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Averti addosso

Quel giorno per Andrea era un giorno come tanti altri. Si era svegliato al solito alle cinque, e non riuscendo più a dormire aveva cominciato di prima mattina a mettere i suoi pensieri su carta. Non era uno scrittore, no davvero, lavorava come responsabile marketing in una multinazionale americana che si occupava di lavastoviglie, quindi il suo lavoro non poteva essere più distante e differente da quella che invece, era la sua vera passione: la scrittura. Da quando Elisabetta l’aveva lasciato, il dolore lancinante che lo assaliva non appena apriva gli occhi, al mattino, era talmente intenso e claustrofobico che solo scrivendo tutto ciò che gli passava per la mente riusciva in un certo qual modo ad alleggerirsi l’animo e affrontare così la giornata che l’aspettava. La sua vita era divenuta monotona e sempre uguale, scandita dai soliti impegni e dalle sempre uguali scadenze giornaliere: il lavoro, poi la palestra, ancora il lavoro e infine le sue lezioni d’inglese. Era convinto che conoscere un’altra lingua avrebbe potuto essergli utile in un futuro prossimo, e così quando ancora stava con Elisabetta, aveva deciso di prendere lezioni da Paul, un professore madrelingua originario di Londra, trasferitosi a Milano oltre trent’anni prima. A ben vedere però, l’inglese aveva influito per davvero sul recente passato di Andrea. Betty infatti, come la chiamava lui amorevolmente, un bel giorno di dicembre lo aveva messo alla porta, stufa e ormai stanca di sentirsi ripetere in continuazione che lui presto sarebbe dovuto partire per trovare lavoro all’estero. E questo, pur non disponendo di un’alternativa valida e concreta oltre frontiera. Ma la sua idea era quella di trovare un lavoro in grado di gratificarlo maggiormente, che gli facesse dimenticare la realtà nella quale invece, operava da oltre sette anni senza grandi soddisfazioni. Nell’attesa di quella partenza però, Andrea era diventato egoista, irascibile, rabbioso, scontroso e velenoso ogni volta che lei gli rivolgeva la parola, pensando che in qualche modo Betty remasse contro la sua scelta, visto che la criticava di continuo. Non accorgendosi, al contrario, di come quella della sua compagna fosse solo legittima preoccupazione per un vero e proprio salto nel vuoto, piuttosto che voglia di ostacolarlo. A questo si erano poi aggiunti tutti i mesi trascorsi da Andrea a sfogarsi con lei, e soprattutto contro di lei, delle varie frustrazioni lavorative ed esistenziali. Tensioni profonde che avevano ridotto al minimo i livelli di sopportazione della povera Betty. C’erano addirittura state un paio di situazioni in cui la violenza verbale di Andrea era straripata talmente tanto dal consentito, che i suoi attacchi avevano finito per risvegliare in lei antichi incubi e paure, orrendi ricordi del suo ex fidanzato manesco e violento, dei quali la donna invece, pensava di essersi finalmente liberata molto tempo prima d’incontrare Andrea. Ma questo lui l’aveva capito troppo tardi, a meno di due settimane dall’inizio delle festività Natalizie, con la forza di carattere che l’aveva sempre contraddistinta, Betty aveva deciso di far finire la loro storia e di dare ad Andrea i classici tre giorni. Quelli cioè sufficienti a liberare la casa da tutte le sue cose.
Andato via in tutta fretta, per le prime settimane era stato ospitato dai suoi, approfittando del fatto che suo fratello si fosse sposato e avesse liberato la sua stanza. Ma la convivenza con i genitori, non si era rivelata da subito una grande idea. E non per colpa loro o di qualcuno in particolare, bensì per il fatto che, semplicemente, Andrea aveva la necessità di vivere da solo. Non si sentiva libero di essere se stesso lì dove aveva abitato per tanti anni, e soprattutto, in quel momento non si sentiva libero di soffrire come avrebbe voluto e dovuto. Non appena usciva dalle quattro mura in cui restava rinchiuso quando era in casa, gli arrivava addosso una tale pioggia di domande da parte di sua madre, che a volte sentiva strozzarsi sino all’asfissia.
