Scritto da © Hjeronimus - Mer, 07/01/2015 - 13:19
Il mito e l’estasi barbari
1) Volkerschlachtdenkmal significa letteralmente monumento della battaglia dei popoli (ossia delle Nazioni). La battaglia è quella di Lipsia, 1813, ove il tragico fato di Napoleone si compì nella disfatta della sua armata rivoluzionaria ad opera di quelle imperial-conservatrici. I popoli erano quello francese, con varie componenti polacche, italiane, tedesche eccetera; e quelli degli alleati prussiani, austriaci, svedesi e russi, più componenti di ogni nazione. “Tutto l’universo”, secondo un celebre detto, si schierò contro i napoleonici nella più dura, più sanguinosa, più devastante battaglia mai vista fino ad allora sul campo europeo. Il monumento ne celebrò il centenario, in un Novecento classicheggiante che indugiava oramai allo Jugendstil, cioè al Liberty.
Una specie di gigantesco quadrato si eleva a un centinaio di metri di altezza, al disopra di un parco, davanti a una piscina rettangolare. A guardia dell’entrata, un San Michele mastodontico sorveglia dall’alto dei suoi dieci/dodici metri, mentre ai suoi lati si dipartono le scalee che conducono ai piani alti.
Sopra un giro di spaventose fondamenta, all’interno, poggia la Kripta circolare, badata a vista da una rotonda di templari di pietra, enormi anche loro, che poggiano su facce-pilastri messi a sostegno del piano superiore. Qui si trova una terrazza anch’essa tonda, sui cui quattro lati si assidono altrettante figure colossali (la Forza, la Fertilità, eccetera). Più su ancora, si erge la cupola, dai cui fianchi è possibile raggiungere il vertice, ossia una vertiginosa terrazza finale onde cui gettare uno sguardo su tutta la città. È la rappresentazione pacifica di un amor patrio piuttosto indeterminato, legato com’è a modelli universali e trans-nazionali. Mostra tuttavia nello stile una estetica facilmente riconducibile al fenomeno, emergente in quel momento, del romanticismo visionario del pan-germanesimo.
Nella sua vocazione alla creazione di una Grande Germania, questi tendeva a riscattarne le origini, traendole dalle tenebre gotiche dei Barbari, alla luce visionaria di una maestà imperiale (il Sacro-Romano Impero) tedesca, insignita dell’onere missionario di salvare il mondo. Questa era una Weltanschauung di destra, eppure molti artisti rivoluzionari e socialisti caddero nella trappola di prestare credito, se non altro, alla estetica che la raffigurava. Questa estetica sopravvive ciò nondimeno ancora fra noi e ci corre quasi l’obbligo di gettarvi uno sprazzo di luce sopra.
Ora, l’estetica medioevista, nella sua fragile struttura “dekor”, è necessariamente relativa ad un mondo immaginato, fin dal tempo dell’Ariosto e del Cervantes, ove l’uno con drammaticità e l’altro con ironia, rappresentano un’età mitica in cui affondano le radici del mondo moderno. Ma è appunto mitica. Gli imperatori sacro-romano-imperiali, erano analfabeti. Il loro rutilante armamentario delle successive rappresentazioni, era invece rozzo e primitivo. I Cavalieri erano per lo più briganti che vivevano come animali nella foresta e aggredivano chiunque si fosse arrischiato ad attraversarla. E le foreste erano infestate da lupi e orsi, le strade non esistevano, se non quelle tracciate dai Romani, e la gente era costretta a barricarsi nei feudi- di solito un borgo fortificato da mura e torri, tiranneggiato da un prepotente che, da unico benestante, spremeva dai sudditi tutto ciò che essi potevano faticosamente strappare alla terra. Era questa la reale condizione di quelle origini “favolose”, che difatti Marc Bloch riassunse nella definizione di “età dell’angoscia”.
