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Tutto il villaggio lo saprà 2.0

Ho scritto e sto per pubblicare il mio primo romanzo.
Ritengo però fondamentale avere prima un riscontro da chi è abituato a leggere e a scrivere, come lo siete tutti voi, abituali frequentatori di Rossovenexiano.
questo è il secondo post in merito..
Ecco altri due capitoli del romanzo.
 
sono graditi e ben accetti commenti di ogni tipo, soprattutto le critiche!
 
 
cap 13/14/15
 
cap 13

Nonostante il ristorante si trovasse a poco distante dal museo, Ippoliti fu irremovibile nel voler prendere l’auto. Forse per impressionare il commissario col lusso della sua Mercedes SLK coupé o forse per fargli capire che se poteva girare con la macchina nel centro storico era perché certi permessi speciali li danno solo a persone speciali. Quindi che facesse attenzione a non infastidirlo troppo, il caro commissario. O forse tutte e due le cose insieme.

Punto sul vivo Castelli decise che, se il direttore voleva, giocare lui non sarebbe stato da meno, anche se da un altro punto di vista. Aspettò soltanto di essere seduto al tavolo. Nel frattempo cercò di essere quanto mai gentile ed educato. Quando arrivò il cameriere affondò il colpo che stava meditando. Tanto per cominciare ordinò una terrina di fegato grasso d’anatra al vermouth Carpano, mele renette e pepe di Sarawak (domandandosi dove cavolo fosse Sarawak), sottolineando quando fosse cortese il direttore a voler offrire a entrambi un pranzo tanto prelibato e, senza dargli tempo di rispondere, fece aggiungere come secondo un controfiletto di cervo con puré di zucca ed amaretti, pere e olio di mandorla (ma non si usava per i massaggi, l’olio di mandorla?). Il direttore non fece una piega, anzi propose un nebbiolo di Dogliani per innaffiare il tutto. E su questo Castelli non ebbe niente da obiettare, anche perché, pure se Torino era la città che l’aveva ormai adottato, lui veniva dalle Langhe. Anzi, manco farlo apposta, Dogliani era proprio il suo paese natale.

Nell’attesa delle pietanze fu il direttore a iniziare il discorso. O meglio, ad rispondere al colpo.

“Il pepe di Sarawak è il migliore in assoluto, non è forse vero? Ma per quanto sia buono quello importato non c’è paragone con il chicco raccolto in loco. Immagino che un uomo raffinato come il nostro commissario conosca bene quei meravigliosi luoghi, mi sbaglio?”

Beata curiosità! Ma soprattutto benedetta Wikipedia! Mentre gli altri due stavano ancora ordinando Castelli, come spesso accadeva, incuriosito da un nome sconosciuto ed esotico, con il cellulare aveva cercato su internet dove o cosa diavolo fosse Sarawak. E aveva scoperto che:

“Ha perfettamente ragione, direttore. La Malesia in questo periodo ha davvero un clima stupendo. Purtroppo è anche una meta tristemente nota per il turismo sessuale, principalmente italiano e soprattutto con minori. Ma di certo non è per questo che il nostro direttore la conosce tanto bene, mi sbaglio?”

Uno a zero. E se non era una botta di culo questa. Era pure riuscito a portare il discorso dove voleva lui. Però non gli andava di arrivare subito al punto, preferiva fare un giro po’ più largo. Quelle che aveva in mente non si potevano neppure chiamare ipotesi. Erano giusto sensazioni, e non si poteva scoprire troppo.

Sulla faccia del direttore si dipinse un mezzo sorriso storto, quasi ad angolo retto.

“Al commissario piace scherzare. Beh, passiamo ad argomenti meno lieti. Mi dica, qual è questa brutta notizia?”

“Forse abbiamo capito come è avvenuta la sostituzione alla ‘Tomba di ignoti’. Pensiamo che a metterla in atto sia stata una persona interna al museo.” Era vero solo in parte, ma voleva vedere che reazione avrebbe avuto Ippoliti.

“Mi sta prendendo in giro?”

Lo stupore del direttore sembrava sincero. Anche Lucia ebbe un sussulto.

“Non posso credere che qualcuno del personale abbia fatto una cosa simile. Conosco bene tutti i miei dipendenti e non lo ritengo possibile nella maniera più assoluta.”

