Il casolare - horror - | Prosa e racconti | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

Il casolare - horror -

C’è chi  afferma che i commercialisti non hanno cuore e non provano sentimenti particolari, se non l’amore sfegatato per numeri, registri contabili, calcoli di IVA o di ICI e via discorrendo. Ebbene, io, che pur appartengo alla catena dei contabili d’azienda, dimostrerò che questi calunniatori della categoria si sbagliano e verserò fiumi d’inchiostro con le mie penne a sfera esclusivamente per la redazione di questo diario, nel quale annoterò le vicende delle mie vacanze di quest’anno.

1 Agosto 1981

“Caro diario,

 

è finalmente cominciata la mia agognata vacanza! Ho lasciato in città traffico, smog e problemi quotidiani, e con  moglie e  bambino, a bordo della mia “Ford Escort”, mi sono tuffato bel bello nel verde di Agerola.

Si tratta di un piccolo borgo montano che sorge sui monti Lattari, quasi a cavallo tra i due golfi: quello di Napoli e quello di Salerno. Essenzialmente il paesino si sostiene con l’agricoltura, ma grazie ad un patrimonio ambientale non indifferente, da qualche decennio a questa parte, la maggiore risorsa è rappresentata dal turismo, favorito anche  dalla salubrità dell’aria e dalla bontà dei prodotti caseari.
Nel momento in cui scrivo è una notte splendida, con un cielo stellato senza inquinamento luminoso. Questo luogo farebbe la felicità di molti astronomi. Abbiamo preso alloggio in un casolare in piena campagna, immerso nella vegetazione di Punta Fenile in frazione Bomerano: una vera loggia che affaccia sul superbo panorama della Costiera Amalfitana. E’, in realtà, una costruzione di due piani. Al piano terra abita il proprietario don Vincenzo con la moglie e la giovane figlia Gilda; al primo piano ci siamo noi, sistemati in un appartamentino di due stanze e cucina con balconcino. Su al secondo piano non so al momento chi ci sia; fatto sta che sarà certamente qualcuno che, come me, non riesce a prendere sonno, visto e considerato che attraverso il riflesso sulla  lastra di una finestra di un casolare di fronte, riesco a vedere che c’è ancora la luce accesa: una luce fioca, ogni tanto maggiormente affievolita da un’ombra che vi passa davanti.  Dal modo di muoversi e di andare avanti e indietro sembra essere in preda ad una forte eccitazione. La cosa che in un certo modo mi ha colpito è che ho avuto la sensazione come se d’improvviso l’ombra irrequieta si allungasse a dismisura, ma si tratta certamente di un gioco di luce riflessa. La notte è splendida, si ode il canto delle cicale intervallato da quello dei grilli . Ora il verso di un cuculo mi dice che s’è fatto veramente tardi.  Sono stanco e vado a dormire. “

8 Agosto

“Le splendide giornate di sole, i colori della natura e la bontà del cibo locale mi hanno conquistato tanto da farmi dimenticare di chiedere ai padroni di casa chi fossero o chi fosse l’ospite nervoso del secondo piano. Del resto credo anche che siano andati via, dal momento che le ante della finestra sopra la nostra sono sprangate in ogni ora del giorno e  non vi è più alcun segno di vita di probabili abitanti.

Questa mattina siamo andati al mare giù ad Atrani. Il paesino è situato subito dopo la “Torre Saracena” di Amalfi. Sulla statale si attraversa un tunnel di un centinaio di metri e subito dopo si gira a destra giù per una stradina tanto stretta che a malapena vi passano due auto provenienti da sensi opposti. Si giunge in una piazzetta a pochi metri dalla spiaggia e vi si può parcheggiare. Per l’esiguo spazio, però, il parcheggio è limitato ed intorno alle nove del mattino un vigile, posto all’ingresso della stradetta, abbassa una sbarra appena in piazzetta non vi è più posto. Ne consegue che bisogna alzarsi presto e scendere da Agerola non più tardi delle otto. Questa mattina, dunque, alle sette e mezza, armati di ombrellone, “sdraio” e salvagente, siamo usciti di casa. I muri fra le scale evidentemente sono stati rimbiancati da poco perché in alcuni punti appare chiaro che sono ancora umidi di pittura, della quale si avverte l’insinuante odore. Subito dopo aver rinchiuso la porta alle mie spalle, ho notato qualcosa che non avevo veduto quando siamo arrivati: all’inizio della rampa di scale che porta al piano superiore, sul muro a destra, c’è  una scritta, in parte cancellata, fatta con il carbone; qualcosa di incomprensibile: “ I…TO”. Non ho dato molto peso al fatto, ho solo provato un po’ di rammarico per il muro appena ridipinto e già insozzato. Mi sono  chiesto chi possa essere stato, visto e considerato che gli abitanti del casolare siamo tutti qui. Mi è anche balenato in mente che don Vincenzo, vedendo la scritta, potrebbe pensare che essa sia opera del bambino. Del resto è, però, evidente che lo stesso non potrebbe essere stato, dal momento che essa è situata troppo in alto rispetto alla sua statura. Certamente si tratta di una bravata fatta da qualcuno dei ragazzi dei vicini casolari, magari proprio da uno di quei diavoletti che ora vedo di fronte rincorrersi a girotondo.  Fatto sta che il bel sole di Atrani e l’acqua limpida di un mare dai fondali stupendi e quasi equatoriali, mi hanno completamente fatto dimenticare l’inconveniente, del quale potrò sempre chiedere spiegazioni allo stesso don Vincenzo o alla moglie o, perché no, alla figlia Gilda.

