulla di simile in vita mia.
 
Il nulla, dentro e fuori di me.
 
Ora basta! Restare così, fermo, con le lacrime agli occhi e muto come un idiota non è da me. A che serve poi? Claudia non torna mica così facilmente.
Non può vedermi, non mi può sentire.
Né sa o immagina quanto in realtà sto soffrendo. Come e peggio di un cane.
Perché poi, più di un cane? Loro non hanno di questi problemi, di cuore. Non vengono lasciati dopo tredici anni e mezzo, quasi. Loro. Anzi, la compagna di un cane gli resta fedele sino alla morte. E Claudia? Lei mi è rimasta fedele?
O tutto questo, ogni cosa accaduta negli ultimi tempi, in questi mesi, dopo l’estate, è dovuta a qualcun altro? Che lei mi ha nascosto, e forse adesso se ne è pure innamorata!
Ma sì… certo, deve essere così! In questo modo tutto ha un senso. E io almeno sono tranquillo, diciamo…
Sì perché so con chi prendermela. Se c’è però, un lui. E se invece così non fosse? Maledizione come faccio a saperlo?
Come…
 
Ma che vuoi sapere, Claudio? Bi ti ha mollato, ti ha mollato e basta. Lo capisci, eh?
Lo capisci che ti ha scaricato, che non sei più nessuno per lei? Anzi, tu non sei proprio più niente, in assoluto.
Niente vuol dire che vali meno di un conoscente, di un collega. Sei uno come tanti ormai. Proprio fortunato, dopo tredici anni e mezzo, quasi. Ora sei uno zero per la tua Claudia. No, solo “per Claudia”, perchè non è più tua. E forse, non lo è mai stata, comincia a convincertene.
 
Fosse facile…
“Vitooo!”
E’ mia madre che mi chiama.
Sì, io sono anche Vito. Vito Claudio, tutti e due primi nomi. In ossequio a una stupida tradizione familiare di questo paese di craniolesi. Tuo nonno si chiama Vito? E allora anche tu ‘devi’ chiamarti Vito. Specie se tua nonna, come nonna Maria, lo pretende. E non importa se a mio nonno, nonché suo marito e padre di mio padre, l’unico che in realtà avrebbe potuto avanzare una richiesta simile per il suo primo nipote, maschio, non gliene freghi assolutamente niente. Per sua moglie, nonché mia nonna, le cose stanno diversamente, eccome.
E’ un punto di principio, quasi d’onore: il nome del primogenito maschio, di un figlio maschio, diventa il primo terreno di scontro tra suocera e nuora. Così è stato per mia nonna e mia madre, infatti.
Lei, mia madre, Vito non lo avrebbe voluto per me neppure sotto tortura. Mia nonna solo quello. E allora?
Semplice: ti chiamiamo Vito Claudio, senza la virgola tra i due, così restano a tutti gli effetti primi nomi entrambi, e si accontentano capra e cavoli. Non importa se da quel momento in avanti dovrai firmare con tutti e due e ci metterai ogni volta un quarto d’ora, è solo un problema tuo.
Una bella rottura di scatole, ma non per loro, certo.
L’importante è che ora siano d’accordo.
Così almeno l’equilibrio incrociato di due famiglie, dei miei e dei miei nonni paterni, è salvo. I complessi per un nome brutto e i fastidi di una firma lunga, restano invece del nipote.
Semplice no?!
“Vito! Perché non rispondi?”
Mia madre è arrivata in camera. Ha acceso la luce e ora capirà tutto. Non dico nulla, neppure una parola. La guardo e basta, a occhi semichiusi, facendo finta di sonnecchiare, mentre le lacrime sotto le palpebre reclamano vendetta.
Ma proprio in questo frangente non si devono far vedere. Non ora, con mia madre davanti, altrimenti è la fine.
Le domande che mi rimbombano ancora, in testa, saranno niente in confronto a quelle che mi farà lei, se si accorge di qualcosa. Devo recitare, e bene anche.
“Di’! Che c’è?” (*)
Le sembro seccato, ma questo è normale. Pensa di avermi svegliato, quindi sa che sto per mandarla a quel paese per direttissima se non mi dice in fretta cosa vuole, così può spegnere di nuovo la luce e andarsene. Il prima possibile.
“Vuoi cenare, o devi fare palestra?”
Ci penso un attimo. Una frazione di secondo. Già, dovrei fare palestra, pure. Me ne ero dimenticato.
“No, non la faccio.  Ma comunque non mangio ora, dopo.”
“E allora cosa ti lascio?”
Quando fa così la odio. Sa bene che c’è sempre di tutto e di più in cucina, da mangiare, quindi che cavolo si trattiene ancora! Del resto non ho bisogno di nessuno, so vedermela da solo con i fornelli. E lei sa bene anche questo.
Solo che è diffidente, peggio di tutte le altre mamme. Soprattutto è sempre in ascolto, come una vedetta. Il minimo dubbio e parte la sequela interminabile di domande che, già dopo la prima, mi portano quasi sempre a dire che deve sparire.
Oggi non mi deve assillare come suo solito. Non ho tempo di sentire sempre le stesse cose, il solito copione. Sto troppo male. Anzi, molto, molto peggio. Sono un cencio, dentro, eppure devo fingere per non darglielo a vedere. E questo mi fa stare ancora peggio. Ci sono momenti in cui mia madre mi fa davvero incazzare. Da morire. Se adesso non si toglie davanti, subito, non avrò pietà. Come Claudia non ne ha avuto con me. Anzi no, peggio.
 
