Scritto da © Daniele Alfieri - Sab, 30/04/2011 - 18:44
Il verde e la valle decisero di eclissarsi già
da lacrime e gioie all’imbrunire del secolo.
Solo il pensiero che va a colei che non emigra
riusciva a perforare quegli stormi di rondini,
amanti sprezzanti dei lampi e della neve.
Pascoli e pastori temendo tempeste assassine
di colpo liberarono il paesaggio d’ogni impaccio.
L’occhio ora esanime può catturare la nebbia
limpida e vorace dell’aprile vago di barlume.
Ivi annegarvi soppiantato, scorticato, dall’amore,
il più scaltro seppur macabro colore della notte.
E’ qui che Satana, qual è mostro ballerino,
mi corteggia ed è sinuoso come un tempo
in cui m’abbeveravo vuoto da calici di carta
prima che una stella elaborasse miti per oscurarli.
Mostrandomi le zanne, si diverte a sussurrare,
m’inietta ancora - ah quanto l’adoro! -
immagini di lei: che fugge, a passi di cinghiale!
- Mio caro, non fui io a concederti a quella
il cui ricordo ora t’assilla e ti schiaccia le ossa.
- Ma caro Satana, una visione più clemente…
Puah! Ma a che serve? Stupido spettro bizzarro,
a nulla valgono i miei sputi addosso a te!
E’ chiaro ormai, conosco cose che pesano:
l’amore e la morte, tempio e regina del poeta.
Costei si pettina imbellettata prima di uscire
a fare follie. Rapisce e gioisce: - Giovani, storpi,
malvagi furenti, tutti vorranno cadere prima o poi
nel vortice di cui nulla possono sapere, né vogliono!
Ma io ti sento amico mio, non nel corpo cadaverico
celebrato e portato in Osanna nel trionfo cimiteriale,
ma nel vento che muove le ore della tetra giornata,
una delle tante che guarda ansimante al crepuscolo.
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