Di ritorno dal mare, non appena parcheggiata l’auto,  c’era proprio don Vincenzo ad aspettarmi all’ingresso, su un lato della stradetta sotto il pergolato antistante il casolare. Avrei giurato che mi avesse chiesto della scritta, ed invece: - Dotto’, vi ho messo due bottiglie di vino fuori la porta. E’ un vino novello che, sono sicuro, apprezzerete.- Della scritta: nulla. Ho pensato, allora, che ne fosse già a conoscenza o, magari, non so, che potesse averla fatta egli stesso per qualche motivo a me ignoto. Per oggi  null’altro  di particolare da annotare se non che, prima di mettermi a scrivere, con mia moglie ho fatto una scorpacciata memorabile di fior di latte e salsicce ageroline, innaffiate da quel vino novello veramente delizioso. "

9 Agosto

 

“Questa mattina, nell’uscire di casa, ho notato che la scritta sul muro che porta al piano superiore sembra essere stata completata con le vocali “A” ed “U”, per cui ora si legge: “AIUTO”. Non c’è ombra di dubbio che qualcuno dei ragazzetti del vicinato si diverte a nostre spese, avendo anche facile accesso al casolare, dal momento che, sia il cancelletto del pergolato che il portoncino del casolare stesso, restano sempre aperti notte e giorno. Dopo aver mangiato, siamo andati a fare una gita a Sorrento che in questo mese è splendida, piena di vita e di musica. I balconi sono adorni di fiori di mille colori e la gente per le strade è allegra e vivace. Peccato che oggi è piovuto “a catinelle”, la musica non si udiva, i balconi erano chiusi ed i petali dei fiori venivano giù con la pioggia insistente. Poco male! Siamo in vacanza e possiamo anche permetterci di sorridere e fare “shopping” sotto l’ombrello, mentre i fulmini frustano l’aria e i tuoni rotolano tra le nubi”

 

10 Agosto

“La scritta è misteriosamente scomparsa! Il muro è bianco, nitido, senza alcuna macchia! Mi sono avvicinato alla parete per vedere se eventualmente fosse stata ridipinta questa notte (ma poi perché di notte?), ma essa era del tutto asciutta. Ora è come se non vi fosse mai stato stato scritto niente! Non nascondo che questo strano avvenimento ha suscitato in me un senso di disagio che, conoscendomi, mi assalirà ogni qual volta aprirò la porta per uscire di casa.  Non riesco a spiegare razionalmente l’accaduto, anche perché ho come la sensazione che sia un evento palese a me solo.  Non ne ho fatto parola con mia moglie, che sembra non essersi accorta di nulla. Ho taciuto dell’avvenimento anche a don Vincenzo e alla sua famiglia. Dalla finestra, mentre scrivo su di un tavolo accostato al davanzale, li vedo parlottare giù in cortile. Qualcuno passa in bicicletta oltre il pergolato, essi lo salutano distrattamente, poi riprendono a discutere in modo più concitato. Ora l’uomo solleva la mano per colpire la ragazza che, istintivamente, si copre il volto. Nel fare questo gesto guarda in alto, mi vede, sorride imbarazzato, poi, mentre la sua mano resta  sospesa in aria, la ragazza fugge  all’interno del casolare: la sento scoppiare in un pianto dirotto.”
 

15 Agosto

 

“Un altro avvenimento particolare, a tutti passato inosservato, meno che al sottoscritto, è avvenuto nelle prime ore del pomeriggio di oggi, ferragosto, festa dell’ ”Assunta”, celebrata con grande sontuosità qui ad Agerola. Mia moglie e il bambino stavano riposando, ed io ero uscito di casa per andare a passeggiare tra i campi. Proprio nel momento in cui sono giunto nell’androne del palazzotto, ho visto sgocciolare tra le rampe di scale un liquido di colore giallastro. Mi sono avvicinato, e, anche dall’odore, ho capito che si trattava di urina. Ho subito pensato al bambino, così ho rifatto di corsa le scale a due a due, ma giunto alla porta di casa, ho costatato, senza neanche entrare, che tutto era silenzio, ed all’interno mia moglie e mio figlio risposavano tranquillamente. Non vi era dubbio: l’urina puzzolente proveniva dal piano di sopra. Non senza apprensione, sono salito sull’ultima rampa di scale ed ho notato che l’urina che sgocciolava copiosamente dabbasso proveniva dall’appartamento sopra al mio. Mi sono avvicinato alla porta chiusa, ai piedi della quale si era formato un ben vasto fetido laghetto ed ho sentito come un bisbiglio provenire dall’interno. Con un sentimento di curiosità mista a paura ho avvicinato l’orecchio alla porta ed ho chiaramente sentito qualcuno che bestemmiava ripetutamente sottovoce.

La casa, dunque, è abitata o,  quantomeno, qualcuno vi è entrato per motivi che ignoro. Ho bussato alla porta ed ho sentito un grido soffocato, come uno spasmo doloroso, poi le  bestemmie sono cessate. Per qualche istante ho sentito ancora bisbigliare qualcosa, poi  più niente. Poi la mia attenzione è stata forzatamente distolta da un grosso ragno, dal pelo irto e  fulvo che aveva intessuto la sua tela proprio nell’angolatura tra il soffitto e la porta, e si era calato con il suo filo invisibile a pochi centimetri dal mio viso.

Questi avvenimenti stanno indubbiamente turbando la mia vacanza in questo luogo incantato, dove sembra che il tempo trascorra in modo più lento, dove la vegetazione è rigogliosa e i fiori “schioppano” in colori stupendi e variopinti. Perfino l’acqua, proveniente dalle fonti del Penise, sembra avere un sapore diverso (se mai l’acqua ha un sapore): è più leggera e naturalmente più  fresca e cristallina di quella che siamo abituati a bere in città. Ma c’è qualcosa che ormai attanaglia la mia mente e ne invade i meandri più reconditi: chi c’è su al secondo piano?  Qual’è il mistero della scritta apparsa e scomparsa tra le scale? E l’urina? Chi l’ha fatta? E perché in terra? A tutto questo, io realistico commercialista, devo dare una spiegazione razionale, e per poterlo fare ho bisogno di fatti su cui ragionare, ma, per ora, le argomentazioni languono perché gli elementi raccolti sono pochi e vaghi.

Nel momento in cui sto scrivendo sono le due di notte, un chiaro quarto di luna è dipinto in un cielo magicamente stellato, non odo altro se non il fruscio delle foglie mosse da una leggera brezza. Ora  vedo, sempre nel riflesso della vetrata di fronte, che le ante della finestra del piano di sopra si sono aperte e che all’interno della camera si è accesa una luce. Vedo l’ombra che passeggia nervosamente.  Si ferma al centro della finestra, si affaccia, sembra essere attratta dalla luce della mia stanza anch’essa riflessa di fronte, si allunga. Smetto un attimo di scrivere perché devo vedere, devo sapere…

Mi sono sporto dalla mia finestra per guardare in alto, ma non appena l’ho fatto l’ombra si è subito ritratta, la luce del piano di sopra si è spenta e le ante si sono rinchiuse. Domani romperò ogni indugio e chiederò a don Vincenzo informazioni sull’ospite misterioso, della sua ritrosia a farsi vedere, dell’urina sparsa sul pianerottolo e della scritta apparsa e scomparsa tra le scale. Intanto me ne vado a letto con il fiato sospeso in gola per l’indecifrabilità degli avvenimenti dei quali sono testimone. Una strana paura pervade la mia mente e una forte inquietudine accelera i battiti del mio cuore. Comunque, sono sicuro che la notte porterà consiglio e ciò che ora mi sembra strano, sicuramente domani mi apparirà in una luce diversa.”