(*) In gergo barese è spesso usato il ‘di’ al posto del ‘dimmi’
 
“Lasciami quello che c’è, basta non sia grasso. E ora spegni la luce e sparisci!”
“Eh madonna, ho fatto solo una domanda…”
‘Sì… tu ne hai fatta una sola’ penso, tra me e me, impassibile, ‘io ne ho la testa piena. Delle mie però, di domande.’
Comunque, se ne è andata. E almeno per il momento potrò starmene a pensare, da solo. In stanza, come al solito, come sempre quando qualcosa non va: all’università, al lavoro, con gli amici, oppure con Claudia.
Già, con Claudia…
Chissà che sta facendo?
E’ uscita? E con chi?
Ma sì, con lui, ne sono sicuro. E vai a vedere cosa stanno facendo adesso. Lui e lei, in macchina, magari.
Con me, la sua auto Bi non l’ha mai presa. Ma chissà, ora è tutto diverso, è un’altra cosa.
Cosa darei per sapere chi è, lui.
 
Sei uno stupido Cla, non è passata neppure un’ora e tu in pratica le hai già dato della puttana. Sai bene che non è così.
Forse ti fa comodo, ti aiuta, perché azzera i perché, quelli che fanno male, te ne fanno tanto. Perché sono come e peggio di pugnali, come lunghe lame affilate che trafiggono il petto, ogni volta che ci pensi. E che ancor di più te ne causano quando fuoriescono, lentamente, dalle carni dilaniate, distrutte, lacerate irrimediabilmente. Mentre lasciano scoperte, vive e pulsanti, ferite che non si rimargineranno. Non con facilità almeno. Non ora, e non domani, di certo.
Più avanti… chissà.
Claudia una traditrice?
Smettila Claudio… non è giusto.
Lo sai che ti stai sbagliando.
 
Hai ragione, non lo farebbe mai. Impensabile il solo pensiero. Lei non è così. Lei è diversa.
Anche se… i tempi cambiano, e le persone pure.
Quindi… forse… anche lei…     
No, no, non è così!!
Adesso vado in bagno, ho la vescica piena, devo far pipì.
Mi meraviglio non mi sia venuta prima visto come sono fatto. Poi, me ne andrò a dormire. Non faccio palestra e non ceno, non mi va. Questa serata deve finire. Il prima possibile.
E mia madre?
Ora capirà!
Be’, chi se ne frega.
Meglio per lei mi stia lontana.
 
Pipì – Cucina (per un po’ d’acqua) – Camera mia – Pigiama – Letto.
 
 
Buonanotte Claudio.
 
Sì, proprio buonanotte...
 
 
 
 
 

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