La breve vita di Grigione | Prosa e racconti | alvanicchio_Girolamo Savonarola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La breve vita di Grigione

Questa sera mi accingo a raccontare una storia legata a doppio filo con la mia vita: un filo flebile di vita che si è intrecciato con il filo della mia vita, fino a formare un sottile ed indelebile collarino ..di ottone.
Chi è il protagonista? Eccolo! Nacque in Abruzzo, una terra felice, celebrata nei più felici canti popolari. Ed anche io sono nato lì, in quei posti. E lì ho assimilato un idioma antico che oggi chiamano dialetto. Quel dialetto che non mi ha mai abbandonato nonostante il sagace sforzo di intere generazioni di maestri.
Ogni anno torno in terra d’Abruzzo, come un orologio svizzero, l’otto agosto. Non ho mai mancato questo appuntamento e non lo mancherò per tutto l’oro del mondo. Parto ogni anno dalla Toscana e, dopo aver attraversato amene valli, maestose montagne e terreni umidi di aratro fresco, giungo ad Alvi, un ameno paese posizionato sul versante occidentale dei monti della Laga.
Un angolo di paradiso custodito dalla non facile accessibilità del luogo; un angolo di paradiso che invita alle lunghe ed estenuanti passeggiate, stancando dapprima il fisico per raffreddare poi ogni bollente spirito.
Così, anche quell'anno ripresi a passeggiare, poi ad un tratto, oibò! Incontro una ragazza seduta su un sentiero boscoso. Chiesi: " Cosa ci fai tu qui ?" La ragazza dagli occhi gonfi di lacrime quasi fino alla cecità, mi rispose in tono sommesso: " Mio padre vuole farmi sposare ed io non voglio" e nel frattempo continuava ad accarezzare un gattino di colore grigio, che teneva tra le mani.
"Scusa, se tu non vuoi sposarti nessuno te lo può imporre" risposi con una certa sicumera. "Tutto facile per voialtri" disse la ragazza;" ma non è così semplice la vita per noialtri!" E dopo aver detto queste cose, la ragazza si alzò di scatto, mi guardò, fece un cenno di inchino con gli occhi e fuggì via, abbandonando il gattino che si rifugiò subito tra i cespugli.
"Cribbio!!" esclamai. Era meglio se fossi stato zitto. Dovevo stare zitto e farmi gli affari mei.
Rintronato da questo insolito evento, passai l’indice ed il pollice sulle mie labbra e continuai la passeggiata. 
Certo! Potevo starmene zitto e mi sarei risparmiato questo triste epilogo.
Tornai a casa pensando al muto singhiozzo della ragazza ed alla cruda realtà delle situazioni paesane.
Ma poi, cena e fumi di vino appannarono la mia mente e mi donarono un sonno ristoratore.
“Alvi” deriva il suo nome dall’alba mattutina, che dona ogni giorno dei colori bellissimi. Avvezzo a questo gioco di colori, mi alzai di buon mattino ed anche quel giorno fu propizio di bei ed indimenticabili colori. Dopo colazione preparai i panini, le bibite, lo zaino, il bastone da passeggio e mi avviai per le mie solite e lunghe passeggiate. 
Girai quasi tutto il giorno e verso sera passai nello stesso sentiero, dove il giorno prima sostava la ragazza triste.
Mi tornò in mente il turbamento nuziale e mi sedetti sopra una pietra. I miei occhi vagavano quasi senza controllo tra la fitta vegetazione, quando, all’inprovviso, scorsero una nidiata di gattini. 
Alcuni di loro, appena incrociarono il mio sguardo, cominciarono a sbuffare.
Guardai meglio e riconobbi il gattino grigio che la ragazza teneva in mano; notai che mi guardava senza sbuffare, ma non dissi niente.
Presi del cibo sopravvissuto al mio vorace appetito e lo lasciai lì, davanti al cespuglio. I gattini non osarono avvicinarsi e protetti dal cespuglio si rintanarono sempre più in profondità. 
Niente da fare, i gattini non uscirono, timorosi che io volessi abusare della loro tenera età. Nel pensare questa cosa mi sentii un miserrimo, misero, misero uomo. Mi voltai dall’altra parte, mi alzai e ripresi il cammino.
In quella breve vacanza, le giornate scorrevano serene una dopo l’altra. Nelle mie diuturne passeggiate avevo preso l’abitudine di passare ogni giorno nel castello di rovi, dove albergavano i gattini. Ma loro niente, non si avvicinavano: non volevano proprio saperne del cibo che distribuivo loro. 
Cibo che, non so per quale arcano motivo, durante la notte scompariva. Continuavo a ricevere solo sbuffi e sguardi intimidatori. Però, lo sguardo di quel gattino grigio sembrava diverso: forse perché la ragazza lo aveva tenuto in mano ed era abituato alla presenza umana. Il gattino grigio continuava a guardarmi senza sbuffare, ma non si avvicinava.
Ohi tu! Cos’hai da guardare? e lo fissai negli occhi. Pensai! Caro Grigione, te ne stai lì nel tuo beato castello di rovi, ed io sono qui che parlo con te con il mio linguaggio muto, desistetti dal pensiero e mi zittii.

