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Siamo..

 
Siamo ciò che vuole il cielo, uomini destinati a convivere con le nuvole.

Perché

Perché mentirsi? Non vale la pena

Senza titolo

 Attonito
d'emozion disincantato
attendo
il sublime gelido bacio

Indegni

Indegni
d'un soave
germoglio
che fu
l'amor mio
 
Or ricalco un sole
che non c'è più
mentre cala
l'oscuro
spegnendo il blu
 
Il cuore
diserta
 
Cosa fu
di bianche spiagge
cangianti
agli occhi miei
 
Sibilline perle
a destar
l'ardore mio
 
Mi sveglio
c'è solo oblio 

So

So:
 
Che d'un viver spoglio
m'accingo
a vestir di nero
l'anima
 
e il ticchettio
la più fausta melodia
 
mano tremante, atavica
compie il primordial
gesto
 
So:
 
dal tetro
coglier
l'infinito gusto
 

duello

urtarsi frontale
e bocche così vicine
a partorire un bacio
 
invece si resta muti
a duellare con gli occhi
ma stretti
come squali
nell'"angustità"
di una vasca da bagno
 
 
 

 

Il miraggio.

ah! poter essere il vascello
che naviga il mare del tuo corpo
le tue cosce fende con la prua
e il rostro penetra la conchiglia
che vogliosa l'accoglie.
e l'ansimare farsi brezza soave
'sì d'accapponarsi la pelle
in brividi sensuali lunghi
e il movimento un cullarsi
nel piacere che morde e liscia
ogni parte di te e di me.
ma, forse, il piacere è un miraggio.
 
 

Un uomo nel nulla

Parla da solo urla
a qualcuno che non c’è
fissa stranito il vuoto
e ci vede il mondo
aspetta qualcosa
che non arriva mai
cerca una carezza ancora
qualcuno a tendergli la mano.
Occhi mesti persi nel nulla
capelli grigi sempre arruffati
passo incerto
in un equilibrio ubriaco
e parla
parla tanto a tutti e a nessuno
ripete parole senza senso
(chissà se lo hanno per lui)
chi lo ascolta non se ne cura
ma lui continua a parlare
a urlare ai suoi mostri
nascosti nel nulla.

Emozioni

  
Emozioni
Danzano carismatiche,evanescenti

Il selvatico Antico

A piedi nudi, il bambino
carezzava la ghiaia e il prato,
innamorato
d'aria malarica di palude.
Passava accanto a topaie,
cantine che sapevano di muffa,
di sale, di salumi.
Tentava la cattura
della rana dell'anguilla del granchio,
il ginocchio affondato
in palustre melma,
lubrica e accogliente, possessiva,
tiepida.
Ignaro,
felice,
senza lessico per dirlo.
 
Le venture svicolavano, segrete,
per meandri morbosi,
l'inguine urlante di chissacché.
 
Astioso muso, soddisfatto broncio.
 
Era la vita selvatica,
con avi sepolti lì vicino.
Era l’anguria, rossa di festa,
ingozzata per sfida,
con ardenti fauci succhiata:
una mischia, una gara di
acqua piscio e zucchero.
 
Erano i gatti sgozzati, la notte,
da enormi, orgogliose pantegane.
La matriarca, era,
che negli occhi infilzava
forbici
a galline e conigli;
sgozzava e scorticava
con dolcezza e grazia di nonna,
tutto un sapere di secoli
bisbigliato e rubato tra gli alari.
 
Compatto tribale branco
attorno a urla di maiale
e a cipolla con sanguinaccio.
Il sangue fluente, caldo,
su vasca di legno,
libagione
a preolimpici benevoli Lari,
benedicenti già prima di avere.
E i celesti occhi del bambino,
immobili,
da erotica sacrificale furia
ipnotizzati.
 

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