“Eppure qualche indizio c’è.” rispose Castelli iniziando a spiegare le ipotesi che aveva discusso con Giordano. Lucia ascoltava sempre più attentamente, con una lieve ma crescente irrequietezza.

“Inoltre” proseguì il commissario “abbiamo anche un paio di ipotesi sul perché il colpevole l’abbia fatto e sul significato della ‘vergine alata’. Ma sono solo teorie, ed è ancora troppo presto per parlarvene.”

Non era troppo presto. In realtà non aveva assolutamente nessuna idea in proposito, ma ora che era in ballo tanto valeva ballare.

“La ‘vergine alata’. Potrebbe quasi essere il titolo di un romanzo di D’Annunzio. Commissario, vedo che ha anche una vena poetica.”

Ippoliti aveva ritrovato apparentemente la calma. Lucia invece continuava a fissare Castelli, con lo sguardo di chi sembra essere sul punto di dire qualcosa ma senza riuscirci. Era bello lo sguardo di Lucia, anche in quel momento. Affascinante e alieno insieme, come sempre.

“In ogni caso commissario, non vedo come la cosa possa interessarla. Non credo sia neppure competenza della Polizia, visto che non è stato commesso nessun vero e proprio crimine. Per scrupolo condurrò io stesso una piccola indagine interna, ma le ricordo che lei è qui per organizzare la sicurezza di sua Santità, non per trovare fantomatici quanto improbabili pazzoidi tra il mio personale. Si occupi del suo lavoro che al mio so badare da solo.”

Nel frattempo erano arrivate le portate e il discorso virò sulle squisitezze della tavola. Il pepe di Sarawk non venne però più menzionato.

Mangiarono con gusto. Non poteva essere altrimenti vista la qualità delle ricette. Una volta terminato il pranzo il cameriere portò il conto. Mentre Ippoliti tirava fuori la carda di credito Castelli decise che era il momento di giocare l’asso. Stava rischiando, sapeva che le sue sensazioni confuse e informi potevano costargli un bel cazziatone se il questore fosse stato informato dal direttore di quella conversazione senza capo né coda, ma voleva vederci più chiaro. Aveva bisogno di mettere nuovamente a disagio Ippoliti e osservare cosa succedeva.

“Tra l’altro, mi risulta che lei sia parente di una certa Federica Ippoliti, quindici anni, dico bene?”

“Dice bene. Perché me lo chiede?”

“E’ scomparsa da almeno due giorni. Forse lei ha qualche sua notizia.”

Il direttore sbiancò. Lucia ebbe un nuovo fremito.

“Federica? Ma cosa dice? Che cosa è successo? No, non ho sue notizie recenti, siamo parenti parenti per via paterna, ma mi pare che il padre ora viva in Toscana. Non ci siamo mai frequentati molto… Federica invece a volte viene al museo, è una ragazza curiosa e ha una vera passione per l’Egitto. Mi è capitato in qualche occasione di farle da guida e chiacchierare con lei. Anche Lucia l’ha conosciuta.”

“Sì, la conosco anch’io. Non le sarà successo nulla di grave, spero?” chiese con agitazione l’assistente, mentre con la coda dell’occhio cercava lo sguardo di Ippoliti.

“Non lo sappiamo. Come le ho appena detto è scomparsa.” abbozzò Castelli.

“Commissario, non so perché mi sia venuto a dire queste cose. È la seconda volta oggi che tira fuori argomenti non c’entrano niente con il suo lavoro al museo. Ma questa notizia mi turba molto. Se avrò qualunque novità utile la informerò e la prego di fare altrettanto. Appena sarò in ufficio telefonerò alla madre per sincerarmi delle sue condizioni. Immagino sia sconvolta.”

“Infatti, è proprio così. Grazie per il pranzo direttore e mi scusi se l’ho allarmata. Se vuole per oggi sospendiamo i lavori.”

“No, no. Torniamo al museo e riprendiamo da dove abbiamo lasciato.”

Mentre uscivano dal ristorante Castelli pensò che forse aveva fatto un buco nell’acqua. Ippoliti era sembrato sinceramente colpito dalla notizia della scomparsa di Federica. Forse era il caso di smetterla di inseguire sensazioni balorde e iniziare a lavorare con i piedi per terra, lasciando i colpi di genio e le intuizioni improvvise alle serie televisive che tanto detestava ma che altrettanto, evidentemente, invidiava.

