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L’addio a mia madre

In principio non credevo d’essere
un cespuglio sperduto nel deserto,
abbandonato dai capricci del vento,
tra anfratti remoti e nascosti.
Le spietate asperità mi ferivano crudeli
mentre rimbalzavo fra i cumuli di rena.
 
Incapace di resistere ai risvolti dell’aria,
seguivo cieco l’impeto della corrente.
Guardavo il vuoto con la sabbia negli occhi,
e mi vedevo riverso sul petto di mia madre,
pallida e immobile nel suo composto silenzio.
Solo la preghiera consumava la sua agonia.
 
Esco nella pioggia della notte che mi saluta
carezzandomi con i suoi brividi di freddo.
Ora la mia ombra mi guida nel buio,
vecchio amico della mia solitudine.
La luce della luna mi dona il fiato dei mortali,
e urlo come un bambino nella stanza muta
 
squarciando con l’impotente lama di dolore,
la densa indifferenza della notte.
Come vorrei trattenere il tempo
e dormire ancora fra le tue braccia,
regalarti una stella e baciarti,
fino a chiudere gli occhi e poi,
sentire il tuo cuore battere per me.
 
Addormentarmi con la tua ultima carezza
mentre tutto comincia a oscurarsi.
Per favore, non lasciarmi, baciami ancora,
solo una volta...e salirò al cielo,
baciami un’altra volta e volerò con te,
strappando un agrifoglio dal monte senza croci.
E mentre Lui parlerà alle aquile reali,
ti raggiungerò, nudo, nella scia della tua stella.
 
 
(scritta 20 anni fa. Oggi ricorre l'anniversario)

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