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Lory 2 (risposta a Viola e agli altri amici)

Sul primo Lory ho lasciato un po’ in sospeso un concetto, richiamandolo solo di striscio, ma che è fondativo dell’intero excursus. La pulsione di morte, di freudiana memoria, vanta una certa genealogia che muove sin dai primordi dell’autocoscienza. Freud l’aveva desunta dalla “coazione a ripetere”, suo concetto tardivo che ribaltava completamente l’impostazione precedente, fondata sulla pulsione sessuale. È il lato più stringente di Freud, e in fondo quello che davvero ritengo nella mia Weltanschauung. Prima di lui, uno come Dostoevskji si interrogava sul bisogno umano di macchinarsi contro, di agire contro i propri bene e interesse; Leopardi aveva parlato del desiderio di “dissentirsi per sempre” di ciò che è vivo, e De Sade aveva attuato come prassi quel “volere le tenebre” di cui parla l’Apocalisse. Ecco, Leopardi considerava come un “sentir bene”, un volere il bene, quello che invece è per Freud e Dostoevskji un fomite di sciagura al genere umano, una sciagura che per De Sade è invece auspicabile e positiva. Per tutti comunque c’è nei presupposti dell’essere un anti-essere che gli si oppone, che gli fa resistenza. Nella coazione a ripetere, per esempio, il malato fa resistenza al bene della cura. 
È questo l’argomento in causa, non altri. Qui il femminile è una categoria clinica, non culturale o politica. Al massimo ci si potrebbe accostare alla sociologia, sussumendo la “pulsione di escort” al vuoto morale e culturale di questo tempo di accelerazioni senza mete. Ma questo è altro, è una Götterdämmerung, un crepuscolo degli dèi, in cui questi ultimi sono i nostri referenti radicali, le nostre quintessenziali iconostasi, che sprofondano sotto l’aggravio di altre emergenze (per esempio, l’islamismo). Il che non significa affatto, né che le prime fossero logiche ed equanimi, né, men che meno, che le seconde siano migliori, significa soltanto lo stato delle cose: siccome in natura vince il più forte e le nostre fondamenta ontologiche vengono erose dal processo critico (che pure meritano), finiremo per soccombere sotto l’attacco di forze magari più arcaiche, ma più salde, motivanti e fortificanti delle nostre. E il femminile di cui parliamo, con tutta la sua irresoluzione e le sue domande lasciate inevase, verrà detronizzato per far posto a qualche altra figura, magari più elementare, la cui promessa già ci affligge…
Per tornarci su, diremo allora questo: che il richiamo invitante, seducente, peccaminoso delle anche flessuose di Eva (il femminile) involge un senso e un desiderio di morte che stuzzica Adamo (il maschile) alla trasgressione, ossia induce il femminile a farsi strumento della spinta a estinguersi, istigando il maschile alla violenza contro se stesso. Ma il maschile stesso è involto nel medesimo complotto contro di sé e il piacere che presume di inalare dal sacrificio della femmina non è che il proprio auto-sacrificio ritualmente trasfigurato nell’olocausto sessuale della partner. Così il piacere è il piacere di morire in incognito, un rito che disvolge ineluttabilmente alla violenza: perciò, è il sadismo la molla più abissale dell’essere e dei suoi rapporti. Un gioco esiziale tra vita e morte, il cui nesso è il piacere, ma il cui contenuto è tragico.
Noi vorremmo che queste oscure “spinte” della nostra enigmatica natura, fossero tenute al guinzaglio del sapere e che non dessero quindi adito a brutalità e violenze che offendono la civiltà stessa. Ma quest’ultima a cadenze pressoché cicliche ci sfugge di mano, lasciando che l’istinto afferri da solo le redini e guidi l’essere verso l’ignoto. Ed è abbandonandosi all’ignoto che diventa possibile scambiare per ideale ciò che si presenta invece soltanto come una débacle dell’autocoscienza.
 
 

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