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Capo d'Argine

In una casa sita nella frazione di Capo d’Argine, in comune di Meolo, abitava la famiglia di un fratello di mia madre: Antonio detto Toni, la moglie Elisa e ben dieci figli, cinque maschi (Bepi, Bruno, Guido, Dino e Aldo) e cinque femmine (Maria, Donella, le due gemelle Gabriella e Gina e Pineta). Una vera famiglia patriarcale degli anni Quaranta.
Mio zio faceva il muratore. Era un gran brontolone e malato immaginario. Comunista convinto, ma con un tempietto di Sant’Antonio nel giardino di casa. La moglie, donna magnifica, si doveva arrabattare in tutto quel marasma. Noi, “i trevisani”, passavano molto tempo durante l’estate in quella casa con zii e cugini. Era una specie di villeggiatura in mezzo alla campagna. I ragazzi erano tutti più vecchi di me e avevano già intrapreso delle professioni: barbiere, operaio e muratori. Pure le prime due cugine erano più anziane di me. Solo le gemelle erano mie coetanee e l’ultima un po’ più piccolina.
Onestamente, devo dire che sono sempre stato legato a loro. Mi hanno insegnato a pescare i persici nella “Fossetta”, a riconoscere gli uccelli dal canto, a fare nodi, e la vita semplice in mezzo alla natura. I ragazzi e le ragazze del luogo ci vedevano come “forestieri”. Venivamo da Treviso, città che a loro sembrava una metropoli lontana e inavvicinabile, anche se i chilometri di distanza erano solo venti. Ma a quei tempi ci si muoveva quasi solo con le “corriere” che di solito causavano nausea e conati di vomito. Le automobili erano molto rare, le strade bianche e polverose.
Pure il lavoro dei campi era pesante: gli aratri erano trainati dai buoi, i trattori una rarità. Una dura vita quella del contadino in quegli anni. Eppure si viveva contenti.
Non so ancora come facevamo a starci in quella casa degli zii. In famiglia erano dodici. Noi, quando stavamo anche a dormire, e capitava diverse volte, tre o quattro. Eravamo tanti, ma ci accontentavamo di poco. Bastavano l’allegria, l’amore e la vita all’aria aperta. Sono passati sessant’anni ma sembrano secoli. Quanti passi ha fatto la tecnologia!
Gli zii “se ne andarono” quasi insieme, prima Elisa e poi Toni. Avevano condiviso una vita lunga e penso felice. Avevano perso solo un figlio, Guido, portato via, giovane, da un tumore. Tutti i cugini si erano sposati e vivevano la loro vita. Nella vecchia casa era rimasto solo Checco con moglie e famiglia. Ricordo ancora quando ci furono i funerali di mia zia. Toni era sdraiato su un divano. Quando mi vide, invece di raccontarmi delle sue presunte malattie e chiedermi se avevo dei rimedi portati dalla “città”, mi disse piangendo: tua zia se ne è partita … che resto a fare qui?  Dopo meno di un anno se ne andò anche lui.
Io, come i miei fratelli, sono rimasto legato a quel posto e ogni tanto torno in quella casa di Capo d’Argine, ora dipinta anche con i colori del Milan e sempre con il tempietto di Sant’Antonio. Dal cortile il mio sguardo va nel campo di fronte. Mi rivedo, ragazzino, correre felice nel campo. Risento il cuore battere forte per l’emozione di essere riuscito a pescare un pesce persico o una scardola. Alle mie narici arrivano i profumi e gli odori di quel tempo. E la malinconia mi prende. Saluto i cugini, mi metto in macchina e lentamente punto verso Treviso.
La magia è durata un attimo.
 

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