 
“Caro diario,

mi sono alzato di nuovo perché non riesco a dormire, o meglio, mi sono appisolato solo per qualche minuto, poi sono stato svegliato di schianto dallo sbattere delle imposte della finestra che mi sta daccanto e che avevo dimenticato di chiudere.Il vento e le ombre della notte creano fantasmagorici effetti di suoni e di luci. C’è un lungo sibilo provenire dalla grondaia qui di lato al casolare, come se Eolo si divertisse a suonare l’ocarina. E’ un suono triste, quasi una nenia lamentosa. Le fronde degli alberi sembrano ogni tanto infastidirsi a questo stridio e lo coprono  rivoltandosi con grande frastuono. Il vento levatosi, ora è gelido (quassù fa freddo anche in Agosto). Guardo fuori di nuovo: è buio pesto, riesco a malapena a vedere le ombre dei panni stesi su di un filo che, da un capo all’altro, attraversa il piccolo cortile adiacente il pergolato: sembrano anime in pena che si  rincorrono sollevando le braccia come per imprecare. Si rivoltano su se stessi attorcigliandosi e sgomitolandosi subito dopo in un macabro girotondo. Sulla lastra di fronte, illuminato dalla fioca luce di una lampada notturna, vedo ora, in un riflesso distorto, me stesso: la mano destra va avanti a scrivere da sola e la sinistra tiene la mia testa, acciuffando ogni tanto ciocche di capelli e grattandovi dentro con l’indice e il medio, così, automaticamente, senza soddisfare alcun prurito. Mi vedo sbadigliare più volte. Ora, finalmente, ho sonno e la penna mi cade dalle mani.”


    17 Agosto

“Ieri ho dormito per quasi l’intera giornata. Il mio, però, non è stato un sonno tranquillo: ho sognato più volte di una trincea militare che veniva invasa da un onda enorme di urina.  Quando, nel marasma puzzolente, emergeva un volto senza faccia, allora ero preso da uno schianto improvviso che mi faceva rigirare a letto senza, però, svegliarmi.  Mi sono ridestato nel tardo pomeriggio, madido di sudore, ma affamato come un cane. Ada aveva preparato degli involtini di fegato in foglie di lauro. Non che fosse il mio piatto preferito, ma devo averne mangiati più di tre o quattro con un certo appetito. Ho bevuto anche qualche bicchiere di buon vino, poi, per la verità, mi   sono rimesso a letto a guardare in televisione un vecchio telefilm della serie “Perry Mason”.  Ho invidiato, allora, qual personaggio per la sua logica, per l’infallibilità del suo metodo di indagine, per il suo intuito. A proposito, oggi, caro diario, ho provato a chiedere spiegazioni a don Vincenzo.

-Chi è che abita al piano sopra il mio? – gli ho chiesto.

-Nessuno,  la casa è vuota…- mi ha risposto

-Eppure ho visto un paio di volte la finestra illuminata…E non solo: ho veduto chiaramente qualcuno in quella stanza andare avanti e indietro, come…come… in preda ad una crisi nervosa…-

-Qualcuno, dice? Crisi nervosa? Si sarà sbagliato…Ah, di rado ci va Gilda, mia figlia…sa, ci va a togliere un po’ di polvere, sa…col tempo la polvere poi la fa da padrona…E’ tutto coperto di polvere lì…tanta polvere…Quella era la stanza del mio povero figlio…Crisi nervosa, dice?-

-Il suo povero figlio?-

-Si, non c’è più…è morto…Avanti e indietro ha detto?-

-Come accadde?-

-Oggi avrebbe quarant’anni, sa…era un bel giovanotto…pieno di speranze…La luce accesa, ha detto? Fu colpito da una nefrosi fulminante vent’anni fa e in men che non si dica…Sa, allora non c’erano le cure che ci sono oggi…allora niente di niente…-

-Lei non si è mai accorto di una scritta fatta col carbone sul muro dell’ultima rampa di scale?-

-Altrochè, non me ne parli! Fu proprio lui a farla-

-Lui, chi?-

-Mio figlio. Quando seppe della sua malattia, in preda alla disperazione, scrisse “Aiuto” sul muro. Non me ne parli…dopo che lui…si, dopo che lui non ci fu più, la cancellai…Cosa ne sa lei di quella scritta fatta vent’anni fa?-

Sono impallidito, per qualche buon minuto non riuscivo a parlare, mentre il vecchio aspettava una mia risposta. Credo di aver balbettato qualcosa di incomprensibile perfino a me stesso, poi, risolvendo,  con gran fatica, ho deviato il discorso su altri argomenti, come ad esempio, la bontà del vino bevuto ieri pomeriggio. L’uomo, prima perplesso, mi ha poi tenuto una lezione sulla qualità dell’uva, sulla vendemmia, sulla torchiatura ed, infine, sull’imbottigliamento di quel magico nettare rosso. Era fin troppo palese, però, che entrambi parlavamo di una cosa e pensavamo ad un’altra.

Questa sera siamo andati a San Lazzaro, altra frazione di Agerola, a vedere i fuochi d’artificio come al solito ammalianti in tutto il loro fragore e lo sfavillare dei colori. Si è celebrata, con un programma civile di canzoni napoletane, la festa di San Gregorio Magno. Tutto è avvenuto in piazza Avitabile dove sorge la chiesa settecentesca della “SS. Annunziata”. Vi sono entrato con il bambino e mia moglie che portava sul capo un fazzoletto  di seta rosa e azzurro. Ada sembrava quasi una pacchianella del posto, dai lineamenti, però, meno marcati, più dolci, dalle movenze più delicate. L’ho guardata mentre pregava: muoveva le labbra velocemente tenendo le mani congiunte poggiate sulle gambe e lo sguardo fisso all’altare. Nulla la distraeva! Certo, non come me che guardavo la gente entrare, uscire, deambulare presso gli altarini laterali. Mentre l’ “Ave Maria” del “Santo Rosario”  risuonava in coro sommesso, un uomo anziano grande e grosso che a malapena si reggeva  con un bastone di canna, rispondendo alle preghiere, aveva acceso due ceri e li aveva “appizzati” con delle apposite pinze ai piedi di una statua colorata di S.Antonio. Col tremolio della fiamma gli occhi della statua brillavano, ed il volto ceruleo rifletteva l’incessante danza del fuoco delle candele  dabbasso. 

