Una vita... in comune (Cap. 4 e 5) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Una vita... in comune (Cap. 4 e 5)

                                                                   IV
 
 
“A proposito dottor Lane, quasi me ne dimenticavo.
Sarebbe così cortese da lasciarmi un suo recapito telefonico?”
“Ma sì, certo, ci mancherebbe. Eccole il mio bigliettino da visita, ci sono tutte le informazioni che potrebbero servirle” replicò mettendo subito mano al taschino interno della giacca.
“Non appena la situazione si sarà tranquillizzata, la chiamerò subito.”
Lane annuì soddisfatto.
“Sarebbe un vero piacere averla ospite un pomeriggio qui da noi per discutere della vendita della casa, in tutta calma. Magari davanti a un buon tè aromatico, che ne dice?”
Molly strabuzzò gli occhi.
“Perché no, ingegnere. Sarebbe un’ottima idea. Spero di risentirla al più presto.”
“Ci conti… Buona giornata.”
Non appena il dottor Lane poté considerarsi congedato, William rimase immobile, con lo sguardo fisso sullo spioncino della porta chiusa. Non ancora pronto a voltarsi verso Molly, che invece, non attendeva altro che il momento in cui restar sola con lui per cercare di capire quanto stesse avvenendo.
Spiegarle ciò che era emerso con Lane si prospettava un’impresa non da poco, William lo sapeva bene.
Non aveva una spiegazione, minima o soltanto credibile, di ciò che aveva appena visto. Non sapeva neppure da dove cominciare ad abbozzare una teoria in grado di motivare, innanzitutto a se stesso, la ragione o la causa di tanta assurdità. L’unica cosa di cui William si sentiva consapevole era la convinzione che da quell’istante in avanti la sua esistenza, tanto quanto quella della fedele e inseparabile Molly, sarebbero state private di ogni certezza.  
 
