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Ci sono

Ci sono
ma non so più chi sono
e non so dov’è
lo sconosciuto luogo
dove ora sono
Ci sono
pazzi in palazzi
palazzine ragazzine
mattoni matti e mattine
matite
appuntite
nel cuore
d’un disperato verso
che ancora viaggia
verso
lo stesso discorso
in cui ci sono
ma non so più chi sono
e non so dove
sono
tutti i pazzi
e matti
in me
mentre ci sono
ma non so chi sono

Tutto e niente

 
Vorrei fermare il Mondo
Per guardare meglio le tue labbra
Mentre fanno di me
Tutto e niente
.
Vorrei fermare il tempo
Per cercare quel luccichio nei tuoi occhi neri
Mentre con un solo sguardo
Mi fai morire senza un come
.
Vorrei fermare il battito del mio cuore
In modo che non faccia rumore
Mentre ti osservo
.
Vorrei fermare il Mondo
Per guardarti meglio
E sorridere
E piangere
Pensando che tanto
Farai di me tutto e niente
.
 

Cuore di rettile.

Era venuto il tempo della schiusa e nel covile c'era molta agitazione, aspettativa. Da tempo ormai, le nascite erano scarse, l'inquinamento, si diceva, aveva modificato anche la genetica e le uova risultavano infeconde o infecondate. Il calore di Balum, la luce delle sue sette lune, facevano il loro dovere da tanto di quel tempo che era difficile immaginare che gli alieni avessero potuto influire sul loro potere riproduttivo. I riti procreativi avvenivano regolarmente ad ogni Nuova Germinazione, quando i vegetali si rinnovavano e gli insetti brulicavano dappertutto ma, ogni nuova stagione, era minore il numero delle nascite.

Dei pensieri, delle voci.

A Orme - attraversando Gil
 
Le vedi quelle fiamme fredde annichilite nel verso del mattino?
Sono ferme e vanno ciondoli nel mondo. Si sfuggono
nell’alveo delle forze ignote ai libri.
Sono di lancio dai bicipiti del cosmo, sono le sue orme.
Sobillano la stasi dei pianeti; rotolano all’oscuro
senza sapere aver accanto un’anima.
 
Un po’ di noi, tutto sommato: noi che cademmo.
  
Rotola il nostro sasso su quel greto nero e andrà alla foce
di un chissà che - penso ad un percorso
che s’inserra nella forra di un altro tempo, esterno
ad ogni età - ma no,
noi non cadremo.
 
Mi chiedi se dimorano castori o altre vite di pionieri?
Forse evoluti o sui sedili alle comete:
le solitudini hanno un gusto quando volute in luoghi;
poi, si congiungono le mani e loro stanno.
 
Non so se credermi ti aiuti, dacchè tu già da solo
reggi un mondo:
è certo che tutto è già o, pure, giacque a inizio di rinnovo.
 
Così avremo pelle fin quando si potrà
la strana voce
che parla alle tue radici provocando gemme.

Ricordi di una barca

 
Ero una giovane barca, 30 anni fa, laccata di fresco, bianco l’interno ed il bordo, di un caldo marrone la chiglia.
Quanta emozione quando piano piano mi fecero dolcemente scivolare nello specchio di mare scintillante davanti a casa.
Mi riempivano di orgoglio i grandi occhi lucidi, le guance rosse dall’eccitazione di tre bimbi adoranti, la soddisfazione di papà Gigi, la malcelata contentezza di mamma Annamaria, lo stuolo di vicini e di parenti che partecipavano con gioia all’evento.
E subito giri, tuffi, pesca all’alba, prove di guida con frotte di ragazzini gioiosi e divertiti che facevano a gara per accaparrarsi un posto a prua e godersi il vento che spruzzava il viso e scompigliava i capelli.
Quale nome è più adatto per una barca così amabile? Non c’è storia: MAROLUSI, le iniziali dei tre adorati figli (Maria Rosaria, Luciano e Simonetta)
Quante cure, quante carezze, quante coccole… Quanti timori ai primi acquazzoni!
-         Che vento soffia oggi?
-         Guarda, la barca ha la prua verso Porto Cesareo, è tramontana…
-         Oggi è volta a sud, è scirocco, farà caldo, ci sarà afa…..
Poi vennero tempi bui. Gigi stava male, nessuno aveva voglia di andare in barca.
Ma la tenacia, la forza, il carattere e le cure mediche ebbero il sopravvento. La barca riprese a solcare lo specchio di mare scintillante col suo carico gioioso, ad aspettare paziente le gare di tuffi, le ricerche di conchiglie, le prime prove timorose di nuoto di bimbi ed adulti fifoni.