Questo ed altro lo aveva portato in pochi giorni a cercarsi una casa in cui vivere da solo, il suo stipendio in fondo glielo permetteva senza particolari problemi. Nel giro di poco tempo era così riuscito a trovare un bellissimo appartamento in un quartiere neppure tanto lontano dalla casa dei suoi genitori, così da sfruttare i vantaggi della loro vicinanza al meglio: mangiare senza dover cucinare, e con una gran ricchezza di alimenti, portare la roba sporca alla madre per farsela lavare e stirare, e in più utilizzare suo padre come ‘commesso pagatore’ delle varie bollette di luce, gas e acqua.
Adesso che era solo però, Andrea non faceva che pensare e ripensare a Betty, e nonostante ella non volesse più voluto sentirlo, né tanto meno vederlo, lui continuava a dialogare con lei per iscritto, come se nulla fosse accaduto. O meglio, come se lei gli avesse concesso un’ulteriore opportunità di aggiustare le cose, che nella realtà invece, non era stata in grado di dargli. Dopo la separazione, le giornate di Andrea erano divenute soltanto routine, una triste e deprimente abitudine dalla quale si sentiva schiacciato. Betty gli aveva chiesto di non chiamarla più, così da consentirle di voltare pagina il più rapidamente possibile dalla loro storia, e lui allora si consolava studiando nei minimi dettagli il profilo di lei sul social network al quale erano entrambi iscritti – soprattutto, al quale Betty non gli aveva ancora inibito l’accesso -, oppure scrivendo il più possibile non appena il leggero sonno che riusciva a dormire, non l’abbandonava del tutto subito dopo che spuntavano le prime luci dell’alba. Spesso, anche molto prima che ciò avvenisse. Mangiare era divenuto per Andrea un optional, così come divertirsi o vedere gente. Conduceva una vita da recluso pur disponendo di tutta la libertà possibile per fare nuove amicizie, e perché no, conoscere altre donne. E forse, in un altro momento della sua vita l’avrebbe anche fatto, ma ora le cose stavano diversamente. Aveva scoperto di essere innamorato di Betty sin nel midollo, come mai avrebbe creduto, e questo gli rendeva difficile, se non proprio impossibile, guardarsi un po’ intorno alla ricerca di una vita sociale che non aveva più ormai da mesi. Al contrario di Betty che invece, dal canto suo, pur di dimenticare Andrea avrebbe addirittura accettato di farsi cancellare la porzione di memoria che lo ricordava, se questo fosse stato possibile e soprattutto se fosse servito a farla stare meno male per quella separazione, che in realtà non avrebbe mai voluto se non si fosse trovata dinanzi alla scelta di dover salvare il suo stesso equilibrio mentale. Andrea l’aveva logorata ed esaurita, lei era soltanto corsa ai ripari. Il loro era stato un amore immenso, imparagonabile a nessuno, eppure difficile come pochi, e ancor più travagliato e ostacolato da tutti e da tutto: ex fidanzate di Andrea, ex compagni di Betty, colleghi di lavoro invidiosi di entrambi e del loro forte sentimento, e infine amici di lei non proprio entusiasti della sua scelta, vista la fama di Dongiovanni di cui Andrea aveva sempre goduto. Nessuno di loro poteva immaginare che dopo aver incontrato Betty, quella fama sarebbe divenuta nel giro di pochi giorni solo un ricordo da archiviare. Andrea non aveva occhi che per la sua ‘piccola bambina’, come la chiamava nei momenti più teneri. Purtroppo la sua immaturità, unita a un carattere difficile, altalenante, lunatico e troppo ricco di eccessi, in un senso o nell’altro, avevano messo a dura prova la capacità di resistenza di Betty verso un rapporto che lei sin dall’inizio aveva capito essere appoggiato innanzitutto sulle sue spalle. E non perché Andrea fosse cattivo, o altro, bensì solo perché era lei la vera parte forte della coppia. E come sempre accade, è proprio a quella parte che tocca il più delle volte tenere la barra dritta durante le inevitabili tempeste di vita a due. Di quest’ultime, anzi di veri e propri uragani, ne avevano attraversati tanti, davvero tantissimi, ma quello che era riuscito a combinare Andrea al ritorno dalle ultime vacanze estive, tutto da solo, non avrebbe lasciato scampo a nessuno. Neppure alla persona che, dopo sua madre, lo amava sopra ogni altra cosa. Allontanarsi da lui, purtroppo era divenuta una questione di vera e propria sopravvivenza per Betty, e nessuno avrebbe potuto darle torto nel voler consegnare Andrea alla solitudine di una vita senza di lei.