Con i suoi tentativi alla cieca aveva ottenuto il solo risultato di turbare due persone senza fare un solo passo nella direzione giusta. E aveva pure perso tempo prezioso per l’organizzazione dell’ormai imminente visita papale, rischiando una sfuriata da parte del questore.

Ma i buoni propositi non ci misero molto ad abbandonarlo. Mentre camminavano verso museo il suo pensiero continuava a tornare sull’inquietudine mostrata da Lucia durante il pranzo. Gli sembrava che nell’aria ci fosse qualcosa di non detto. Si chiese che cosa fosse.

 

Ma, soprattutto, si chiese se anche lei si era rifatta il seno, come Georgine.

 

 

14)

Per primo arrivò il freddo. Intenso e maligno su tutto il corpo come una coperta di spilli. Poi ci fu il dolore. Sordo, gonfio e pulsante salire dai polsi e dalle caviglie fino alla testa. Ed infine il buio. Totale e unto, come nel fondo di un lago di petrolio. Sentiva il volto umido e un leggerissimo velo di vento, come unghie spezzate, graffiare la pelle.

Non sapeva dov’era né si ricordava cosa era successo. La sua mente era annebbiata. Solo qualche breve lampo illuminava la memoria, che lentamente si riprendeva dal sonno prolungato e forzato, riportando immagini come fotogrammi sconnessi.

Il ritorno verso casa, il saluto di qualcuno che conosceva ma non riusciva a focalizzare, lo stupore, la paura.

E mentre lentamente la lucidità, o soltanto una sua un’ombra, riaffiorava, con essa cresceva anche un'altra sensazione, di un’intensità sconosciuta e totalizzante.

Disperazione.

Infinita come il buio che la imprigionava.

Scoppiò a piangere. E nel silenzio i suoi singhiozzi rimbombavano con la forza di un’esplosione insopportabile. Smise senza quasi rendersene conto. Rimaneva nell’aria immobile soltanto un lieve gemito quasi inumano. Un suono che non credeva di poter produrre.

Gli occhi cominciavano ad abituarsi all’oscurità e gradualmente prese coscienza dell’ambiente in cui si trovava, anche se la paura sovrastava la ragione e i suoi sensi sembravano non riuscire a percorrere le vie nervose che conducono al cervello, smarriti. Il pensiero si addensava in nuvole d’angoscia. Comprese di trovarsi in ambiente di piccole dimensioni, con il soffitto piuttosto basso. Provò ad alzarsi, ma la lunga inattività le causò una fitta di dolore inaspettata. Scattò involontariamente verso destra e la faccia le andò a sbattere con violenza contro la parete che si trovava alle sue spalle. Sentì un labbro spaccarsi e il sapore del sangue misto a terra invaderle la bocca. Crollò al suolo e riprese a singhiozzare. Mentre il suo corpo sussultava, con la mano sfiorò un oggetto dalla forma familiare. Allungò le dita e afferrò qualcosa che per un momento riportò un fiotto di speranza e luce inattesa. Il suo cellulare. Tenne premuto il tasto di accensione e dopo pochi secondi il display si illuminò. Era carico, le sembrò di rinascere. Aspettò a lungo che l’antenna captasse un segnale qualsiasi, ma dopo qualche minuto si rese conto che era inutile. La luce irradiata dal dispositivo rese evidente ciò che già sospettava. Era sottoterra, ed era perduta.

 

15)

In piedi di fronte al tavolo su cui erano state distese le planimetrie del museo, Ippoliti parlava ininterrottamente da almeno un quarto d’ora. E da circa quattordici minuti Castelli non lo ascoltava più. Se nei rapporti interpersonali appariva aggressivo e veemente, nelle questioni lavorative il direttore era di una meticolosità insopportabile. Il commissario, che già per natura faticava a mantenere la concentrazione su un unico argomento, si guardava intorno distratto, lasciandosi trasportare dalla corrente dei suoi pensieri. Che finiva inevitabilmente per concentrarsi sul corpo di Lucia De Bernardi. Con gran senso di democrazia non indugiava su nessun dettaglio in particolare, ma lasciava che ogni parte della figura dell’assistente lo raggiungesse con uguale esuberanza. Una meravigliosa applicazione della ‘par condicio’, pensò.

La tensione avvertita durante il pranzo sembrava essersi completamente dissolta.

