Scritto da © Anonimo - Gio, 07/04/2011 - 13:36
La lama ha un diabolico approccio nelle vicinanze degli oggetti già dall’impugnatura che ne fa il pensiero. Come si liberi mentre è satura di riflessi è un mistero. E’ capace di aprire caverne o, quando imbocca la curva delle fette, lascia un greto stretto sul quale poggia la magrezza del suo universo.
Il ventre è un gufo calmo. Borbotta a stento o è cadente. Contiene storie vaghe, umori scossi, vecchie ipotesi di discarica, qualche pentimento o soltanto il sorriso della tenia. Il ventre stenta a credere di essere vitale: come ogni stella esprime una circonferenza incerta.
La lama trae dalla sua ragnatela di metallo il filo necessario nei discorsi netti. Se parla di piatto libera la calma esattamente come un petalo di luce; se urla dal taglio, domina col freddo lo squarcio aperto in cui s’allaga della rosa rossa o la timida bocca dalla quale evade la ruggine del corpo.
Non c’è ventre che non sopporti l’onta del pube: in questo è la rissosità della piazza dei sensi. Il ventre è un manifesto chiaro sulle possibilità date al torace di avere un portamento austero. Il ventre piega perfino le spalle quando si espone alla platea. Se non riceve applausi, cala il suo sipario fuoribondo.
Quanto più la lama si nasconde, tanto maggiore sarà l’offerta del ventre.
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