Scritto da © Massimo Caccia - Lun, 20/02/2012 - 14:28
Scrivo in cucina qualche verso appeso:
l’alchimia del cibo favorisce
lo staccare di rime quotidiane.
Mi sento bene con le spalle al muro
seduto al posto della colazione
in dispetto al carmina non dant panem
che l’antico poeta scorciando
il Soratte alto di candida neve
disse sorbendo lo spesso Falerno,
forse roso d’invidia perché incapace,
ormai di vivere il sogno. Io, folle
d’ubriacatura, brillo, gusto spasmi
di rivelazione, dove tu ninfa
egeria scalpicci nelle domestiche
faccende che tribolano giornate
piene
– vorrei mai andarmene quando
sussurri la tua gioia nell’ansia
sfumata in quattro chiacchiere, nel the
assieme condiviso sfargugliando
dolci offelle nel cedevole burro
d’un sorriso –
eppure tutto termina
nell’incriccante macchinario, dunque
squadro una corba di gonfie succose
arance, zuccheri glassati e forti
rappresi sul fondo di cocci rossi.
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