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La città degli specchi convessi

E' possibile che una volta
mi sia perso per spiagge spettinate.
Probabilmente entrai nel sole
poi.....
(Io ricordo)
 
Il sultano del sole era gentile
gentile
e non molto occupato.
Mi mostrò la sua terra circolare
tutto quel morbido incendio
e bruciando per bene,
come all'inferno,
semmai quello non fosse l'inferno,
passeggiammo.
 
Andavamo
io e il mio sovrano,
per incolti campi di elio
leggeri da non sentire i piedi,
lungo torrenti d'idrogeno
fino alla grande città.
 
Recisi una fiamma dal terreno
per mettermela all'occhiello
e ci fermammo a pensare
sotto un salice di fiamme piangenti
che si specchiava in un lago d'ammoniaca
tra vapori venefici
e profumate bolle di sopore.
 
Non avevo mai visto un simile inferno
sognante, suadente
dove il peccato e il pudore
non si incontrano mai
dove le guance avvampano dal vizio
e l'amore scolora.
 
La città non era così lontana,
la città degli specchi convessi, disse il mio ospite,
era all'orizzonte.
Vibranti immagini capovolte
salivano pesanti, prepotenti, goffe,
costruzioni sottosopra
dalle fondamenta verso l'alto.
Non c'erano guglie
né campanili né campane,
né croci né mezzelune.
 
Tutt'altro, disse il sultano -mio signore,
le guglie e i campanili
le croci e le mezzelune
sono interrate profonde nell'oblio
per sorreggere castelli di miraggi.
 
Non eravamo ancora entrati
nella città degli specchi convessi
il gentil padrone si congedò,
con la mia eternità sulla faccia
il mio passato sul ghigno.
 
Mi attendeva
la vanità più vana
negli specchi più inquieti.
Il mio cuore si convertì.
 
 
 

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