Tuttavia, nell’affabulazione anamnestica, questa “fabula” si ricollega alle cattedrali gotiche e si immagina quindi una relazione, “visionaria” appunto, con i merli, le guglie, le vetrate delle innumeri, sfavillanti, grandiose cattedrali spuntate qua e là in Europa ai tempi del Gotico Internazionale. Senza accorgersi della discrepanza temporale. Carlo Magno e Re Artù vissero due/tre secoli prima del Gotico. Questo è frutto di una rivoluzione tecnologica, non dello sforzo di una unità mistica, intesa a redimersi mercé un’architettura “celeste”. Quella del Gotico fu una rivoluzione “illuminista”, che era difatti consona al concetto di Rivelazione delle coeve fonti mistico-teologiche. I “gotici” volevano più luce nei discernimenti, così come all’interno delle loro chiese e non un cupo oscurantismo nostalgico di un passato mai esistito.
Questo passato-mai-stato è invece il fatale suggello di un pensiero debole che, dalla notte dei tempi, si pasce di facili fascinazioni culturali, in totale assenza di un qualsiasi spessore intellettuale. Così, una pseudo-cultura, di massima conformista e fondamentalista, fa da corollario “estetico” ai più dissennati deliri di scenari massificati e totalmente insignificanti. Non senza qualche addentellato di quasi-alta cultura, come in Carl Orff (musica), o Oswald Spengler(filosofia), o Christopher Tolkien (letteratura), o Gottfried Benn (poesia). Due di questi, Orff e Spengler, ebbero l’”onore” di conoscere personalmente Adolf Hitler (anche se Spengler ne tornò con la convinzione che Hitler fosse un “fesso”)…
Andiamo ora alla “New-age”: non c’è qualcosa che lega tutto assieme? Per esempio, in uno come il furbastro Dan Brown, non c’è in quella connessione da cartoni animati tra i Templari, la Gioconda e il Graal, tutto il grumo malintenzionato d’interesse e sub-cultura, buono da ammannirsi a masse di frustrati addomesticati onde nutrirli di illusioni spirituali, togliendogli qualcosa dal borsellino? Non c’è forse la falsa cultura, offerta a buon mercato a bocche buone per piegarle a un misticismo a pagamento, che coincide infine con la sete di potere del venditore? Il meccanismo è sempre lo stesso, dai Pre-raffaelliti in poi: negare il Moderno, e quindi la ragione, in virtù di radici di valore allignate nel passato. Un passato mai-stato, come detto, da impastare a richiesta, secondo il capriccio corrente. Un passato rosolato in padella, da offrire alle fiere degli scimuniti, come una specie di panacea alla cultura indigesta, mal-digesta…
Ma il delirio qualunquista volge in catastrofe; la banalità del male trasvaluta nell’incubo sanguinario. Se il riscatto del mio umiliato onore risiede non qui e ora, nella mia condizione presente e reale, di cui sono io il responsabile!, ma in una trascendentale antichità – mai stata -, in un luogo-altro ove dimorano anche gli dèi di tale presunta maestà (per esempio, il Walhalla), necessariamente qualcosa, qualcuno dev’essersi frapposto, interrompendola, sulla linea che collega quegli dèi alla mia divina predisposizione verso loro. Ossia, se sono un fallito, dev’esserci un colpevole… E se i falliti sono cinquanta, sessanta milioni…
È da questa struttura ideale-antropologica che nasce la reinvenzione del passato. Escogitando così un’araldica di un passato magari pure infamante (i Barbari…), ecco che fatalmente ne segue la confezione di un capro espiatorio che se ne accolli appunto l’infamia. E se nella “fabula” ci sono pur sempre i “cattivi”, nella realtà questi bisogna guadagnarseli. Ecco come, nel ventesimo secolo, spuntarono gli Ebrei.
2) La visione “eroica”.
I giganti di questo passato-fantasma affiorano oramai nella mitopoiesi wagneriana. Prima di lui il terreno era già stato preparato dalle fughe oniriche del romanticismo; dal riemergere per esempio di un ideale “gotico” che univa all’amore sconsiderato di un Viollet Le-Duc per le cattedrali (fino a ricostruirle di fatto, in preda ad un febbricitante libero arbitrio, come a Carcassonne), la tendenza macabra – già vista, per esempio in Füssli, o in Friedrich – del “gobbo di Notre-Dame”. Ora, sembra di poter osservare che il filo che lega questi fenomeni all’horror (da cui discende anche il genere “gotico” di cinema e fumetti) si possa ricollegare a quello dell’inversione “sadica” della dialettica laica. Se la rivoluzione (francese) abbatte gli dèi, le barriere del super-io si sgretolano e il soggetto si ritrova completamente arbitro del proprio agire. Dio non punisce, né perdona, perché è diseredato, escluso e spogliato di tali prerogative. E sul singolo ricadono tutti gli obblighi etici che prima demandava al regno celeste. Di modo che può anche ricusarli, o addirittura trasgredirli e calpestarli. Di qui la felicità sadica di compiere delitti, l’inversione dialettica di bene e male. Nietzsche, in quei medesimi fatali decenni si pose al concepimento della “trasvalutazione dei valori”, un concetto in cui il bene, il male e la verità ruotano in circolo intorno al buco nero successivo alla morte della morale. E, una volta morto, ognuno cerca di tirare dio dalla propria parte, come una specie di accessorio esornativo, ma inessenziale.