Sapeva quanto Andrea fosse a suo modo unico e speciale, buono e fuori dal comune in tutto, come poche altre persone aveva conosciuto, ma la rabbia e il buio che lui si portava dentro da quando era adolescente non avevano ancora una volta lasciato via di scampo alla persona che gli viveva accanto.
La decisione dell’allontanamento era stata inevitabile e obbligata. Ebbene quel giorno, sarebbe stato per entrambi un giorno come tanti altri. Sì, lo sarebbe stato, di certo, se non fosse però, accaduto qualcosa a cambiare il corso della storia.
Dopo la sua lezione d’inglese, Andrea si era ricordato che l’indomani avrebbe dovuto fare una visita medica al colon, per un vecchio disturbo con il quale era ormai costretto a convivere. Ma le cartelline degli esami pregressi erano rimasti, per la fretta del trasloco, a casa di Betty, e ora aveva quindi la necessità di recuperarli. Aveva così deciso che dopo la sua lezione d’inglese si sarebbe recato da lei per prendere tutto quanto ciò di cui aveva bisogno. Sapeva bene che Betty non avrebbe preso con grande sportività la sua visita, visto e considerato qual era stata la sua richiesta nel momento in cui era andato via, ma d’altra parte la motivazione che l’aveva spinto a cercarla era una ragione più che seria, e lei dunque, avrebbe saputo capire e accettare di buon grado di restituirgli tutto ciò che serviva l’indomani al suo ennesimo consulto medico.
Erano le ventuno passate quando giunse nella stradina dove era sempre facile trovare posto per l’auto, in corrispondenza della parte posteriore dell’edificio dove Betty abitava. Anche se quella strada, in realtà, non gli era mai piaciuta. Troppo defilata e desolata, quasi pericolosa visto che per i suoi tre quarti non riceveva illuminazione. Spense l’auto e si diresse verso il cancello secondario. Fu allora che sentì la voce di Betty che chiedeva terrorizzata di essere lasciata stare dall’altra parte del muro. Ci mise pochi istanti a intuire cosa stesse avvenendo.
Qualcuno doveva averla seguita mentre rientrava a casa, e successivamente, dopo aver atteso che lei aprisse il cancello, doveva aver approfittato per spingerla al suo interno, nella zona d’ombra creata dal muro perimetrale che conduceva al portone posteriore dell’edificio. Per fortuna Andrea aveva ancora tra le sue chiavi, quelle del cancelletto che dava accesso al corridoio nel quale doveva trovarsi Betty con il suo, o con i suoi aggressori. Non pensò a nulla, solo a lei e a lei soltanto. Se qualcuno fosse riuscito a torcerle anche un solo capello non se la sarebbe mai perdonato. Mai. Ci mise pochi secondi a essere sul posto e quando arrivò dove si trovava la sua ex, ebbe la conferma che sarebbe stato in grado di uccidere a mani nude pur di proteggerla. I suoi occhi spaesati e terrorizzati che chiedevano aiuto furono la miccia che innestò una violenta colluttazione con i due malviventi che l’avevano accerchiata. Come e peggio di una furia, Andrea agguantò il primo dalle braccia e lo scaraventò con tutta la forza che aveva in corpo contro il muro perimetrale. Un istante dopo, assestò un violento calcio in faccia al secondo individuo che non si era accorto, come il suo amico, dell’arrivo rabbioso di Andrea.
