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La pace di Dean

 
Avevo camminato per ore. La neve bianca mi impediva di proseguire. Davanti a me non c'era nulla, nulla se non gli alberi e il bosco fitto, illuminato dalla luce della luna che si rifletteva sulla candida neve. Poteva quasi sembrare giorno: non esisteva quasi il buio, in quel tripudio di bianco e verde.
Mi sedetti su un tronco reciso, dove non aveva avuto accesso grazie ai rami delle piante che gli stavano intorno: una sedia perfetta, forse non tanto naturale, dato il taglio netto. Forse qualche umano bisognoso ne aveva approfittato.
Non passai molto tempo solo, a contemplare i miei pensieri che uno dopo l'altro si affacciavano alla mia mente, come cassetti di un armadio impazzito. Avevo compagnia. Sentii i suoi passi delicati molto prima che lui avvertisse la mia presenza. Lui poteva godere di un fiuto infallibile, io di infallibile avevo tutti e cinque i sensi.
Un lupo. Dovevano proprio essere i passi di un lupo. Si bloccò di colpo ed io alzai lo sguardo. Non era molto lontano da me, forse meno di tre metri: dovevo essere incappato nel suo territorio e il modo delicato in cui ero in grado di spostarmi doveva avermi fatto passare inosservato.
Ci fissammo negli occhi: fu un lungo interminabile secondo, in cui non ci fu bisogno di fare nulla. Lui abbassò la testa in segno di rispetto. Sapeva chi ero. Sapeva che non ero umano. Non gli ci era voluto più di quell'attimo per rendersi conto che per me arrivargli vicino e ucciderlo era facile come staccare una margherita in un prato fiorito. Prese a girarmi intorno, spaventato e curioso da questo Dio-vampiro che cercava riposo in quella terra desolata. Avevo bisogno di pace, il che era scontato: non avevo mai un attimo di tregua nella mia vita e il silenzio che si respirava nella notte era ossigeno per la mia mente.
Lo fissai, mentre mesto stringeva sempre più lentamente quel cerchio invisibile che mi racchiudeva: era scuro, anche se non completamente nero, con delle perfette striature sul corpo. Era certamente un maschio, forse il capobranco in cerca di cibo.
Rimasi immobile e tranquillo, quando il suo muso e i suoi occhi carichi di sottomissione furono solo a pochi passi da me. Era così bello da lasciare senza fiato, una creatura così potente e silenziosa, come sulla terra solo poche erano presenti. Mi mossi lentamente, i suoi occhi sempre incollati ai miei: allungai la mia mano fino a sfiorare il suo pelo. Lui si avvicinò a testa bassa e io potei toccare il suo pelo fra le orecchie, con dolcezza.
Io rispettavo lui, lui rispettava me. Per forza, destrezza, abilità e potenza ero superiore, ma anche il lupo sapeva che non amavo gli animali, che loro non erano pane per i miei denti. Per questo si era fidato. Aveva creduto nella mia calma e curioso si era spinto tra le mie mani fino a farsi accarezzare.
C'era qualcosa in quell'incontro che mi ricordò momenti passati, quelli in cui non avevo bisogno di stare solo e di cercare un luogo in cui pensare: quel lupo maestoso e bellissimo mi stava ricordando che c'era stato un tempo nel quale io non ero il cattivo della situzione, ma solo un umano un po' speciale che poteva concedersi di essere debole qualche volta.
Si allontanò dopo pochi minuti. Mi guardò solo un momento prima di sparire di nuovo nel fogliame. Lo ringraziai e fui certo che avrebbe capito senza bisogno che la mia lingua si adeguasse alla sua.

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