E sta qui il punto: dio è inessenziale; i concetti un po’ banali che adornano d’allori l’eroismo gotico e barbaro delle origini, sono senza dio. Non ce n’è bisogno all’interno di una retorica sovraumana di rigenerazione, di trasfigurazione. Ossia, questa visione spiritualistica e palingenetica, è coerente al laicismo basso del nuovo mondo borghese. Se il suo laicismo alto prevede una carta del diritto universale dei popoli, quello basso, sadico, non prevede altro diritto che quello dei “birbanti contro le persone dabbene” (Leopardi). Quello degli aguzzini sulle vittime innocenti: Auschwitz… Perciò, questo spiritualismo a buon mercato per bocche buone e teste sterili, che va dallo Jugendstil alla New-Age, è essenzialmente il frutto della destabilizzazione dello spirito, dell’ateismo disinvolto e menefreghista dell’anarco-fascismo, più che di una sedicente resurrezione mistica. È perché dio manca che si innalzano al livello di dio gli pseudo-giganti di una presunta mitica origine dei nostri- di un NOI elevato al livello trascendentale.
“Gott mit uns” (dio con noi) stava inciso sul portale del Volkerschlachtdenkmal. “Noi” stava per i popoli, per le Nazioni, indifferentemente da quali Nazioni. Dio era con “noi”, cioè tutti coloro che da tutte le Nazioni erano intervenuti. pro o contro, nella battaglia di Lipsia. Venne Hitler e rubò l’apoftegma. “Noi”, furono così i Tedeschi. I Tedeschi soltanto. Di modo che i “Barbari” di un tempo si poterono convertire in eroi mitici, “fabbri” iniziatici della germanicità. La scritta, sopra il San Michele, si legge con difficoltà: è in Jugendstil…
Contuttociò, si possono comunque trarre conseguenze meno amare da questa forma di evasione spiritualistica in seno alla laicità contemporanea. Non tutto il romanticismo, lo spiritualismo, lo Jugendstil vanno condannati insieme alla tendenza “satanica” insita in questa revanche contro il pragmatismo borghese. Ripetiamo questo concetto: il gotico era una vittoria della ragione, e della tecnica, sulla difficoltà dell’edificare. Esso rappresentava quindi il senso di una rivoluzione industriale ante-litteram, che aveva segnato un definitivo passo avanti sul percorso del progresso tecnologico dell’umanità. Si deve ricollegare il filo di questa ragione a quello dello spirito innovativo che le correnti spiritualistiche di quel tempo avevano in serbo di introdurre. Non dobbiamo perdere il filo illuminista della traiettoria della ragione. È questo ad aver segnato, per sempre, la volontà di potenza, sia essa artistica, romantica o logico-razionale. La spinta all’indietro della reazione suona come una specie di vendetta sensuale, carnale, emozionale contro l’amara verità disvelata dal Logos, contro la Alethèia. Il frigido mito barbaro, coi suoi richiami a occulte potenze telluriche che segnerebbero dall’eternità il destino “eroico” di un popolo , o di un altro, non coincide che con le traveggole analfabete di chi si arrende all’ovvio- ed è ovviamente l’estetica la locomotrice di questa mistificazione, dacché le processioni “storiche” e i grandi raduni di travestiti alla Asterix..
Wagner era incolto, era questo il suo limite. E l’incultura marchia ancor oggi col suo fuoco d’inferno insapiente le “imprese” mal-destre di destre visionarie e mediocri d’occidente. E rimestare nel brodo eroico di Templari e Vichinghi, di Anelli e Nibelunghi, di Graal, Carmina medioevali e riti celtici- è grottesco!
