Scritto da © Piero Lo Iacono - Dom, 13/01/2013 - 19:14
Mi arerò.
Affonderò la lama a cuore
del vomere, della vanga,
della zappa, del badile
in me….
Io sono la terra, io il contadino e io l’agricoltura.
Il rebbio bidente della forca,
i denti del rastrello in me
rivolgerò. In me.
L’erpice che frantuma le zolle dopo l’aratura.
Mi trebbierò.
Dividendo i chicchi delle spighe
dalla paglia.
La crusca dal grano.
Il loglio e la zizzania
dal frumento.
La gramigna dal raccolto.
La costola della falce e del falcetto,
la sega dentata della falciatrice,
userò su di me.
Mi poterò.
Mi vendemmierò.
Con cesoie e coltelli.
Mi seminerò.
A mano o con la tramoggia.
Per non restare afasico.
E bofonchiare il mio laconico morse
come fa la maggioranza soddisfatta
di pronunciare i soliti 50 vocaboli.
Oh come invidio
chi non ha bisogno di parole
per parlare e comunicarsi!
Il pastorello che viaggia chilometri
col suo gregge e con 15-20 monosillabi,
con non più di 5 vocali
e poche lettere dell’alfabeto.
20-4-2008
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