Ho scommesso

Ho scommesso
su piedi senza scarpe,
ho tolto i bracciali,
prima uno poi l’altro,
ho graffiato lo smalto,
buttato via i lustrini.
 
 
Ho tolto
i ricci alle parole,
sciolto le vernici,
lavato via i sorrisi.
Dopo tanto sottrarre
sarei rimasta io.
 
 
E ciò che vedo
è piccolo,
ancora non si basta,
di nuovo chiede veli
l’anima nuda.

Inserito da Anastasia il Mer, 17/02/2010 - 02:11.

Odio il solito tira e molla..
come quel led d'uno schermo gelido
mai spento
nè vuoto però..

cinque/due/ventidieci: odio quella macchina.

odio quella macchina
ogni volta l’angoscia mi attaglia
seppure ormai da anni la conosca
 
come in un girone dantesco
supino, seguo con gli occhi i led luminosi
che girando leggono il mio futuro
 
odio quella macchina
appeso alla sua tecnologia
aspetto la sentenza con angoscia
 
entro nel tubo roteante
sperando di uscire dal tunnel
conscio della caducità della vita
 
odio questa macchina
ieri, come domani, freddo giudice
che può sancire vita o donare morte
 
eppure costretto tra le sue spire
sorrido pensando che in fondo la vita
non è così male e va tutta vissuta
 
amo questa macchina
anche stavolta è stata generosa
tutto sembra procedere per la giusta strada
 
anche se…
un piccolo tarlo è tornato a rodermi
perché presto dovrò incontrarla di nuovo
 
odio questa macchina: cinque/due/ventidieci

Spazio 2009

Dieci anni or sono esplosioni nucleari
spinsero la luna oltre regioni
remote di altri sistemi solari.
Da quel giorno i coloni
delle stazioni lunari
vagano dove li portano gli anticicloni
dei venti interstellari.
Coltivano piante alimentari in serra,
fedeli al simulacro della terra,
ora così distante, attraversano
cieli alieni, frontiere senza dogane,
barriere senza dazio. Osservano
fasi astrali forestiere, aurore
fantasmagoriche, foriere di atmosfere
irregolari, da registrare per i posteri.
Nutrono il senso del sacro, venerano
il profano, celebrano nascite e unioni,
altri eventi supremi, e qualche funerale
durante il quale il rito ufficiale
espelle la bara nella direzione di una delle
stelle meno lontane, che la cremi:
lo spazio così è sia la loro casa
che la loro tomba. Ai loro bambini
insegnano l'universo e i suoi confini estremi,
il foro della mancanza e le passioni che lo intasano,
i teoremi della speranza e gli assiomi su cui si basano.
 
L'unica cosa cara di cui si tace loro è la rosa,
l'ultima delle quali giace lisa in una teca
nella biblioteca di bordo. Una mattina favolosa
seppelliranno anche l'ultimo che ne reca con sé il ricordo.
La circonderà da allora una leggenda silenziosa e precisa,
nella coscienza di ciascun bimbo diversa, incondivisa.
 
[13092009]

Orma(delcaos) da "I due cervelli" - post a Manu.

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