Una vecchia, vestita completamente di nero, era rannicchiata poco più avanti di noi. Ingobbita, con la testa declinata quasi sulle gambe, farfugliava preghiere incomprensibili in latino maccheronico. In ultima fila una suora, brutta come la peste, magra e dritta come una mazza, dietro un paio di occhiali da miope sbirciava torvamente con aria di rimprovero proprio me che mi giravo e rigiravo senza riuscire a trovare la concentrazione necessaria per distogliermi dalle terrene cose.

Quando è entrato il prete per dir messa, ci siamo tutti alzati in piedi. Io, invero, non so mai quando alzarmi e quando sedermi durante le celebrazioni, quindi, con la coda dell’occhio sinistro osservavo i movimenti di Ada, espertissima in tale ufficio. Il prete era basso e rotondetto, con la faccia seria proprio da prete e due palle rosse sulle gote, tanto accese da sembrare che qualcuno, poco prima, l’avesse preso a schiaffi. Ho avuto la sensazione che egli, tra tante persone, guardasse proprio me. Il suo sguardo era interlocutorio, come se volesse chiedermi qualcosa ma non osasse farlo. Non mi aveva mai visto neanche di passaggio, anche perché in quella frazione di Agerola  ci andavamo raramente, e in quella chiesa, poi, non c’eravamo mai stati.

Mentre guardavo il sacerdote dir messa, ad un tratto, un’improvvisa ventata, facendo sbattere i portali interni, ha smorzato in un sol colpo tutti i ceri. Un istante dopo tutte le altre luci si sono spente e l’intera chiesa è piombata nel buio. Non ho visto più niente intorno a me, persone e cose erano come dissolte nel nulla. Poi una luce ha invaso la navata centrale assumendo la forma di una grande croce fluorescente ed ha illuminato l’altare ed il prete, la cui faccia ha cominciato a tremare e, scuotendosi, ha perduto i connotati divenendo un volto liscio come un uovo. Senza occhi e bocca, egli rideva e vedeva! Nel fragore di un’oscena risata, ha infilato le mani sotto il copertino merlettato dell’altare e vi ha estratto una spada. Impugnandola con entrambe le mani l’ha sollevata in aria e, divenendo tutt’uno con essa, ha cominciato ad allungarsi a dismisura fino a toccare la cupola. Poi ho sentito qualcuno tirarmi: era mia moglie. Ho sognato tutto! Il prete era lì, bello e giocondo:- Questo è  l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo…-diceva, e sollevava il calice con le ostie per la comunione. La chiesa era normalmente illuminata e la navata non aveva alcunché di anormale. Ho tossito due o tre volte, mi sono girato a guardare la monaca, poi la vecchia ingobbita e l’uomo grande e grosso che per un istante ha ricambiato il mio sguardo: erano tutti in ginocchio per la consacrazione delle ostie. Così anch’io mi sono inginocchiato, coprendomi il viso con le mani. Ho delle allucinazioni! Mio Dio, sto diventando matto! Forse mi sto lasciando troppo prendere la mano da avvenimenti che non so spiegare, forse sono stanco! Che ridere! E’ proprio per questo che sono qua. Io, commercialista instancabile, al lavoro nel mio studio anche più di dodici ore al giorno, accerchiato ed affranto continuamente da  bolle e fatture, oggi farnetico di arcani accadimenti che sembrano avermi coinvolto totalmente per motivi che mi sono tuttora ignoti.”

  20 Agosto

“ Sono terrorizzato! Dopo tre giorni di assoluta calma durante i quali non è accaduto assolutamente nulla, questa mattina (nel momento in cui scrivo sono le sette), pochi minuti fa, ero a letto che dormivo tranquillamente. Davo le spalle a mia moglie e, inavvertitamente, col gomito destro ho urtato un corpo contundente, tanto da farmi male. A tentoni, nella penombra, senza voltarmi,  ho cercato con la mano per capire che cosa avessi colpito, e mi è capitato di tastare una liscia superficie di legno. Mi sono girato ed ho visto che si trattava del manico di un fucile imbracciato da un soldato che, armato di tutto punto, con elmetto, cartucciera e baionetta alla cintura, sedeva sul letto al posto di mia moglie. Sono balzato giù come un gatto, andando a rotolare in un angolo della stanza! Ho tentato di gridare, ma non mi usciva la voce, di fuggire, ma ero paralizzato. Poi, strisciando a fatica, sono passato accanto al lettino del bambino che dormiva tranquillamente: il suo respiro era regolare, pacato, in contrapposizione al mio. Ho anche sentito la voce di  Ada provenire dal nostro letto e chiedere con un tono impastato di sonno: -Chi è, cosa c’è?-. A malapena sono riuscito a trascinarmi fuori, ed ora sono qui, in quest’altra stanza, a scrivere dell’accaduto. Lui è ancora di là, ne sento la presenza, ne avverto l’odore fetido di urina…”

 
21 Agosto
“Con la mano tremante ho sferrato un colpo sul foglio di questo diario ed ho fracassato la biro! Solo allora, ieri mattina, sono riuscito a gridare facendo accorrere mia moglie e svegliando di soprassalto il bambino.

- Cosa c’è? Cosa è successo?- mi ha chiesto Ada:- Sei pallido,

tutto sudato…Cos’è quella roba che hai lì davanti? (Si riferiva a questo diario). Fa vedere…-

Le ho impedito di leggere le cose incredibili che mi stanno capitando per non preoccuparla, per non essere preso per pazzo, ma ho la sensazione, da uno sguardo che Ada ha lanciato al quadernetto, che magari vorrà farlo poi in mia assenza. Ho deciso così di nascondere il diario in una borsa nell’armadio. Non voglio che legga, non voglio!

