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La canzone dell'estate

 
là nel caldo imbarazzante
su quel ramo verdeggiante
la cicala, ch'è un cantante
lo fa solo per l'amante.
kreeee...kre...kre...kre...kre...
ora succhia una ciliegia
si rinfresca non è allegra
è un bel dire non fa niente
il maschietto impenitente
kreeee.e..kre.e..kre.e..kre.e..kre.e..
se non canta non si sposa
e la chiama senza posa
ci son tanti concorrenti
tutti pronti a farsi avanti
kreee...kree...kreeeee...kre
il suo tempo dura appena
dalla nuova a quella piena
sembra un gioco, ci vuol lena
uno sforzo che ti svena
kree..e..kre...e...kre...e...kre
tutto il dì senza intervalli
apri e chiudi quei timballi
è un lavoro da cavalli.
sempre l'uomo ha tanti falli
la dileggia oppur la incolla
all'immagine fasulla
d'un insetto a fare nulla
con chitarra su a tracolla.
kreeee...kree...kre....kre...
 
 
 
 
 

Libertà d'amare

 
Felicità stà nel procurarsi il
piacere senza a nessun nuocere.
 
Stolto il pensar ad una vita
di pene dolori ed astinenze.
 
Perchè il "Supremo Essere" mai
potrà compiacersi di tali sacrifici.
 
Atlantis

Lago e forme. Canto onirico

Scoria di anapesti
ritmi e sambuche giacenti
ilarità di egre consonanze
pletorici vocalismi e sciancati

tutto si raccapriccia a questo sole
che ha sulla fronte
freddo chiasmo di notte incipiente
che ha mani lorde di terra
da battigie raccolta di isole australi

soppalco di ipotiposi e ruggiti
d'ispidi florilegi, arricci
di luride verminaie

s'intreccia, la poltiglia, con ali di farfalla ossidate
con barche dai nodi troppo distratti
naufraganti lontano dai moli celibi
verso il centro di un'acqua liscia di piombo

fuga di salvezza, escamotage
attendono
le sibille che più non sanno
cos'è silenzio, il canto cos'è

vapore, ruvida coltre
si accalca in riva al lago
si raffredda, tutto, a raggi di stella nana
che ha esploso espulso
miliardi di anni
ventagli d'idrogeno, metani mefitici

ora è tutto un piano
vuoto, silente
oblio disteso, azoto muto.

(dalla raccolta "La vita picara")

come quando un silenzio si spezza, e la marea ritorna

s'avvicina con lenta flemma
nell'attimo del nulla,
se guidata da una rosa
o dall'istinto non saprei.
solca la terra
il tenue raggio
che dall'est ha risposta,
garantisce il nascere
sul battere di ogni ciglia.
antitesi
c'è il nord ed il sud
che poi se li capovolgi
sono la stessa cosa.
e ritorna al cuore,
a lei che ripone nel suo passa
speranza e poi l'attesa.
si va su un fondo
che ha mostrato tutto
e dopo l'adagio lo colma,
l'accarezza.
e si padrona ma senza tracotanza.
con costanza regina
della sua sosta.
e sale con un moto preciso
verso l'azzurro,
come la resa dell'umile all'immenso.
e tu che sei acqua la comprendi,
le tue vene un limite,
e vorresti andare oltre
per ridiventare
dopo la piena
mente nuvola
verso il roseo occidente 

degli incroci

riprendo per la mano il mio cammino
trovo varianti a strade già percorse
dove d'incroci ne ho varcati tanti
e non recente il chiasma che conduce

verso il luogo delle prime intese
ricordo l'esserci dell'imposizione
d'una persona a modo non a caso
in verità fu degna decisione

e la storia del viaggio prese piede
con l'ansia radicata nel mio cuore
tempo finito prima poi continuo
tanto il cammino non si ferma ancora

con rivoli e affluenti lungo il corso
d'un grande tratto giunto quasi a sponda
tanto varianti io ne ho viste molte
e per rispetto mai dimenticata

la gente conosciuta in prima istanza
cordiale e con il senso d'accoglienza
ancora impressa dentro gli almanacchi
e nei frammenti tinti di calore

ci ritroviamo in natura viva
fatta di spighe e biete affusolate
da trasfomare in zucchero filato
per l'allegria del paese in festa

tra luminarie e banda cittadina
poi gli argini rialzati lungo il corso
del grande fiume prossimo alla foce
in stanca dentro i mesi di calura

a destra e a manca ancora stesso cuore
d'anime belle sempre assai ospitali
altro frammento d'iniziale impegno
durato oltre un lustro in anni verdi

 

Copyright © Lorenzo 15.6.10

Deserto

 così allora andrei
lontano dall'umore di quest'afa che impregna i sensi
li rende molli e incerti
a contemplare le nubi d'inopinato ocra
 
        come ad affacciarsi sul Gobi
all'incrocio tra il nulla e il davvero
 
dove?
 
dimmi di braccia che abbracciano
di sguardi che sgorgano dalle ciglia
 
dimmi dov'è quel luogo e quando è
                                      o quando è stato
 
il vento del deserto stanca avviluppa uccide
 
 
 

Per una nuova donna, in un caso.

