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La mia vita.


M'aveva dato i suoi sandali di cuoio
quelli con cui aveva camminato
e per viatico due o tre cose scarne
da imparare a memoria ma
furono subito troppo pesanti
e rudi i lacci alle mie gracili caviglie.
A nulla valsero i balsami d'affetto
i lavacri perfino di pianto
con i quali lei tentava di alleviare
le mie pene d'insofferenza
né le parole affettuose d'incoraggiamento.
Presi a camminare e non ero spedito
la strada subito lunga, pietrosa senza fine
così di cippo in cippo consumavo il tempo
della vita che si dice sia in prestito
sperando di realizzare una qualche sogno
che tuttavia m'affollavano la mente.
E presi vie arrischiate come di mare
pur d'approdare in qualche ansa tranquilla
godere della bonaccia a sera
del calore consolatorio del desco amico.
Nei peggiori momenti, quando più greve
mi pareva la zoppia d'essere inadeguato
ho cercato di pensare fosse un marchio
un segno di un interesse trascendente
inscrutabile che mi feriva l'anca per sempre
anche se da quella lotta non fui mai sfiorato.
Eppure ho avuto gioie dai miei lombi
e dai lombi dei miei lombi ancora
che mi fanno scordare gli acciacchi
le meschine irrisolte questioni del mio destino
che dimenticherò tutte, l'ultimo giorno
per renderla, se così s'ha da fare, a chi ha titolo
sperando non sia troppo, quello da giustificare. 

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