- E’ il caso di sentire un medico.- mi ha detto: - Non hai una buona cera, sei stravolto come se avessi visto il diavolo in persona. E’ proprio il caso di sentire un medico, capito?!-.  Così dicendo è rientrata nella stanza da letto per dedicarsi al bambino. Dopo qualche attimo di indecisione, l’ho seguita. Prima di entrare mi sono  appoggiato al muro dietro la porta. La sentivo cantare al bambino:- Sono le sette e tutto va bene…e il lupo non c’è! Il lupo che fa?- Ed il bambino rispondeva con la sua vocina a tono:- Il lupo si veste e fa la pappa...- . Ero in uno stato di tensione tale che quella semplice ed innocua cantilena mi penetrava la mente, le voci si amplificavano e si moltiplicavano: -Il lupo…il lupo…il lupo non c’è…il lupo che fa? Che fa?…- Non so quanto tempo sono rimasto in quella posizione a balbettare qualcosa, forse un minuto, forse dieci, poi sono entrato per vedere…ma non c’era nulla da vedere! Tutto era confortevolmente normale: il letto disfatto, le mie pantofole (una capovolta) menate sotto il comodino sul quale erano poggiati i miei occhiali da sole ed il mio orologio. Un giornale giaceva abbandonato in terra, ed alla parete: un quadretto della Madonna del Rosario. Mentre mia moglie vestiva il piccolo, mi sono automaticamente seduto sul letto ed ho passato la mano aperta sul lenzuolo come per cercare col tatto ciò che non riuscivo a vedere con gli occhi.  Sotto un cuscino ho urtato qualcosa: tastando sembrava un "laccettino". Senza farmi scorgere da mia moglie l’ho tirato fuori: si trattava di una collanina metallica, di quelle usate dai soldati per appendervi la medaglietta di identificazione. La placchetta era quasi del tutto arrugginita, e su di essa appena si leggevano le parole “Reggimento” e “Cassino”. Ho nascosto l’oggetto nel palmo della mano,  e sono uscito frettolosamente dalla stanza per andare a chiudermi in bagno ed avere l’opportunità di esaminarlo meglio. Appena chiusa la porta a chiave, sono stato assalito da conati di vomito: sembrava che l’anima volesse uscire fuori dal corpo. Poi, a fatica, mi sono avvicinato al finestrino, l’ho aperto ed ho respirato l’aria fresca del mattino. Il  senso di vomito mi perseguita, mi sento debole e spossato; ho come la sensazione di vivere in un sogno dove tutto è lecito, tutto è possibile e nulla è sbalorditivo. L’unica cosa di cui sono veramente certo è che avverto intorno a me una sensazione di immane dolore e che vorrei comunicare ad altri: a mia moglie, a mio figlio, insomma a coloro che amo di più.
 

23 Agosto

 
“ Ieri, per non contraddire Ada, siamo andati dal dottore lasciando il bambino alle attenzioni della moglie di don Vincenzo. Per quel che possa servire il parere di un “ generico novellino” della guardia medica turistica, riporto quasi integralmente ciò che ha detto rivolgendosi a mia moglie: -Suo marito ha lavorato troppo! Ha i nervi a fior di pelle. Avrebbe bisogno di un periodo di riposo. Avete fatto bene a venire qui dove c’è aria buona, natura ancora incontaminata e cibo genuino.- Sembrava quasi un agente turistico che volesse sbolognarci un soggiorno-truffa. Ada era preoccupata, e si vedeva: non era affatto convinta della precoce diagnosi del “novellino”. Sul volto le si leggeva il fastidio di essere andata in quel luogo, aver fatto una fila interminabile per poi sentirsi dire quello che le avrebbe detto anche il macellaio o il salumiere.

Durante il breve viaggio di ritorno,  mentre guidavo, lei mi ha guardato più volte con una certa perplessità, ed io ogni volta ne ho incrociato lo sguardo, ne ho letto gli angosciosi pensieri. I nostri occhi si specchiavano gli uni negli altri per qualche attimo; poi tornavo a guardare la strada che veniva verso di me  con le altre auto, con le “corriere”, dall’alto delle quali, i viaggiatori, con gli occhi socchiusi per il sole al tramonto, sembravano scrutare orizzonti inesistenti. Tutto scorreva velocemente: negozi,  case, gente, donnette che parlottavano tra di loro e ridevano, ragazzi che si baciavano,  coppie di anziani che sgambettavano tenendosi sottobraccio. Un cane mi ha attraversato la strada ed ho rallentato per lasciarlo passare, poi ha inseguito abbaiando la mia vettura.

Intanto si era fatta sera. Sono questi i momenti peggiori delle mie giornate: il calare del buio, quando tutto ciò che mi circonda sembra assumere forme diverse da quelle usuali. Allora non si riesce a vedere la fonte dei suoni che l’aria, molto spesso mossa dal vento, trasmette distorti e amplificati. Le ombre si ergono a padrone del mondo e si insinuano nella nostra mente solleticando ancestrali paure che limitano il nostro spirito. E’ allora che sorgono dalle loro tombe i vampiri; che sboccano da scuri boschi i lupi mannari; dalle segrete dei castelli i mostri di Frankenstein; dagli anfratti di antiche regge, agitando freneticamente grosse catene, i malefici fantasmi, invidiosi  dell’ altrui esistenza terrena.  Le loro gesta sono immortalate in un certo tipo di letteratura, nella quale la realtà si confonde con la fantasia  dell’autore. Ma, in un certo senso, anche la realtà è relativa: un oggetto appare diverso secondo come è illuminato, ma può esso essere sostanzialmente diverso? Allora i colori non esistono? Essi assumono gradazioni secondo la loro esposizione luminosa. Il buio pianifica tutto annullando ogni differenza di forma; e di materia? E l’odore fetido di urina non era materia? E le sensazioni che ho provate non mi sono forse state dettate da materia? Immaginazione? Ma può l’immaginazione avere forma, colore ed odore?