Così da fare un caso delle tue scarpe vuote
mentre le passo accanto e lieviti come mi guarda
ti sposta in un ricordo
 
e me lo dici ancora il nome e ancora
non ne sai ancora di quante soglie ha già varcato
o ancora tane o letti o sulle sedie ancora
(al meno di un’attesa)
quasi che il corpo cerchi il colpo fermo e la caduta
inutile parola, prima, a quel verbo ancora
e goda gli ansimi accasciando
la conoscenza ad ora. I piedi nudi - che siano spifferi
di tuo - per la fuga che orla i muri
muti di capolino agl’angoli
frenati dal silenzio.
 
Che ti dirò
di lei che prova la mia pelle
mentre l’asciugo?
 
Ti dico che in un caso solo
vieni alla presa quasi sapendo
i passi ancora.

Non farmi male

 
Tienimi compagnia
in questa notte dove la luna
il sipario ha abbassato sulla memoria
e dove il mare
una culla nuova ordisce
per lasciarmi riposare.
 
Tienimi compagnia
in questo buio che non fa più paura
adesso che la zampata
sull’alba che gentile avanza
è sofferta eco
che lentamente s’allontana.
 
Tienimi la mano
non farmi male
ora che la vista
non è più appannata goccia sulla lastra
dove la delusione
s’è lasciata scivolare.
 
Raccontami di te
mentre raccatto e temo
frammenti di fiducia andati a male
adesso che l’acerba luce
mi ricorda il giorno frettoloso
che s’è impiccato prima che arrivasse sera.
 
Lividi
senza cerotti né dottore
sfumano sul roseo profumato della pelle
e mi rammentano
che sul bocciolo calpestato
è fiorita un’intera piantagione.
 
tiziana mignosa
giugno duemiladieci

Trasform-Azione

 Come un Arlecchino

 Che beve solo candeggina

 Per trasformarsi nel giorno dell’evento
 Scioglie i colori al suo interno
 Scorre solo sangue bianco
 E suda incertezze trasparenti
 
 
 Infine arriva il giorno sospirato
 Cala la tunica e sfila via l’arcobaleno
 Infila candide vesti immacolate
 Sorride e saluta la folla.
 

(Aprile 2010 - Illuminazione)

Pensando

                                             Pensando al mio paese natale
                                                                                dieci anni dopo
 
 
   Io ero qui, quando questa terra era ostile e regalava solo poesia.
   Troppo poco per vivere e troppo per la pace. Ora tutto è in fermento, tutto in costruzione. I volti noti non ci sono più o ne vedi pochi.
   Gli altri, i nuovi arrivati, sono tanti e li vedi padroni dei tuoi sogni defraudati a te dalla vita che lenta, inesorabile, ti fa guardare avanti ma non ti permette di dimenticare.
 
   Io amavo il mare, il suo fragore lontano nelle giornate di burrasca.
   Alla sera uscivo sull’uscio di casa e nel buio della notte mi lesciavo rapire da quel rumoreggiare affascinante che proveniva da quella massa d’acqua in movimento.
   L’Adriatico doveva agitarsi moltissimo se io a tre chilometri di distanza ne percepivo un suono cosi distinto.
   In quelle notti, il cielo non era limpido e il mare si sostituiva alle stelle per regalarmi sensazioni stupende.
   La battaglia della vita ora, è come quel mare in burrasca.
   Qui il mare è lontano, il suo rumore non giunge fino al mio udito. Io in quella casa in mezzo agli ulivi, non ci tornerò più: è stata soffocata dalle nuove costruzioni.
   Era una casa dove si era sempre in attesa di qualcuno che doveva arrivare.
   Prima mia nonna che aspettava suo figlio, poi mia madre che aspettava noi. In questo aspettare c’era tutta la speranza e il desiderio del ritrovarsi che aiutava a vivere.
 
   Spesso mi sono sentita come una emigrata in patria.
   Si è sempre emigranti quando si va via (giovanissimi) da dove abbiamo imparato a conoscere al mattino, da quale parte sorge il sole e alla sera dove tramonta.
   Si diventa senza più riferimenti.
   Lontano da quei luoghi, non ho più saputo discernere dov’era l’alba e il tramonto in mezzo ai palazzi e al cemento.
 
                                                      Maria Mastrocola Dulbecco                         
                                                                                                                              1964
 

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