Gli occhi di lui iniettati di sangue avrebbero fatto impallidire persino il cemento armato. Non sentiva dolore né badava alle urla di Betty che nel frattempo aveva cominciato a strillare più forte che poteva, pur di ricevere aiuto. I due balordi si rialzarono quasi in contemporanea e cercarono di stringere Andrea in un angolo, ma le ore e ore passate da lui in palestra negli ultimi dieci anni, adesso potevano dimostrare di essere servite a qualcosa. Sferrò un pugno in pieno volto sull’aggressore che gli stava più vicino, ma pochi istanti dopo, sentì il calcio freddo di una pistola fendergli la nuca come la lama gelida di un coltello. Ebbe solo il tempo di guardare Betty ancora un’ultima volta. Un colpo esploso dalla rivoltella del secondo malvivente, lo ridusse in fin di vita ai piedi della sua ex amata ormai in preda ad uno shock incontrollabile. I due, seppur claudicanti riuscirono a dileguarsi in fredda coperti dal buio di quella stradina assolata, che ad Andrea non aveva mai detto nulla di buono. Per fortuna le grida della donna avevano richiamato l’attenzione di alcuni condomini le cui voci si sentirono scendere affannosamente per le scale del portone posteriore.
La scena alla quale essi assistettero non appena giunti sul luogo dell’aggressione, in una calma irreale e ovattata, diede a tutti un’idea chiara ed evidente dell’accaduto. Betty era immobile ai piedi di Andrea, che si era ormai accasciato definitivamente in un’immensa pozza di sangue. L’odore forte del suo liquido vitale si percepiva a distanza e colpiva le narici dei presenti come possenti schiaffi. Lacrime inarrestabili sgorgavano copiose dal viso di Betty, cadendo come gocce d’una flebo aperta sul volto inerme e livido di Andrea. Quando uno dei condomini che aveva provveduto a chiamare il 118 le si accostò per allontanarla da lui, la sua reazione fu istintiva e rabbiosa. Nessuno, proprio nessuno avrebbe potuto e saputo dividerla dal suo corpo. E nonostante sentisse ormai le mani costantemente irrorate del sangue caldo e denso, sgorgante a fiotti, inarrestabile, dalla profonda lacerazione al petto di Andrea, resa tanto letale dalla vicinanza del colpo che gli era stato esploso contro, Betty avvertiva con inequivocabile certezza che il suo posto era lì, accanto a lui. Dove in realtà, nonostante tutto, aveva sempre voluto che fosse prima di quella tragedia.
L’ambulanza giunse sul posto in pochi minuti, ma il polso di Andrea sembrava ormai starsi arrestando del tutto. Betty non riusciva quasi più a percepire il fiato che ancora attraversava i suoi polmoni, mantenendolo in vita in quello stato comatoso. I medici del 118 intuirono subito la gravità delle sue condizioni, ma accettarono che Betty salisse con lui sull’ambulanza. Era sotto shock, ma non avrebbe permesso a nessuno di farlo allontanare solo, senza di lei, in quella macchina fredda pronta a viaggiare a tutta velocità, a sirene spiegate, verso un’improbabile salvezza. Andrea entrò in sala operatoria poco prima delle ventidue e quindici. Quella sera era di turno suo fratello, cardiochirurgo al pronto soccorso del Policlinico, e sebbene qualunque protocollo, ma soprattutto il buon senso, avessero sconsigliato che fosse lui a intervenire sul corpo agonizzante dell’uomo, la volontà di non permettere a nessuno di operare il fratello ebbe il sopravvento su qualunque disposizione medica e disciplinare. Nel frattempo Betty, che era stata raggiunta dai genitori dell’ex, sedeva immobile, in stato catatonico, sulla sedia scarna e fredda della sala d’attesa del reparto di chirurgia d’urgenza, dove Andrea era stato portato in tutta fretta. L’operazione si protrasse per oltre dieci ore. Non solo per estrarre il proiettile che si era conficcato in un anfratto quasi irraggiungibile da qualunque mano, tra lo sterno e il polmone sinistro, ma anche perché dopo tutti i litri di sangue persi in attesa che arrivassero i soccorsi, bisognava stabilizzare la sua situazione complessiva prima di decidere di trasferirlo in terapia intensiva, con la massima riservatezza della prognosi.