Affido a te, caro diario, alla tua assoluta discrezione, queste mie meditazioni, curando di nasconderti bene in quella borsa affinché esse non siano oggetto delle attenzioni di mia moglie e motivo di angoscia. Forse, trascorsa questa vacanza, lasciato questo posto, finirà tutto, ed io ritroverò la mia posatezza nella monotonia e nello squallore dialettico dei libri contabili. “

 
 
25 Agosto
“ Mancano solo sei giorni alla fine di questa vituperata villeggiatura. Fortunatamente dal 20 agosto non è più accaduto nulla. Mi sono fatto forza e, mescolandomi all’innumerevole schiera di vacanzieri, ho anch’io preso a frequentare “pub” e “bar”. Tra questi, vi è un locale che mi è particolarmente gradito: si trova a pochi passi da casa e si beve un ottimo rabarbaro; si gusta un buon gelato alla panna e, soprattutto, si può giocare a bigliardo, mia passione da quando ero ragazzino. Qui ho conosciuto un po’ di  gente: Fra i tanti, ho stretto amicizia con Antonio,  insegnante di Stenografia,  i  suoi tre figli: Marco, Luca ed Adelchi, e sua moglie Antonietta. Si tratta di una simpaticissima famigliola che da tanti anni viene a trascorrere l’estate qui ad Agerola. I giovanotti sono in gamba; buoni giocatori di biliardo, trascorrono molte ore a bocciare “l’otto nero”, la mia specialità sul tappeto verde. Con tutti loro, insieme a mia moglie, ho trascorso finalmente qualche ora di assoluto relax, senza mai accennare a quanto mi sta accadendo, neppure quando Antonio mi ha parlato della “curva degli spiriti”.

- C’è un luogo – mi ha detto – oltre il bivio, fra Pianillo e Santa Maria, che ad Agerola chiamano “curva degli spiriti”. Tu, sarai certamente andato a San Lazzaro, vero? Allora l’hai vista questa curva. Si tratta di una svolta a gomito subito dopo un grande casolare arancione. E’ un posto bellissimo dal quale si può vedere inerpicarsi su a monte il sentiero “Delle Fonti”. E’ pieno di fiori, ed in particolare di enormi girasoli. Si narra che proprio lì fosse accaduto un incidente causato dal poeta Gabriele D’Annunzio insieme a un suo compagno di bagordi. –

- D’Annunzio? E cosa mai poté combinare? –

- Egli non era quel che si dice uno stinco di santo. Gli piaceva vivere bene, fra gli agi e, potendo permetterselo, non badava a spese. Lui doveva cogliere l’attimo fuggente e divertirsi magari anche a discapito degli altri. Bene, una notte, con quel tale suo compagno, organizzò uno scherzo ad un carrettiere credulone che aveva conosciuto per caso in una taverna di Tovere, tra “serte d’aglio” e “caciocavalli” appesi. Il carrettiere stava portando delle botti vuote qui ad Agerola per farne restringere la cinghiatura di ferro che, allentandosi, aveva fatto allargare le traversine. Essendo partito in ritardo da una vigna di Picole, giù in costiera, era giunto qui a notte fatta. Avrebbe pernottato a Campora a casa di un parente ed il giorno dopo si sarebbe recato dal bottaio. Ebbene, D’Annunzio ed il suo compare, avendo saputo che il villico sarebbe di li a poco giunto ad Agerola, si ricoprirono con due lenzuoli e si appostarono dietro un muretto proprio nel gomito della curva. Quando il malcapitato passò, balzarono insieme fuori gridando come forsennati ed agitando le braccia in alto. L’uomo, forse anche un po’ alticcio perché pare fosse un ubriacone, lasciò di colpo le briglie, il cavallo s’imbizzarrì e trascinò la carretta fuori strada facendola precipitare con tutto il suo carico in una scarpata sottostante.  Il poveretto finì schiacciato dalle sue stesse botti, e a nulla valsero i soccorsi portati dallo stesso D’Annunzio, dal suo compare e da altra gente accorsa alle grida. Ebbene, da quella notte, ogni tanto, qualcuno giura di aver visto lo spettro del carrettiere risalire la scarpata oltre la curva.-

Dato i fatti dei quali sono testimone, quel racconto non mi ha fatto alcun particolare effetto, anzi, quasi pensando di avere poteri medianici, proprio questa sera, circa un’ora fa, sono andato alla curva per mettermi alla prova. Non c’era ombra di vento e non si udiva assolutamente nulla. La scarsa illuminazione data da un solo, vetusto lampione elettrico, adagiava in una piatta penombra i cespugli in fiore tra la vegetazione spontanea.  Ho scavalcato il muretto che aveva fatto da riparo sessant’anni prima al D’Annunzio e al suo compare, e mi sono portato ai bordi della scarpata dove era precipitato il poveraccio. Di lato, i girasoli sembravano sentinelle sugli attenti che mi guardavano ritte in silenzio. In fondo, nel vortice scuro, non si riusciva a scorgere nulla. Ho atteso, pensando che qualcosa sarebbe accaduto, ma, a parte il repentino ed improvviso inseguimento fra un cane ed un gatto che mi ha fatto sussultare, non ho più nulla da segnalare.”
 
29 Agosto
“ Sono le tre del mattino, la mia mente è paralizzata dal  terrore ed il mio corpo, completamente ricoperto da terriccio bianco (o chissà che), emette flotte di gocce di sudore. Le dita stringono nervosamente la penna che scrive scorrendo da sola sul foglio, sul quale va a tracciare segni  incomprensibili. Ada mi è accanto in camicia da notte e, con gli occhi sgranati,  mi guarda scrivere. I miei occhi, colmi di lacrime che si impastano con il terriccio bianco di cui le ciglia sono stracolme, riescono a malapena a farmela vedere. E’ dritta dietro di me, vorrebbe allungare le sue mani fino alle mie spalle, ma non osa, vorrebbe dirmi qualcosa ma non sa che dire, che fare.

Tutto è cominciato quando ho incontrato Gilda per le scale che scendeva dal piano di sopra il e mi ha detto: - Ho messo un po’ d’ordine nell’appartamento su. Sa, dottore, la vorrei avvertire che in nottata arriveranno alcuni nostri parenti da Vicenza. Siccome li alloggeremo nella casa di sopra, l’avverto che ci potrà essere un po’ di trambusto per la loro sistemazione. - . Ho sorriso e le ho risposto: - Fa niente! Siamo in vacanza, no? E poi mi fa piacere che...si, insomma, che... quel piano sia abitato... Più siamo in compagnia e meglio è...Siamo in vacanza...-.

La notte stessa,  sono stato svegliato da forti rumori che provenivano proprio da sopra: passi pesanti che andavano e venivano, sedie che erano letteralmente trascinate, mobili spostati...