  
V
  
Il signor Donald Lewis era un tipo sornione. Un uomo mite, sereno, affatto egocentrico, disponibile a dare un mano d’aiuto a chiunque gliel’avesse chiesta, non ambizioso, ma molto geloso della sua vita privata. Oltre che casalinga. Una di quelle persone che per nulla al mondo avrebbe accettato di cambiare, anche solo di una virgola, il proprio ritmo di vita lento e tranquillo. Tanto meno le numerose abitudini acquisite e consolidate nel tempo. Soprattutto da quando aveva deciso di andare a vivere da solo. A cinquant’anni suonati, il signor Lewis era ormai convinto che qualunque motivo, o causa, avesse cercato di mutare d’un colpo la sua quotidianità, sempre più o meno uguale, nulla in realtà nella sua esistenza sarebbe potuto cambiare per davvero, e sul serio. Neppure per errore.
Quel giorno, con sua somma soddisfazione, il lavoro di impiegato presso la Energetic Eolic Company (EEC) di Washigton - presso la quale prestava onorato servizio da ormai trentadue anni - non lo aveva costretto a neppure cinque minuti di straordinario. Nessuna chiamata dell’ultima ora, né tanto meno fastidiosi fax inviati in ritardo, e dunque da leggere, valutare, protocollare e archiviare prima di poter timbrare il cartellino per andar via. Tutto era filato liscio come l’olio sino all’ultimo minuto e, visto il gran caldo della splendida giornata, la gradita assenza di contrattempi gli avrebbe consentito di tornare a casa con inusuale anticipo. Una volta lì, una tazza di tè freddo con ghiaccio, e una sottile fettina di limone, l’avrebbe aiutato a godersi il fresco del giardino retrostante l’ingresso della sua abitazione. Nonostante il signor Lewis fosse un uomo single, visto che non aveva mai potuto, né voluto per la verità, condividere l’esperienza di una vita a due, la sua villetta non mostrava affatto, e in nulla, i segni caratteristici della solitudine maschile. La casa era sempre pulita, profumata e accogliente. Ai limiti dell’impeccabile. Sarebbe stato impossibile trovare anche solo della semplice polvere o qualcosa fuori posto.
L’arredamento, curato nei dettagli, metteva quasi in imbarazzo per l’ordine rigoroso da cui era governato. Ma il signor Lewis non disponeva di nessuno che si occupasse della sua dimora nel tempo in cui restava fuori per lavoro, cioè per quasi i due terzi della giornata, quindi il fatto che egli riuscisse a mantenerla in un tale stato sette giorni su sette, dava bene l’idea del livello di attenzione maniacale con cui era solito gestirla.
Che strano… pensò cercando di sfruttare l’onda verde di semafori sulla Lincoln, a non più di venti minuti di strada, e di traffico, da casa sua.
Quasi non ricordo più quand’è stata l’ultima volta che sono tornato a quest’ora. Forse otto mesi fa in occasione del compleanno di Ellison?
In quel momento squillò il cellulare.
“Pronto?”
“Il signor Lewis?”
Era una voce femminile, suadente.
“Sì, sono io” replicò lui, imbarazzato.
“Salve signor Lewis, sono la dottoressa Martinez dello studio legale Bergman.”
Il tono si era fatto subito più impostato.
“Buonasera dottoressa, mi dica.”
“La chiamo per informarla che quanto da lei richiestoci la settimana scorsa è pronto. Non appena le fosse possibile, potrebbe passare qui da noi a ritirare l’intero incartamento. Tutto qui.”
“Oh… perfetto. C’è solo un piccolo problema.”
La dottoressa Martinez non intervenne.
“Al momento sono fuori città e non mi è proprio possibile recarmi da voi.”
Il signor Lewis stava mentendo, ma se avesse accettato l’invito della sua interlocutrice avrebbe dovuto dire addio al pomeriggio libero da godersi in santa pace, senza seccature.
“Capisco” l’interruppe lei, impreparata.
“Se per voi però non ci sono problemi, potrei passare domani pomeriggio all’uscita dal lavoro. Che ne dice dottoressa, andrebbe bene lo stesso?”
“Ma sì, certo signor Lewis, nessun problema.
Faccia come meglio ritiene. Se preferisce così, per me va bene. Nel caso dovessi essere impegnata, o fuori sede, avrò cura di lasciar detto a uno dei miei collaboratori di consegnarle il suo incartamento.”
“Perfetto, allora a domani.”
“L’aspettiamo, buona serata signor Lewis.”
E’ proprio quello che spero… pensò lui senza replicare.
La Martinez gli era sembrata cordiale e gentile come al solito, dunque nulla faceva pensare che la sua scusa l’avesse in qualche modo innervosita o resa scettica.
Il signor Lewis aveva ricevuto la notizia che attendeva. E la cosa lo rendeva ancora più soddisfatto di prima. Quel pomeriggio si stava rivelando più che soddisfacente. Ripose il cellulare nel taschino interno della giacca e cominciò ad assaporare il momento del suo rientro. Nel giro di pochi secondi, d’improvviso, nubi dense e sinistre oscurarono in ogni direzione il cielo terso, lasciando che la luminosità del pomeriggio ancora giovane svanisse alla rapidità d’un lontano ricordo. Il cambiamento climatico fu tale ed evidente che sarebbe stato impossibile per chiunque non volgere lo sguardo in alto per scoprire il motivo d’un simile peggioramento. Il vento, alzatosi maestoso e possente, prese a scuotere le cime verdi e leggere degli alberi costeggianti la strada percorsa dal signor Lewis. Ma senza che alcuna ragione ne spiegasse l’improvviso  e impetuoso soffiare.
Svoltato l’incrocio con la Hemingway, egli avrebbe potuto scorgere in lontananza i contorni del grande patio alberato della sua casa. Ma proprio al momento d’imboccare l’ultimo rettilineo, Donal Lewis avvertì una strana sensazione. Un brivido gli attraversò la schiena procurandogli la pelle d’oca, ovunque.
Dapprincipio pensò potesse essere stato il repentino mutamento di luce a causargli l’inspiegabile sussulto. Poco dopo invece, si rese conto di come non fosse stata affatto quella la ragione del suo fremito. Man mano che con l’auto procedeva a passo d’uomo lungo le ultime centinaia di metri dell’ampio viale alberato che lo separavano dalla meta, sentiva crescere dentro di sé, prepotente e irrefrenabile, una sensazione d’indefinibile disagio della quale non riusciva a individuare l’origine. E più si avvicinava, più quel senso di scomodità, ai limiti del vero e proprio fastidio fisico, cresceva. Nonostante le apparenze, Lewis si sentiva più che sicuro di come non tutto fosse al posto giusto.
C’era qualcosa di anomalo in quella casa dalla quale non riusciva a distogliere lo sguardo, ma non riusciva a comprendere quale potesse essere. Di una cosa al contrario era più che certo, a ogni metro che guadagnava: quella casa era la sua. Ma che diavolo… che diavolo sta succedendo… cominciò a ripetersi. Gli bastò l’ennesima occhiata verso l’alto per individuare il particolare che aveva intuito non fosse dove avrebbe dovuto. A poche decine di metri dal vialetto d’ingresso del suo giardino fu d’improvviso tutto evidente. Chiaro e nitido come la luce del sole che nel frattempo aveva ripreso a splendere nel cielo tornato sgombro dalle nubi di pochi minuti prima.
Ma… ma certo… ecco che c’è che non… prese a sillabare Donald Lewis non credendo ai propri occhi.
No… no… non è possibile… non è possibile… è… è assurdo… non può essere vero… ripeteva accostando meccanicamente l’auto al marciapiede.
Spense il motore e restò per qualche minuto imbambolato all’interno della sua Ford. Non riusciva a distogliere lo sguardo incredulo da un preciso punto. L’anomalia che d’improvviso poteva scorgere nella sua inoppugnabile evidenza, rendeva giustizia del suo istintivo turbamento. E più Lewis continuava a fissarla, più non si capacitava di come essa potesse essere lì, reale e disarmante davanti ai suoi occhi.
Non può essere lì…non può trovarsi da quel lato… Non è possibile… questo è uno scherzo… continuò a farfugliare.
Sì, ma sì… certo… non può che essere uno scherzo, non può essere… continuò a farfugliare a voce bassa, con un tono che andava via via spegnendosi tra le labbra arse dall’arsura dell’afa pomeridiana.
Lewis esplose in un sorrisetto isterico, incapace di poter pensare a qualunque spiegazione razionale in grado di risultare al contempo anche un minimo plausibile. Il camino della sua abitazione non era più al suo posto, bensì sul lato opposto del tetto dove lo stava osservando ipnotizzato. Impossibile spiegare per lui ciò che non riusciva e che non poteva essere compreso.
Eppure, nonostante l’evidente assurdità di quel ‘particolare’, una simile alterazione avrebbe finito per trasformarsi in un puro e semplice dettaglio.
Un’inezia, o poco più, all’interno di una vicenda che d’incredibile avrebbe rivelato da quel momento in avanti ben altro. E non soltanto al signor Lewis.
 
 
 

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