AnonimoRosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

blog di Fausto Raso

Il dittongo? È... mobile

C'è etichetta e... etichetta

L’etichetta intesa come “cartellino apposto su bottiglie, vasetti ecc. per indicarne il contenuto” oppure la “marca di fabbricazione” ecc. e l’etichetta nell’accezione di "cerimoniale" hanno la medesima “matrice” iberica pur avendo, per l’appunto, due significati distinti? La risposta è: sì e no. Ma vediamo di spiegarci. La maggior parte degli iberismi sono entrati nel nostro idioma attorno al Seicento. Proprio in quel periodo uno squisito scrittore – anche se non molto conosciuto – si recò in Spagna per studio e per diporto. Essendo un “uomo di mondo” ebbe modo di frequentare i salotti più raffinati e alla moda di quel Paese apprendendo, così, usi e costumi che “spedì” in Italia attraverso lettere indirizzate a parenti e amici.

Corruttori e corrotti

 
Mai, come in questi ultimi anni, un vocabolo della nostra lingua è stato piú adoperato dai massinforma (stampa e radiotelevisioni) per mettere in evidenza il malcostume che ha imperversato (imperversa?) nel mondo politico: la corruttela, con corrotti e corruttori, naturalmente. Ma non è di questo fenomeno che intendiamo parlare, non è questa la sede adatta e non è nostro costume invadere il campo di sociologi ed esperti vari. Vogliamo parlare della “nascita” del corrotto sotto il profilo linguistico. Se apriamo un qualunque vocabolario alla voce in oggetto, leggiamo: scostumato, viziato, infetto, impuro. La persona corrotta, quindi, è moralmente “infetta”, vale a dire che il suo animo è stato guastato, infettato, disfatto - naturalmente in senso figurato - perché “corrotto” non è altro che il participio passato latino del verbo “cum-rumpere” (‘corruptus’, corrotto) e vale “disfare”, “guastare”.

Il gergo e il dialetto

 
Molte persone confondono il gergo con il dialetto, nel senso che li ritengono l’uno sinonimo dell’altro. Non è cosí, anche se i due termini possono essere considerati una lingua. Facciamo chiarezza, dunque, cominciando con l’esaminare il primo vocabolo: gergo. Sotto il profilo etimologico la voce, intanto, non è schiettamente italiana (o latina) ma francese, per la precisione il francese antico “jergon” o “jargon” (‘linguaggio degli uccelli’, quindi linguaggio ‘incomprensibile’). Il gergo, infatti, come lo definiscono i vocabolari, è “una lingua speciale usata dai membri di un gruppo che non vuole essere capito dal resto della comunità”, oppure “linguaggio convenzionale limitato a una ristretta categoria sociale” e per estensione “ogni linguaggio artificiosamente diverso dal linguaggio comune”.

La mente e l'avverbio

Felicemente, costantemente, opportunamente, eccetera. Quante volte nello scrivere e nel parlare adoperiamo queste parole per esprimere uno stato d’animo o il modo in cui viene svolta o svolgiamo un’azione. Forse, però, non ci siamo mai soffermati a riflettere sul perché queste parole hanno la medesima terminazione: mente. Vediamo, dunque.
 

I «singenionimi»

 
Non lasciatevi ‘impaurire’ dal titolo, cortesi amici e amatori della lingua italiana: il termine che avete appena letto – di provenienza greca – rientra nel ‘glossario’ dei vocaboli e indica un nome di parentela, come padre, madre, consuocero, ecc. Uno zio, quindi, dal punto di vista prettamente linguistico è un “singenionimo”, vale a dire un nome che esprime un rapporto di parentela. Molti “testi sacri” (vocabolari - ad eccezione del Battaglia e del GRADIT - e grammatiche) ignorano questo termine che noi, invece, vogliamo mettere bene in evidenza perché siamo fermamente convinti del fatto che chi ama la lingua deve conoscere il “gergo” e tutte le norme che la regolano, e tra queste ve n’è una che stabilisce il corretto uso dell’articolo con i… singenionimi. 

La luna e il porto

Il vocabolario di una lingua si arricchisce non solo per i termini che riceve in prestito o in dono da altri idiomi – gli “americanismi”, per esempio – ma anche e soprattutto attraverso le voci che si formano spontaneamente (fenomeno che potremmo definire “autogenesi linguistica”), per derivazione spontanea, appunto.

Il sangue blu

 
Se siete di nobile casato, e nelle vostre vene scorre il cosiddetto sangue blu, non confondetevi con il popolo cadendo nell’errore comune – quando scrivete – di accentare il blu: non occorre, basta il vostro nome per indicare il nobile lignaggio. Bando agli scherzi, l’aggettivo blu, come tutti i monosillabi, non necessita di accento.
Prima di addentrarci nei meandri linguistici dei monosillabi e nel caso specifico di blu, crediamo sia interessante soffermarci sull’origine della locuzione avere il sangue blu. Tutti conoscono il significato scoperto dell’espressione; pochi, forse, conoscono quello coperto, vale a dire la sua origine.

Il grano e i tacchini

L'aerometro e... l'areometro

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 0 utenti e 5612 visitatori collegati.