Mi son detto: - Saranno i parenti dei padroni giunti in nottata da Vicenza. Gilda me ne ha parlato, ma questo sembra...un vero e proprio trasloco.-

I rumori continuarono per un’ora buona. Stavo per scendere giù dal letto ed andare a protestare, quando, di colpo, cessarono. Finalmente mi addormentai, ma col fiero proposito di fare le mie rimostranze il giorno dopo. Durante quel che rimaneva della notte sognai di nuovo la trincea militare. Essa era vuota, squallida, alcuni topacci la percorrevano velocemente per tutto la sua lunghezza. Di tanto in tanto si udivano scoppi di bombe provenire da lontano. Ad un tratto sopraggiunse un soldato. Lo vedevo bene in faccia, era un giovane smilzo dai capelli corvini, con un paio di basette lunghissime e baffetti sottili. Egli correva a fatica nella trincea, ed ogni tanto si girava indietro: sembrava fuggire da qualcosa. Nel vedermi si fermò di colpo, i suoi occhi erano colmi di lacrime, sembrava parlarmi con lo sguardo e dire:- Aiutami!-. D’improvviso si udì il fragore di una gran massa d’acqua che stava per arrivare, preceduta da un odore fetido ed intenso. Era un’onda gigantesca di urina che stava per invadere l’intera  fossa. Procedeva vorticosamente ed in maniera devastante. Un attimo prima che travolgesse il militare, questo protese la sua mano verso di me ed io lo tirai su di colpo.

Il giorno dopo, così come mi ero proposto, ho subito reclamato con Gilda:- Ma che cosa trascinavano di sopra,  i tuoi parenti? Dio mio, pareva uno sfratto? –

-Ma che dice, dottò?- mi fa, stralunata: -Ma di cosa sta parlando? I miei parenti, non sono più arrivati. Hanno telefonato dicendo che avrebbero rimandato la loro visita a fine settembre...-

- Ed allora chi ha fatto tutto quel trambusto?-

- Trambusto?-

- Certo. Si è sentito chiaramente il rumore di sedie che venivano trascinate, mobili spostati, o cosa...-

La ragazza è rimasta un attimo in silenzio, poi sembrava volermi dire  qualcosa, invece ha balbettato solo due parole:- Non so...- ed è tornata alle sue faccende.

La cosa si è ripetuta stanotte. Erano da poco passate le due, quando sono stato svegliato da un fracasso infernale che proveniva dal piano di sopra. Il frastuono era continuo, ma, stranamente, questa volta mia moglie continuava a dormire tranquilla. Sono balzato dal letto e, senza neanche mettere le pantofole, ho percorso a piedi scalzi la rampa di scale che porta al piano superiore. Avevo paura, ma avevo anche voglia di vedere, di sapere. Ho salito quei diciotto scalini col cuore in gola. Quando sono giunto, la porta  mi si è aperta davanti, come spinta dal vento. Quel che mi si parava dinanzi era una camera in penombra, un po’ di luce filtrava da una finestra che si apriva sulla parete di destra. La struttura  era identica a quella dell’appartamento occupato da noi nel piano sottostante: dalla porta d’ingresso si accede direttamente in camera da pranzo. Proprio di fronte c’è un piccolo corridoio che conduce, prima in un cucinino a destra, poi in bagno, subito dopo, ed infine, dirimpetto, in camera da letto. La stanza era in perfetto ordine; non c’era polvere; si avvertiva un forte odore di “chiuso” che mi penetrava fino in gola provocandomi un senso di soffocamento e di vomito. A sinistra, sopra un tappetino sgualcito, c’era un tavolino sul quale erano poggiate delle fotografie di gruppi di soldati, e delle certificazioni mediche: analisi, ricette. A destra, proprio sotto la finestra, deposto su di un piccolo mobile, giaceva un vecchio giradischi con un disco ancora posto sul piatto. Si trattava di  una vecchia canzone cantata da Mina: “Tintarella di luna”. In fondo, sempre sulla destra, c’era una decrepita consolle  sulla quale era poggiato un grande specchio rotto, ed a sinistra, prima del corridoio, un armadietto in ferro, chiuso con tanto di lucchetto. Un vecchio lampadario a “fazzoletto”, senza lampadina, pendeva nella stanza. Attorcigliato al lampadario, ed annodato al gancio nel soffitto, c’era un moncone di corda di canapa. Ho affermato che la stanza era in penombra, e che solo un po’ di luce filtrava dalla finestra: ebbene, strano a dirsi, si trattava di un chiarore che aveva un tono di colore bluastro, ogni tanto sbiancato dal saettare di qualche fulmine per un temporale lontano che man mano stava avvicinandosi. Quella luce pallida balenava sempre  più frequentemente nella stanza,  accendendo le pareti e mostrando per qualche istante, dipinti ad olio di morte nature o desolati paesaggi,  appesi qua e là. Avanzando nella stanza, ho calpestato dei cocci di vetro.  I piedi, trafitti, lasciavano scie di sangue sul pavimento. Il dolore era forte, ma è stato subito dominato da un’intensa sensazione di paura, quando ho sentito la voce di Mina provenire dal giradischi: - “Tin-tin-tin, raggi di luna, tin-tin-tin, baciano te. Al mondo nessuna è pallida come te...- Il  braccio si era mosso da solo e il piatto aveva cominciato a girare. La musica, prima sottotono, poi sempre più assordante, invadeva ora l’intero appartamento:- “Tintarella di luna, tintarella color latte, tutta notte sopra ai tetti, sopra ai tetti come i  gatti...”- . Automaticamente mi sono portato accanto al giradischi. Ne stavo osservando atterrito il meccanismo, quando la finestra si è aperta di colpo lasciando penetrare folate di vento gelido che sono andate a sconvolgere le foto e le altre carte che erano riposte sul tavolo. Lo stesso ha cominciato prima ad ondeggiare, poi a girare su se stesso. I quadri appesi alle pareti sono caduti ad uno ad uno. I cassetti della consolle si aprivano e si chiudevano da soli, come se azionati da misteriose molle. Da un portaombrelli di fianco fuoriuscivano: prima branchi di topi che si diffondevano per l’intero appartamento, poi urina, che zampillava a flotte fin sotto il soffitto e mi ricadeva, orrida e puzzolente, addosso, inzuppandomi tutto. Il lampadario oscillava come se si trovasse a bordo di una nave in tempesta. Il moncone di corda si è via, via allungato fino a divenire un capestro sotto il quale, da sola, è andata a portarsi una sedia.  Poi ho sentito una cantilena che mi diceva:- Mille ostacoli ci vengono dal corpo…Mille volte ci negano la verità, senza dire dell’amore, senza dire della cupidigia, senza dire dei timori, dei fantasmi d’ogni genere. Tutte inezie senza fine che ci tolgono ogni capacità di pensare…Vuoi sapere? Vuoi conoscere? Ecco il mezzo! Una semplice corda ed una sedia...Sali, infila la testa nel capestro, e saprai...-.

