Scritto da © mario calzolaro - Dom, 29/01/2012 - 19:55
La pioggia continuava da giorni a battere sui vetri, monotona e fredda.
La stanza, buia, a tratti veniva rischiarata dai lampi, che creavano l'illusione che la luce appartenesse ancora a quel tempo.
Irene ricordava di avere quasi vent' anni, di aver perso i genitori, ora era rimasta sola.
Se n'erano andati, il babbo e la mamma, come tutti; andati via, persi, cancellati dal mondo, rimasto così, ormai privo di voci, di vita, di suoni.
In quella solitudine continuava a pensare alle ragioni della sua sopravvivenza, al domani e i suoi pensieri erano scanditi dall'ossessivo incalzare della pioggia che le ricordava di essere viva, ancora viva, unica superstite in quello spazio di nulla.
Poi improvvisamente, qualcosa, come tonfi ovattati che provenivano da un oltre sconosciuto, la strapparono alle sue riflessioni.
Le si raggelò il sangue e fu scossa da un tremito incontenibile.
Anche la stanza sembrò, d'improvviso, più fredda come se un brivido siderale avesse attraversato i muri e si fosse quasi materializzato nella casa, tangibile e concreto: non poteva essersi sbagliata, trattenne il fiato mordendosi il labbro.
Inequivocabilmente, nel silenzio qualcuno tornò a bussare, ripetutamente alla sua porta.
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