L’intervento comunque andò bene, per quanto sarebbe stato possibile fare in una situazione di quella gravità. Quando Mario, il fratello di Andrea, che aveva retto bene l’impatto emotivo di ritrovarselo sotto i ferri, in fin di vita, uscì dalla sala operatoria per andare a parlare con i suoi genitori, non poté non accorgersi dello stato indescrivibile in cui versava Betty. Forse neppure sua madre sembrava essere tanto sconvolta. Di sicuro, non lo era nella misura in cui non aveva dovuto assistere alla sua barbara aggressione. Nella totalità dei casi non sarebbe stato possibile visitare un paziente in quelle condizioni, ma Mario sentì il cuore accartocciarglisi nel petto come fosse stato di carta pesta. Prese Betty per mano, e le parlò con lo sguardo.
In breve la condusse nella stanza della terapia intensiva dove si trovava Andrea, attaccato alle macchine in grado di consentirgli la respirazione. Era disteso sul letto con la pancia all’insù, immobile, con il capo rigido che puntava dritto verso il soffitto.
Betty procedette a piccoli passi verso di lui, quasi in trance. Dopodiché, quando l’ebbe raggiunto, posò delicatamente la mano sul suo braccio, nel quale erano conficcati tre grossi aghi collegati ad alcune apparecchiature che si trovavano alle spalle del suo lettino. Mario uscì dalla stanza, limitandosi a guardare la scena dal vetro della parete esterna.
Betty aveva gli occhi invasi dalle lacrime. Quello che giaceva in quel letto era il suo Andrea. Il suo unico amore, Andrea. Lo aveva sentito ripeterle tante volte che avrebbe dato volentieri la sua vita per lei, e adesso che lui era immobile su quel lettino, poteva convincersi delle sue parole.
Quello stupido testone aveva sempre voluto fare di testa sua, pensava, ma stavolta ci era stato costretto, non aveva avuto alternative. Quando l’aveva vista in pericolo non si era minimamente preoccupato di cosa avrebbe potuto capitargli intervenendo in suo aiuto. Ora, quel gesto di amorevole altruismo, rischiava di togliergli la vita, per sempre. Betty sentiva le labbra secche e screpolate, e la gola chiusa a tal punto da dover forzarsi come mai prima per riuscire a pronunciare alcune brevi parole.
“Ehi… ehi piccolo… come stai…” ma subito un enorme groppo in gola le impedì di proseguire.
Il pianto si fece d’improvviso più copioso e riuscire a guardare il volto di Andrea in maniera chiara e nitida, senza asciugarsi prima il viso, stava divenendo una vera e propria impresa. Allontanò con il dorso della mano una parte di quell’acqua salata che gli sgorgava dal di dentro, dopodiché ripoggiò le dita sul braccio dell’uomo.
“Non… non… non c’era bisogno… che mi dimostr… che mi dimostrassi quanto ci tenevi…”, ma ancora una volta la gola le si occluse impedendole di andare avanti.
 I ricordi della loro vita insieme, dai più recenti ai più datati, le scorrevano davanti agli occhi come una pellicola a colori fatta girare al contrario. E più tornava indietro con la memoria, quando le cose tra loro andavano bene, al punto che avevano anche deciso di sposarsi nel giro di due o tre anni al massimo, più il calore trasmesso alle sue guance dalle lacrime che scivolavano rapide sino al collo impallidito, le dava il senso di quanto si sentisse vuota e impotente nel vedere Andrea in quello stato. Accompagnandola nella stanza, Mario le aveva detto che le condizioni di Andrea erano gravi, e che se qualcosa fosse andata storta, non avrebbe passato neppure la notte.
“Io… io ora… che faccio… senza di te… che cosa faccio…” ripeteva Betty a bassa voce, avendo quasi paura che il tono delle sue parole potesse infastidirlo. Mario continuava a osservarla dall’esterno della stanza, attraverso il vetro, non potendo fare a meno di sentirsi svuotato e disperato da quella scena straziante.
La lucidità mantenuta durante tutto l’intervento per il bene del fratello, stava ora lasciando il posto al dolore carnale che vedeva il sangue del suo sangue in coma in un letto, dal quale molto probabilmente non si sarebbe più risvegliato.
Betty nel frattempo continuava a parlare ad Andrea come se lui davvero avesse potuto sentirla.
“Adesso… adesso… con chi me la prendo per ogni cosa?