Come spinto da una forza sconosciuta, mi sono arrampicato sulla sedia ed ho infilato la testa nel cappio. I mie occhi erano impastati di lacrime  e di urina che, colando dai capelli, mi penetrava nei globi oculari infiammandoli a tal punto che tutto ciò che vedevo ora mi appariva informe e scolorito. Ho dato un calcio alla sedia, La corda si è tesa di colpo ed il capestro mi ha stretto la gola. Mentre le tempie mi scoppiavano, il volto si gonfiava, si gonfiavano le mani ormai paonazze, sentivo un formicolio per tutto il corpo che, man mano, era diventato sempre più gelido. D’improvviso l’imbocco del corridoio è stato inondato da una luce intensissima, spettrale. In essa ho veduto sorgere un’ombra. Ora il temporale era  proprio su di noi:  i tuoni rotolavano  sinistramente e le saette rischiaravano ad intervalli le sembianze dell’ombra. Era lui: il soldato. Una forza misteriosa ha risollevato il mio corpo, la corda si è allentata ed il cappio si è allargato ed ha mollato la presa della mia testa. Sono caduto dalla sedia, e, strisciando affannosamente sul pavimento, sono andato a rannicchiarmi in un angolo della stanza. Il soldato, levitando,  è avanzato verso di me. Quando mi ha sovrastato, l’ho riconosciuto: era lui, quello del letto, quello del sogno. Ormai mi era sopra immobile, in silenzio. D’un tratto il suo volto si è contratto, le sue sembianze si sono alterate e l’intera figura, dapprima si è crepata come una statua d’argilla, poi, sbriciolandosi, è venuta giù su di me, ricoprendomi tutto.”
 

7 Dicembre 1981

 
“Sono trascorsi tre mesi da quella nostra ultima disgraziata vacanza durante la quale, Michele, mio marito, ha manifestato i primi sintomi di quella malattia mentale che lo aveva ormai spinto ad un tentativo di suicidio, e che il dottor Collini, primario della clinica psichiatrica “Villa dei fiori”, dove mio marito è tutt’oggi in cura, ha definito: “mania di persecuzione”. Il dottore stesso mi ha pregato di completare questo diario con la mia versione dei fatti per meglio analizzare il caso.

La notte tra il 28 e 29 agosto, verso le tre del mattino, sono stata svegliata da un grande trambusto: era un tonfo di pietre e pietrisco che proveniva dal piano superiore. Ho veduto mio marito che rientrava in casa con i piedi intrisi di sangue, il corpo interamente ricoperto di terriccio bianco, la faccia pallida, stravolta, e dal puzzo si capiva  che si era urinato addosso. Si era arroccato a fatica sul tavolinetto che avevamo in camera da pranzo e, in preda ad una crisi di terrore, scriveva automaticamente su questo diarietto.

Sono corsa di sopra ed ho veduto una stanza completamente diversa da quella descritta da mio marito:non c’era alcuna consolle, ma un vecchio armadio a due ante, un grosso tavolo era accostato alla finestra di destra, niente portaombrelli e neanche l’ombra di un giradischi. Tutto era in perfetto ordine, fatta eccezione per una sedia caduta al centro della stanza sotto il franare di un gancio, al quale era assicurata una corda annodata a capestro. Il gancio aveva ceduto, ed una gran quantità di pietre e pietrisco erano venute giù insieme ad un lampadario, i cui vetri erano sparpagliati un po’ dappertutto. Mio marito, che per le farneticazioni descritte in questo libretto si trovava al piano di sopra, nell’orrendo tentativo di impiccarsi, era stato investito dalla frana di sassi.

L’ho medicato e l’ho aiutato a mettersi a letto, dove ha trascorso un giorno intero in preda a  spasmodica eccitazione  e  forti dolori al collo segnato dai filamenti della corda. Il 31 agosto ho dovuto effettuare da sola tutti i preparativi per la partenza perché lui era assente con l’anima e con il corpo. Era in uno stato vegetativo vero e proprio. L’unico sussulto l’ha avuto quando ci siamo recati nella casa padronale per accomiatarci da don Vincenzo e famiglia, ai quali ho naturalmente taciuto del suo insano gesto. Lo sguardo di Michele è stato subito attirato dal ritratto di un giovane davanti al quale era accesa una lampada votiva:

- Chi è…quel…giovane?- ha chiesto con voce tremolante, ed il padrone: - E’ mio figlio, dottò, già ve ne ho parlato…-

-Ma…non mi avete detto…tutto…-

- Si…per non impressionarvi. Vedete…si ammalò durante il servizio militare. Fu congedato e se ne tornò qui a casa. Su, al secondo piano, trascorreva intere giornate senza mai uscire…-

- Ascoltava musica. – interruppe Gilda: - la sua cantante preferita era Mina. Non faceva altro che mettere “Tintarella di luna” che gli piaceva molto.-

- Per la verità, cercammo di tenergli nascosta la gravità della sua malattia. – riprese l’uomo: - Ma fu tutto inutile…Egli capì di essere condannato a morire poco per volta…Così non ce la fece: si rinchiuse dentro e cominciò ad urlare, a strappare le sue foto, i referti medici, a sfasciare mobili. Noi accorremmo, cercai di buttare giù la porta, ma questa era solida. Quando vi riuscii, lo trovammo impiccato al gancio del lampadario su al soffitto…-. Proruppe in un pianto dirotto e non riuscì più a profferire neanche una parola.

Da quanto c’è descritto in questo diario, si ha la sensazione che mio marito fosse entrato misteriosamente in contatto con entità ultraterrene. In realtà, è molto probabile che qualcuno gliene avesse già parlato prima, e che egli, altamente suggestionabile per sua natura, ne sia rimasto influenzato. Fatto sta che ogni volta che vado a trovarlo in clinica non fa altro che cantarmi “Tintarella di luna” e parlarmi con occhi spiritati della casa del piano di sopra, del soldato, della luce riflessa nella vetrata del casolare di fronte e dell’ombra che andava su e giù nervosamente tra il fruscio delle fronde.”

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 2 utenti e 3150 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Ardoval
  • Antonio.T.