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Rimembranze - parte terza

Giunsi verso la mezzanotte, mi presentò al padre, una persona squisita, colta e di larghe vedute che, volendo la felicità della figlia, mi accolse con gentilezza e contenuto calore.

Soggiornai alcuni giorni in città, ospite di casa loro, presto ben voluto dalla madre, dalla nonna e, particolarmente, dal fratellino. Furono giorni felici, a casa, in ispiaggia o in escursione nella città e nei dintorni. Quando soli, ci sbaciucchiavamo, ci stringevamo e, nonostante lei fosse timida e ritrosa, qualche volta riuscivo a vincere le sue resistenze, lei si abbandonava e facevamo l’amore come meglio potevamo, senza mai avere l’opportunità logistica di andare fino in fondo.

Mary era raggiante di felicità, mi baciava con trasporto e si fidava ciecamente dei miei sentimenti. Io mi sforzai di convincermi che l’amavo veramente e che avrei volentieri costruito con lei una relazione d’amore stabile e, col tempo, convivere, o meglio, sposarci, come supponevano che sarebbe avvenuto i suoi familiari.

Finita la vacanza spensierata che ci aveva uniti come due normali fidanzati protesi verso un avvenire di coppia felice, in procinto di metter su famiglia, lei tornò al lavoro, io alle lezioni private a casa mia.

Di rado, ma ci vedemmo nella nostra sede universitaria. Essendo per natura geloso, qualche volta la tormentai : una prima volta mentre stavamo in un ritrovo giovanile, dove credevo che lei non disdegnasse di guardare gli altri giovani;  qualche altra volta quando parlavamo di noi ed io provavo una sorta di gelosia retroattiva se la costringevo ad accennare al suo precedente fidanzato, collega suo di lavoro, ch’io presumevo fosse ancora nello stesso ambiente.

E fu proprio questa specie di rabbia e di ingiustificato risentimento uno dei motivi pretestuosi per cui, vigliaccamente, un giorno la lasciai in tronco.

Ma la verità più profonda era che io non riuscivo a dimenticare la mia Rosangela, anche perché proprio in lei vedevo l’ingenuità e la purezza, l’assenza di precedenti rapporti fisici. Non riuscivo a cancellare dalla mente la sua immagine ricorrente, il suo bel viso di madonnina, il suo corpo stupendo.

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Alla fine di settembre del ’65 seppi per caso ch’era tornata per alcuni giorni dagli zii.

Non ce la facevo più, telefonai, rispose lei. L’assalii con un diluvio di parole, percepii chiaramente dai suoi monosillabi che anche lei mi amava ancora, le chiesi se potevo rivederla di persona. Mi disse un “ sì “ tra i denti.

Volai e fui da lei, che aveva gli occhi lucidi e la voglia sincera di riabbracciarmi.  Avevamo sofferto abbastanza, entrambi, per più di un anno! Lei, forse, anche più di me, se è vero, come mi accennò in seguito, che s’era fatto avanti nel corso di quell’anno qualche serio aspirante alla sua mano, a cui non aveva voluto dare alcuna speranza.

Oggi, particolarmente, che son ultrasettantenne, ma qualche volta anche in passato, quando ripenso al dolore causato, per la mia gran parte di colpa, sia alla donna della mia vita, Rosangela, sia alla dolce e buona , incolpevole Mary, sento che il cuore mi grida le stesse parole del Pascoli nella lirica “ La tessitrice “ -Come ho potuto? -. E, al ricordo, il cuore mi sanguina per il rimorso. E, col Montale, dico loro : - Mi getto ai vostri piedi e attendo il vostro improbabile, ma certamente stentato, perdono -.E senza dubbio sono le colpe più gravi, e strazianti, della mia esistenza.

 

xxxxx

 

Rosangela non tornò a studiare a Boiano, anche perché io ebbi l’insegnamento nel suo paese e fui ospitato a casa sua. Che gioia, dopo un anno di sofferenza e struggente nostalgia, poterla vedere ogni giorno e condividere tutto, tranne il letto!

Di giorno, nei rari e occasionali momenti di assenza di occhi indiscreti, dirle che l’amavo alla follia, accarezzarla, baciarla, stringerla a me e tentare furtivi altri gesti e approcci, anche se lei era sempre sul “ chivalà “.

Ricordo, tra l’altro, che mentre mi preparavo per sostenere l’esame di abilitazione all’insegnamento di materie letterarie, mi ammalai di seria influenza catarrale con febbre; stetti a letto alcuni giorni e lei, tutta apprensiva e dolce, mi fece spesso compagnia nella cameretta in cui dormivo, talora mi teneva per mano, mi accarezzava la fronte, mi d

 

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