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Scritto da © voceperduta - Mer, 09/07/2014 - 13:25
Le coperte sono sempre di cristallo,
basta un sottile colpo per non riconoscerne
più le pose.
Io dispongo le parole come enigmi striati
che la luce del giorno porta via,
concertando soluzioni mai avverate.
Qual'è il premio per questa nuova sordità?
Che i bambini possano non chiedersi il
perché di quei tumulti in faccia, e abbracciando
lo zaino si convincano che il dovere è una
dimensione della bellezza.
Altro non posso, non voglio dirgli.
Di quanto il vetro faccia male, quando lui
stizzito sibila un bricco sui miei polsi,
non mi riuscirà mai di dirlo.
Gli agganci storditi al cuscino, a una felpa
d'altre scosse macchiata, forse quello potrò
raccontarlo piegando un lenzuolo in due,
come abitudine che si vesta d'inganni.
La sera, a pugno chiuso, lui sceglie
su quale vertebra scagliarsi.
Riesce a farlo senza rumore, ormai.
Sento una spinta di fuoco, un bruciore
che si fa perenne consumazione.
E, alle volte, quando la federa si dilata,
vedo scivolare al suolo un gemito
di piume dai voli singhiozzati.
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