1) Volkerschlachtdenkmal significa letteralmente monumento della battaglia dei popoli (ossia delle Nazioni). La battaglia è quella di Lipsia, 1813, ove il tragico fato di Napoleone si compì nella disfatta della sua armata rivoluzionaria ad opera di quelle imperial-conservatrici. I popoli erano quello francese, con varie componenti polacche, italiane, tedesche eccetera; e quelli degli alleati prussiani, austriaci, svedesi e russi, più componenti di ogni nazione. “Tutto l’universo”, secondo un celebre detto, si schierò contro i napoleonici nella più dura, più sanguinosa, più devastante battaglia mai vista fino ad allora sul campo europeo. Il monumento ne celebrò il centenario, in un Novecento classicheggiante che indugiava oramai allo Jugendstil, cioè al Liberty.
Una specie di gigantesco quadrato si eleva a un centinaio di metri di altezza, al disopra di un parco, davanti a una piscina rettangolare. A guardia dell’entrata, un San Michele mastodontico sorveglia dall’alto dei suoi dieci/dodici metri, mentre ai suoi lati si dipartono le scalee che conducono ai piani alti.
Sopra un giro di spaventose fondamenta, all’interno, poggia la Kripta circolare, badata a vista da una rotonda di templari di pietra, enormi anche loro, che poggiano su facce-pilastri messi a sostegno del piano superiore. Qui si trova una terrazza anch’essa tonda, sui cui quattro lati si assidono altrettante figure colossali (la Forza, la Fertilità, eccetera). Più su ancora, si erge la cupola, dai cui fianchi è possibile raggiungere il vertice, ossia una vertiginosa terrazza finale onde cui gettare uno sguardo su tutta la città. È la rappresentazione pacifica di un amor patrio piuttosto indeterminato, legato com’è a modelli universali e trans-nazionali. Mostra tuttavia nello stile una estetica facilmente riconducibile al fenomeno, emergente in quel momento, del romanticismo visionario del pan-germanesimo.
Nella sua vocazione alla creazione di una Grande Germania, questi tendeva a riscattarne le origini, traendole dalle tenebre gotiche dei Barbari, alla luce visionaria di una maestà imperiale (il Sacro-Romano Impero) tedesca, insignita dell’onere missionario di salvare il mondo. Questa era una Weltanschauung di destra, eppure molti artisti rivoluzionari e socialisti caddero nella trappola di prestare credito, se non altro, alla estetica che la raffigurava. Questa estetica sopravvive ciò nondimeno ancora fra noi e ci corre quasi l’obbligo di gettarvi uno sprazzo di luce sopra.
Ora, l’estetica medioevista, nella sua fragile struttura “dekor”, è necessariamente relativa ad un mondo immaginato, fin dal tempo dell’Ariosto e del Cervantes, ove l’uno con drammaticità e l’altro con ironia, rappresentano un’età mitica in cui affondano le radici del mondo moderno. Ma è appunto mitica. Gli imperatori sacro-romano-imperiali, erano analfabeti. Il loro rutilante armamentario delle successive rappresentazioni, era invece rozzo e primitivo. I Cavalieri erano per lo più briganti che vivevano come animali nella foresta e aggredivano chiunque si fosse arrischiato ad attraversarla. E le foreste erano infestate da lupi e orsi, le strade non esistevano, se non quelle tracciate dai Romani, e la gente era costretta a barricarsi nei feudi- di solito un borgo fortificato da mura e torri, tiranneggiato da un prepotente che, da unico benestante, spremeva dai sudditi tutto ciò che essi potevano faticosamente strappare alla terra. Era questa la reale condizione di quelle origini “favolose”, che difatti Marc Bloch riassunse nella definizione di “età dell’angoscia”.
