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Conversazioni col Diavolo

Poi venne il Diavolo, e non aveva
i tuoi occhi o le tue mani e s’era
fatto vecchio al punto che sembrava
non avere più nemmeno i domani.
Curvo canuto claudicante infermo
ed esitante, eppur sempre elegante,
sorretto da un bastone da passeggio,
cesellato di smeraldi e sbeccati rubini –
mi tese una mano e farfugliò roco:
“Tu che m’hai invocato, parla chiaro,
e presto! e dimmi che almeno un poco,
se non ciò che vedi o ciò che senti,
il mio nome almeno ti dà ancor tormenti.”
Mosso da pena e da pietà infinita
per quell’amabile vecchietto sdentato,
lo fissai negli occhi umidi e risposi:
“Ahimè, mio vecchio amico, più del nome
Il tuo aspetto temo, così malridotto
e smunto che mi vien da dubitare
tu possa ancora respirar per molto.”
Sulla mia spalla s’appoggio il demonio
allora con incerta mano, e assai tremante
cacciò non saprei dire se un sospiro
o un rantolo. Fece due passi, ansante.
“Lascia ch’io mi sieda,” sbuffò, “che, vedi,
il Male come il Bene non è eterno
e facile è confonder quel che credi,
come scambiar l’estate per l’inverno.”
“Dimmi, Satana, che vuoi da me?” chiesi.
“Parlare un po’: nessuno lo fa più ormai.”
Mi sedetti, sorrisi ed ammiccai, ed egli
estrasse un sigaro, che prontamente accessi.
Tirò una boccata. Tossì. Infine rise,
e vulnerabile tremò per un istante.
Tossì di nuovo e s’acquietò dicendo:
“Questa roba, lo so, mi ucciderà…”,
e mi parve di sentire il fruscio
di milioni di ricordi e rimpianti
in quegli occhi acquitrinosi che fissavano
dinanzi a sé il vuoto, assopendosi.
Silenziosamente, per non svegliarlo,
m’accesi anch’io una sigaretta, e attesi.
Ah! Che tenerezza m’abbracciò il cuore
nel vedere così malconcio quei
che un tempo era del male il Reverendo.
Vedessi un angelo in uguale stato,
ugual pietà non proverei di certo.
Mentre ne contemplavo la figura,
il vecchio scatarrò e si destò di colpo,
contorcendosi in un gorgoglio di spasmi.
Brancolando, tentò di mettersi in piedi,
ma di nuovo s’appoggiò alla mia spalla,
ghermendo la mano che gli tendevo.
“Dunque,” sibilò ripresosi. “Cosa
credi ch’io possa fare a tuo vantaggio?
Desideri giovinezza eterna? Tre desideri?
Ricchezza, donne, potere…che altro?”
Sorrisi e gli dissi: “Davvero mi tieni
in così poco conto? Mio caro amico,
no, non m’accontento. Questa volta
voglio assai di più: questa volta, vedi,
io voglio sapere.” Sogghignò aspro
e mi guardò con sprezzo e rassegnato.
Poi si protese verso me, e porgendomi
l’adunca mano dagli artigli sbeccati,
“Toccami,” disse. E così io feci.
“Io non sono più vero d’un pensiero:
io son quel che ognuno vuol vedere,
e quel che ognuno vuol vedere è vero.”
 

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