C’era ancora un po’ di chiaro, lasciai del cibo per i gatti, mi alzai e tornai a casa. Dopo cena andai nel mio comodo giaciglio: un caldo e soffice lettuccio, animato dal “bruscherio serale” che saliva dalla piazza, per cullare il mio sonno. 
Il “bruscherio” è qualcosa di indicibile per chi non conosce questi posti, è una sorta di ninna nanna antica, che ti culla in un limbo posto sopra i sogni; e su questa ninna nanna mi addormentai.
La mattina successiva mi alzai prima del solito, volevo godermi il piacere di una passeggiata, al freddo tepore estivo dell’alba di Alvi.
Prendo lo zaino e quel giorno faccio il percorso montano al contrario; così, di buon mattino mi ritrovo davanti al cespuglio dei gatti. Non volevo fermarmi, ma poi vidi il Grigione e mi sedetti sul solito sasso.
Quasi pietrificato, per un attimo fissai lo sguardo sul gatto. Mi ricordai che nello zainetto avevo una scatoletta di tonno, la presi, l’aprii e sbriciolai con pollice e indice un po’ di tonno al Grigione. Questa volta il Grigione venne, mangiò il tonno e poi si mise a leccare le mie dita bagnate d’olio, mentre gli altri gattini rimanevano sempre lontani dalla mia persona.
Nei giorni successivi presi l’abitudine di passare ogni giorno davanti ai gattini: “il Grigione era sempre più affettuoso, ora si faceva accarezzare ed emetteva un insolito rantolo quando si strofinava sulle mie gambe”.
La vacanza stava per finire e la mia ultima passeggiata segnò in modo indelebile la mia vita e quella del gattino chiamato “Grigione”.
Il Grigione mi stava aspettando e quando lo vidi pensai: “Quasi quasi lo porto con me, starà sicuramente meglio in casa mia, che in questi aspri anfratti della natura". Presi in braccio il gattino, accorciai la mia passeggiata e tornai a casa.
Il giorno successivo preparai la macchina, sistemai il Grigione in una vecchia scatola di scarpe precedentemente bucata, e mi avviai verso la Toscana.
Giunto a casa cominciarono i problemi: non avevo la preparazione giusta per poter gestire un animale.
Quindi chiusi il gatto in appartamento e chiesi aiuto ad una vicina di casa che, con spirito audace, provvide a svuotare il mio portamonete in un negozio per animali.
Il gattino crebbe bello e armonioso e non lesinava di dimostrare il suo affetto. Ogni giorno, quando tornavo dal lavoro, mi salutava con le sue fusa e non aspettava altro che io mi mettessi sul divano, per dare il meglio di se stesso. 
Era un gatto fantastico, riusciva a camminare come un equilibrista sopra la ringhiera del balcone; non contento cominciò saltare su un muricciolo prospiciente al mio terrazzo, fino a quando non imparò a scendere da solo nel giardino. Notata questa inusitata agilità, gli lasciavo aperta la finestra del terrazzo per le sue scorribande. Così il Grigione invece di aspettarmi in casa, prese l’abitudine di aspettarmi davanti al portone di casa. 
Passarono i mesi ed il “Grigione dal pelo lucido” era sempre più bello. E vi dirò di più! Inorgoglito dal suo aspetto possente e sospinto dalla audace insistenza della vicina, comprai anche un collarino di metallo e lo misi al gatto, con la piastrina di riconoscimento.
Poi arrivò quella fatidica sera: il Grigione non c’era davanti al portone; ed io pensai alla sessualità felina ed al suo vigore. Chissà come, ma nel pensare queste cose mi tornò in mente la ragazza triste che non voleva sposarsi. “Facile per voialtri!" Disse quella ragazza, con amara costernazione. Ed io ricordo ancora quell’espressione. "Chissà cosa avrà fatto quella ragazza" esclamai con voce bassa, quasi sommessa.
Ma, stordito dalla calda giornata di giugno, fui preso da altre faccende domestiche e tutto finì lì.
I giorni passarono in fretta ed io continuavo a non vedere più il Grigione; preoccupato chiesi consiglio a quella gattofila vicina di casa. Anche lei non sapeva niente e mi disse che i gatti conservano sempre una certa indipendenza; che non c’era da preoccuparsi; e che prima o poi il Grigione sarebbe tornato.
Ma una sera, appena tornato a casa, venne a bussare alla mia porta la vicina di casa:"posso salire?" chiese con tono quasi dimesso. "Certo!" risposi, " vieni accomodati". La mia vicina entrò in casa ed appena mi vide disse: “ Sai sulla strada per Lecchi c’è un gatto morto, ho paura che sia il Grigione”. Un tonfo sordo fece perdere al mio cuore un battito: un battito perso dal computo generale dei battiti cardiaci . Questa fu la sensazione che ebbi nell’apprendere la notizia. 
Prendemmo la macchina e ci avviammo verso Lecchi: era lui, era proprio il Grigione o quel che restava di lui; spiaccicato sull’asfalto dove solo il collarino di ottone era rimasto integro: non guardai più di tanto e chiesi alla mia amica se conosceva qualcuno per farlo sotterrare. "Si! " rispose la mia amica, lo chiederò al contadino che abita in quella casa, e voltò lo sguardo; non riuscii a seguirla con il mio sguardo; lei capì e ci avviammo verso casa.
L’otto agosto di quell'anno, come al solito, tornai in montagna, ripresi le mie passeggiate ma non passai più per il sentiero dei gatti. Una sera incontrai di sfuggita la ragazza triste che non voleva sposarsi, aveva in braccio un bambino e sorrideva di fianco al marito: guarda un po’ le vicissitudini della vita, esclamai. Chi doveva stare meglio è morto; chi era triste ora è felice.
Per un attimo pensai al Grigione; pensai al cespuglio di rovi; pensai al voialtri, pensai alla vita migliore e mi abbandonai in un indesiderato ricordo: “il Grigione … non sbuffava”. Chinai il capo e proseguii per la mia strada. Questa è stata  la grigia vita di un Grigione.

 

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