Eh…? Dimmi… brutto stupido che non sei altro… Con chi mi arrabbio adesso, perché mi stavi comunque sempre tra i piedi … Dimmi… dimmi amore… con chi…”
Ma Andrea era lì con lei soltanto con il corpo. Non dava alcun segno di vita. La sua mano era fredda, e per un attimo Betty ebbe l’impressione che fosse già andato via.
“Lo so… l’ho sempre saputo che mi amavi sino a quest… a questo punto… ma non serviva farsi uccidere… Questo proprio no… proprio no…” puntualizzò, singhiozzando vistosamente.
Sperava che prima o poi Andrea le facesse capire che, nonostante tutto, fosse ancora in grado di ascoltarla. Ma dentro di sé, sapeva che quella sua speranza si stava tramutando rapidamente in un desiderio puro e semplice, che da un momento all’altro avrebbe potuto prendere definitivamente il posto di una sempre meno probabile eventualità. Un istante dopo, qualcosa accadde. La macchina dell’elettrocardiogramma cominciò a emettere strani impulsi e suoni incomprensibili. Mario entrò di corsa nella stanza e spinse il pulsante dell’emergenza. Il cuore di Andrea si stava fermando per sempre. Una delle due infermiere accorse per prime, provvide ad accompagnare in tutta fretta Betty fuori della porta, lasciando che assistesse alla scena concitata dal vetro divisorio. Mario impartiva ordini a un ritmo esasperato, ma la situazione precipitava di istante in istante senza che nessuno di coloro che si trovava ad operare intorno al letto del fratello, riuscisse a rimettere le ‘cose a posto’. Sembrava quasi che Andrea avesse deciso di voler esser di parola, almeno una volta nella sua vita, nonostante il carissimo prezzo che ciò avrebbe comportato. Nulla gli era importato più di lei, e purtroppo l’unica maniera per convincerla, dal suo punto di vista, era quella di andarsene. Per sempre.
Quando il suono costante e pungente dell’elettroencefalogramma piatto rimbombò con agghiacciante freddezza nelle orecchie dei presenti, lasciando intuire a tutti che Andrea fosse andato via, Betty vide Mario accasciarsi come un bambino ai piedi del letto dove si trovava il corpo nudo del fratello, ormai esanime. Soltanto allora comprese che Andrea aveva davvero mantenuto la sua promessa. Per una volta in vita sua, e per l’ultima, lei non gli avrebbe potuto rimproverare di pensare soltanto a se stesso. Il volto di Betty divenne presto una maschera inespressiva che soltanto il flusso di lacrime incontrollato tradiva nella sua drammaticità. Entrò nuovamente nella stanza e si fece largo tra gli infermieri e medici che ai bordi del tavolo osservavano la scena, in un doloroso strazio del quale non riuscivano a capacitarsi. Si piegò lentamente con il suo viso sul volto di Andrea, fermandosi a pochi centimetri dal suo naso. Alcune grosse lacrime le scivolarono dalle guance su quelle livide di lui. Il dolore che portavano con sé era così intenso che per qualche istante sembrò quasi riuscissero a restituire un po’ di vita a quel corpo che l’aveva lasciata andare via da sé, definitivamente. Un istante dopo, Betty adagiò le braccia, con fare lento e delicato, intorno alle spalle di Andrea, come se avesse voluto abbracciarlo per l’ultima volta. Nel silenzio irreale della stanza cominciò a intonare la canzone di Gino Paoli che l’aveva fatta innamorare perdutamente di lui, tornando da un we a Otranto, nel Salento delle loro comuni origini pugliesi, poco più di tre anni prima.
Quella canzone, le ripeteva Andrea, era la più bella che il compositore genovese avesse mai scritto:
“Averti addosso”.
 
Averti addosso… sì…
come una camicia… come un cappotto…
come una tasca piena… come un bottone…
come una foglia morta… come un rimpianto…
Averti addosso… averti insieme…
restare insieme… volerti bene…
nananana… nananana…nananana…
 
Per lunghi e interminabili minuti, nella stanza dalla quale lui se n’era andato, non si udì altro…
 
 
 
 
  
Dedicato ad Angela, l’angelo della mia vita….

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