Tuttavia, nell’affabulazione anamnestica, questa “fabula” si ricollega alle cattedrali gotiche e si immagina quindi una relazione, “visionaria” appunto, con i merli, le guglie, le vetrate delle innumeri, sfavillanti, grandiose cattedrali spuntate qua e là in Europa ai tempi del Gotico Internazionale. Senza accorgersi della discrepanza temporale. Carlo Magno e Re Artù vissero due/tre secoli prima del Gotico. Questo è frutto di una rivoluzione tecnologica, non dello sforzo di una unità mistica, intesa a redimersi mercé un’architettura “celeste”. Quella del Gotico fu una rivoluzione “illuminista”, che era difatti consona al concetto di Rivelazione delle coeve fonti mistico-teologiche. I “gotici” volevano più luce nei discernimenti, così come all’interno delle loro chiese e non un cupo oscurantismo nostalgico di un passato mai esistito.
Questo passato-mai-stato è invece il fatale suggello di un pensiero debole che, dalla notte dei tempi, si pasce di facili fascinazioni culturali, in totale assenza di un qualsiasi spessore intellettuale. Così, una pseudo-cultura, di massima conformista e fondamentalista, fa da corollario “estetico” ai più dissennati deliri di scenari massificati e totalmente insignificanti. Non senza qualche addentellato di quasi-alta cultura, come in Carl Orff (musica), o Oswald Spengler(filosofia), o Christopher Tolkien (letteratura), o Gottfried Benn (poesia). Due di questi, Orff e Spengler, ebbero l’”onore” di conoscere personalmente Adolf Hitler (anche se Spengler ne tornò con la convinzione che Hitler fosse un “fesso”)…
Andiamo ora alla “New-age”: non c’è qualcosa che lega tutto assieme? Per esempio, in uno come il furbastro Dan Brown, non c’è in quella connessione da cartoni animati tra i Templari, la Gioconda e il Graal, tutto il grumo malintenzionato d’interesse e sub-cultura, buono da ammannirsi a masse di frustrati addomesticati onde nutrirli di illusioni spirituali, togliendogli qualcosa dal borsellino? Non c’è forse la falsa cultura, offerta a buon mercato a bocche buone per piegarle a un misticismo a pagamento, che coincide infine con la sete di potere del venditore? Il meccanismo è sempre lo stesso, dai Pre-raffaelliti in poi: negare il Moderno, e quindi la ragione, in virtù di radici di valore allignate nel passato. Un passato mai-stato, come detto, da impastare a richiesta, secondo il capriccio corrente. Un passato rosolato in padella, da offrire alle fiere degli scimuniti, come una specie di panacea alla cultura indigesta, mal-digesta…
Ma il delirio qualunquista volge in catastrofe; la banalità del male trasvaluta nell’incubo sanguinario. Se il riscatto del mio umiliato onore risiede non qui e ora, nella mia condizione presente e reale, di cui sono io il responsabile!, ma in una trascendentale antichità – mai stata -, in un luogo-altro ove dimorano anche gli dèi di tale presunta maestà (per esempio, il Walhalla), necessariamente qualcosa, qualcuno dev’essersi frapposto, interrompendola, sulla linea che collega quegli dèi alla mia divina predisposizione verso loro. Ossia, se sono un fallito, dev’esserci un colpevole… E se i falliti sono cinquanta, sessanta milioni…
È da questa struttura ideale-antropologica che nasce la reinvenzione del passato. Escogitando così un’araldica di un passato magari pure infamante (i Barbari…), ecco che fatalmente ne segue la confezione di un capro espiatorio che se ne accolli appunto l’infamia. E se nella “fabula” ci sono pur sempre i “cattivi”, nella realtà questi bisogna guadagnarseli. Ecco come, nel ventesimo secolo, spuntarono gli Ebrei.
2) La visione “eroica”.
