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Tutto il villaggio lo saprà. E tu?

Come ho già fatto in passato, ci terrei a sottoporre al vostro giudizio, che credo sia esperto e spassionato, un brano del mio romanzo, per avere critiche e suggerimenti.
 
qui c'è il cap 25.
se volete leggere il resto, gratis, lo trovate su
 
25)
L’aveva vista molto spesso negli ultimi giorni e aveva lasciato il suo letto solo da poche ore, ma Castelli sentiva un bisogno quasi chimico di ritrovare i lineamenti di Lucia e passare altro tempo insieme a lei.
Una specie di magnetismo intimo e corporeo lo attirava verso il luogo dell’incontro, che distava alcune centinaia di metri da dove si trovava in quel momento.
Era qualcosa di diverso dagli effetti della semplice infatuazione. Gli sembrava che qualcosa di profondo agisse dentro di lui a livello molecolare, come se le cellule tutte del suo corpo si stessero protendendo nell’atto di ricongiungersi in un’originaria unità, con la stessa naturalezza con cui le unghie crescono e i capelli cadono.
Era quel fascino sottile e alieno di Lucia ad attrarlo in particolar modo, pensò, quella combinazione di gesti giovani e ancestrali insieme che caratterizzavano tutta la sua vita. Gli ricordava una sorta di gioiello antico, ritrovato tra sabbie e rocce, scintillante di maledizioni e promesse.
Pensando a lei gli venne improvvisamente in mente anche Georgine. Forse era stata proprio la somiglianza tra le due ad aver inizialmente coinvolto il commissario e ad averlo avvicinato verso Lucia. Ma poi il sortilegio della ragazza l’aveva avvolto come un mantello, e lui si era fatto volentieri imbrigliare.
Come sempre la fantasia gli correva troppo, pensò. La conosceva da un paio di giorni appena e già aveva deciso che sarebbe stata la donna della sua vita. Ma non poteva farci niente, lui funzionava così. Provava soltanto sentimenti assoluti, che poi si rivelavano totali disgrazie nel momento in cui si estinguevano.
A nulla gli servivano le esperienze passate: quando capitava c’era poco da fare, ci ricadeva puntualmente.
Tutto insieme gli vennero in mente alcuni versi senza ricordare a quale poesia appartenessero.
Era un’altra sua caratteristica. Se in simili circostanze la maggior parte delle persone canticchiava canzoncine, a lui succedeva quest’altro fatto. Riemergevano dalla sua memoria frammenti di brani mandati a memoria da bambino, quando a scuola ancora si recitavano le poesie cantilenandole come filastrocche, ma non riusciva quasi mai a rammentare da quale composizione provenissero.
 
‘Non ti morde
cura nessuna; e già non sai né pensi
quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.’
 
Sorrise pensando di essere davvero un bel po’ strano. C’era del torbido da qualche parte dentro di lui se con la stessa naturalezza si faceva tanto avvinghiare dalle perverse fantasie di un transessuale quanto declamava versi immortali mentre raggiungeva una ragazza.
Tirò fuori dalla tasca il cellulare per cercare su internet a chi appartenessero quei versi, che come un mantra gli erano andati in loop nel cervello, ma non fece in tempo.
Mentre digitava le parole sull’apparecchio la voce di Lucia lo chiamò dall’altro lato della piazza.
“Andrea!”
 
‘e già non sai né pensi
quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.’
 
Appunto. La vista della ragazza riaprì quella piaga, dolcemente.
Si baciarono senza fretta gustando reciprocamente la necessità dell’altro, maturata nell’assenza.
“Mangiamo qualcosa? Ho una mezz’oretta a disposizione.” domandò il commissario che volentieri avrebbe passato quel tempo in altro modo.
“Va bene.” sorrise Lucia “Per me basta anche soltanto un panino, non sono abituata a mangiare troppo a pranzo.”
“Perfetto, anche se mi mancherà il pepe di Sarawak.”
Lucia rise e si incamminarono verso un locale che si trovava poco distante.
Aveva già mangiato diverse volte al ‘Caffè delle Scienze’ ma gli faceva sempre piacere tornarci, così fu contento quando la scelta cadde proprio su quel bar. Gli piaceva l’atmosfera un po’ bohemien che si respirava e i panini che preparavano erano abbondanti e originali. Ne ordinò tre.
“Anche tu ti tieni leggero, vedo!” si stupì Lucia.
“Troppa attività fisica in questi giorni.” rispose malizioso Castelli, evitando di commentare che l’esercizio degli ultimi tempi non era stato soltanto quello fatto nel letto della ragazza. Ma, nonostante tutto l’amore che potesse avere per il dovere di cronaca, non gli sembrava proprio il momento di tirare fuori l’argomento Georgine.
“Carino qui, vero?” chiese Lucia addentando il primo boccone della sua piadina speck e brie.
“Sì, mi capita di venirci, ogni tanto. Fanno bene da mangiare.” rispose il commissario cercando di trattenere in bocca crauti e senape, frutto di un morso troppo generoso dato al suo hot dog, primo delle sue tre vittime.
“Ma la cosa che mi piace di più” proseguì, continuando a lottare con il ripieno del panino che cercava in tutti i modi di sfuggire all’inevitabile destino che lo attendeva “è il sistema di chiusura della porta del bagno. Hai visto come è fatto?”
Lucia si voltò verso l’ingresso dei servizi domandandosi se per caso Castelli la volesse prendere in giro o parlasse seriamente.
“Hanno messo un sistema di contrappesi che permette di aprire contemporaneamente entrambe le porte, mentre quando sono chiuse serve come meccanismo di bloccaggio. Non sono mai riuscito a capire esattamente come funzioni, però mi affascina. Sarà deformazione professionale. Non mi spiacerebbe trovare un modo per aprire tutte insieme le porte che conducono alla soluzione di un caso. Individuare quell’elemento che sblocca tutti gli altri e spalanca la strada della verità. Il problema sarebbe solo uno.”
Lucia lo fissava con aria interrogativa.
“Quale?”
“Che, alla fine di tutto, per come ci arrivi, trovi sempre la stessa cosa ad aspettarti.”
Bastò un gesto del commissario con il mento a indicare il bagno per far capire a Lucia a cosa si riferisse.
Alla fine di tutto c’è sempre e soltanto merda. La nostra metà fangosa, il rifiuto stesso della nostra natura. Che speriamo di eliminare giudicando e condannando gli altri, ma che è parte intima del nostro essere umani.
“E tu saresti lo sciacquone?” commentò con un sorriso Lucia.
Questa volta le guance di Castelli, tese nello sforzo di reprimere la risata che sentiva crescergli in gola, non riuscirono a trattenere l’acqua che in quel momento stava bevendo. Un piccolo spruzzo finì sul suo tovagliolo e sulla sua camicia.
Lo prese un attacco di tosse e riso insieme. Rise di cuore anche Lucia. Una volta passato ricominciarono a mangiare, parlando di quelle cose senza importanza di cui chiacchierano soltanto gli innamorati.

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