Dal canto suo, Lucia non era del tutto inconsapevole delle occhiate che Castelli le lanciava. Anzi pareva apprezzare, con timidi sorrisi, quelle attenzioni neanche troppo velate. Entrambi aspettavano con impazienza che il direttore proponesse un pausa per un caffè, per poter finalmente scambiare due chiacchiere che non riguardassero il lavoro. Ma l’idea non sembrava neppure sfiorare Ippoliti, che continuava a cantilenare problemi e soluzioni come un telegrafo impazzito, totalmente ignaro della chimica che si stava impadronendo dell’atmosfera.

A interrompere il salmodiante direttore fu invece la porta che, aprendosi all’improvviso e generando una corrente d’aria, fece volare via le mappe del museo disposte sulla scrivania.

Era l’ispettore Giordano.

“Al commissariato non insegnano a bussare?” domandò seccato Ippoliti. “Vedo che vi scelgono proprio col lanternino.”

“Chiedo scusa. Commissario, ho bisogno di parlarle.”

“Ti ascolto, Giordano.”

“Sarebbe meglio in privato.”

A malincuore Castelli lasciò l’attività di cartografo anatomico appena intrapresa e uscì dalla stanza, con la speranza di poter riprendere presto il suo studio.

“Giordano, ti piace la geografia?” chiese una volta fuori dall’ufficio del direttore.

“A dire il vero mi sto appassionando alle dighe, commissario. Ci sono diverse cose che devo dirle.”

“Parla.”

“Ho fatto quello che mi ha chiesto. Il cellulare di Federica Ippoliti risulta rintracciabile fino a ieri, poi diventa irraggiungibile.”

“Come immaginavo. L’avranno distrutto oppure hanno rimosso la scheda.”

“No, commissario. È irraggiungibile in senso letterale. Ovvero è ancora attivo ma si trova in luogo dove non c’è campo. L’operatore della compagnia telefonica mi ha spiegato che i segnali mandati dall’apparecchio sono differenti nei due casi.”

“Questo è strano. Forse è stato gettato in punto particolarmente isolato, ma sarebbe stato molto più semplice e sicuro distruggerlo.”

“L’ho pensato anch’io.”

“E sei riuscito a farti dire da dove sono stati mandati gli ultimi messaggi?”

“Sì, è stato più semplice del previsto. Sono partiti dalla zona della Gran Madre, pare dalle parti di via Asti. Poi il segnale si è spostato fino al centro, in prossimità del parcheggio sotterraneo di piazza Vittorio Veneto e a quel punto è scomparso.”

“Ed ecco forse la risposta al perché sia diventato irraggiungibile. Là sotto i telefonini non prendono.”

“La devo di nuovo deludere. Ci sono stato qualche giorno fa e hanno attivato un sistema GSM.”

“Punto e a capo, allora. Resta ancora una cosa da fare. Dobbiamo controllare se qualche conoscente della famiglia, magari qualche amica di Federica, abita dalle parti di via Asti. Se così fosse tutto il mio castello di teorie potrebbe crollare, e in fondo non mi spiacerebbe. Magari Federica ha semplicemente voluto andarsene per qualche giorno. E così si spiegherebbe anche perché il telefonino non sia stato distrutto.”

“È venuto in mente anche a me e ho già verificato. Tra le persone della lista lasciataci dalla madre non c’è nessuno che risieda in quella zona. Ho anche chiamato Giulia Maffei per chiederle informazioni in merito, che ha confermato. Almeno nessuno che le venga in mente.”

“E siamo di nuovo in vicolo cieco.” scrollò la testa Castelli.

“C’è ancora una cosa che devo dirle. Mentre stavo conducendo questi accertamenti è entrato nel mio ufficio il questore Ferrari per informarsi sullo stato della messa in sicurezza per la visita papale. Quando ha capito che mi stavo occupando d’altro si è incazzato come una vipera e mi ha chiesto spiegazioni. Ho dovuto dirgli dell’indagine sulla scomparsa di Federica. Mi ha urlato che in questo momento non possiamo perdere tempo dietro a tutte le ragazzine che scappano di casa per infrattarsi chissà dove, con chissà chi, a fare chissà cosa. E ha sospeso il caso fino a dopo l’inaugurazione dell’esposizione della Sindone.”

La notizia prese alla sprovvista il commissario.

“Cazzo.”

“Già, cazzo.”

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