I giganti di questo passato-fantasma affiorano oramai nella mitopoiesi wagneriana. Prima di lui il terreno era già stato preparato dalle fughe oniriche del romanticismo; dal riemergere per esempio di un ideale “gotico” che univa all’amore sconsiderato di un Viollet Le-Duc per le cattedrali (fino a ricostruirle di fatto, in preda ad un febbricitante libero arbitrio, come a Carcassonne), la tendenza macabra – già vista, per esempio in Füssli, o in Friedrich – del “gobbo di Notre-Dame”. Ora, sembra di poter osservare che il filo che lega questi fenomeni all’horror (da cui discende anche il genere “gotico” di cinema e fumetti) si possa ricollegare a quello dell’inversione “sadica” della dialettica laica. Se la rivoluzione (francese) abbatte gli dèi, le barriere del super-io si sgretolano e il soggetto si ritrova completamente arbitro del proprio agire. Dio non punisce, né perdona, perché è diseredato, escluso e spogliato di tali prerogative. E sul singolo ricadono tutti gli obblighi etici che prima demandava al regno celeste. Di modo che può anche ricusarli, o addirittura trasgredirli e calpestarli. Di qui la felicità sadica di compiere delitti, l’inversione dialettica di bene e male. Nietzsche, in quei medesimi fatali decenni si pose al concepimento della “trasvalutazione dei valori”, un concetto in cui il bene, il male e la verità ruotano in circolo intorno al buco nero successivo alla morte della morale. E, una volta morto, ognuno cerca di tirare dio dalla propria parte, come una specie di accessorio esornativo, ma inessenziale.
E sta qui il punto: dio è inessenziale; i concetti un po’ banali che adornano d’allori l’eroismo gotico e barbaro delle origini, sono senza dio. Non ce n’è bisogno all’interno di una retorica sovraumana di rigenerazione, di trasfigurazione. Ossia, questa visione spiritualistica e palingenetica, è coerente al laicismo basso del nuovo mondo borghese. Se il suo laicismo alto prevede una carta del diritto universale dei popoli, quello basso, sadico, non prevede altro diritto che quello dei “birbanti contro le persone dabbene” (Leopardi). Quello degli aguzzini sulle vittime innocenti: Auschwitz… Perciò, questo spiritualismo a buon mercato per bocche buone e teste sterili, che va dallo Jugendstil alla New-Age, è essenzialmente il frutto della destabilizzazione dello spirito, dell’ateismo disinvolto e menefreghista dell’anarco-fascismo, più che di una sedicente resurrezione mistica. È perché dio manca che si innalzano al livello di dio gli pseudo-giganti di una presunta mitica origine dei nostri- di un NOI elevato al livello trascendentale.
“Gott mit uns” (dio con noi) stava inciso sul portale del Volkerschlachtdenkmal. “Noi” stava per i popoli, per le Nazioni, indifferentemente da quali Nazioni. Dio era con “noi”, cioè tutti coloro che da tutte le Nazioni erano intervenuti. pro o contro, nella battaglia di Lipsia. Venne Hitler e rubò l’apoftegma. “Noi”, furono così i Tedeschi. I Tedeschi soltanto. Di modo che i “Barbari” di un tempo si poterono convertire in eroi mitici, “fabbri” iniziatici della germanicità. La scritta, sopra il San Michele, si legge con difficoltà: è in Jugendstil…
Contuttociò, si possono comunque trarre conseguenze meno amare da questa forma di evasione spiritualistica in seno alla laicità contemporanea. Non tutto il romanticismo, lo spiritualismo, lo Jugendstil vanno condannati insieme alla tendenza “satanica” insita in questa revanche contro il pragmatismo borghese. Ripetiamo questo concetto: il gotico era una vittoria della ragione, e della tecnica, sulla difficoltà dell’edificare. Esso rappresentava quindi il senso di una rivoluzione industriale ante-litteram, che aveva segnato un definitivo passo avanti sul percorso del progresso tecnologico dell’umanità. Si deve ricollegare il filo di questa ragione a quello dello spirito innovativo che le correnti spiritualistiche di quel tempo avevano in serbo di introdurre. Non dobbiamo perdere il filo illuminista della traiettoria della ragione. È questo ad aver segnato, per sempre, la volontà di potenza, sia essa artistica, romantica o logico-razionale. La spinta all’indietro della reazione suona come una specie di vendetta sensuale, carnale, emozionale contro l’amara verità disvelata dal Logos, contro la Alethèia. Il frigido mito barbaro, coi suoi richiami a occulte potenze telluriche che segnerebbero dall’eternità il destino “eroico” di un popolo , o di un altro, non coincide che con le traveggole analfabete di chi si arrende all’ovvio- ed è ovviamente l’estetica la locomotrice di questa mistificazione, dacché le processioni “storiche” e i grandi raduni di travestiti alla Asterix..
Wagner era incolto, era questo il suo limite. E l’incultura marchia ancor oggi col suo fuoco d’inferno insapiente le “imprese” mal-destre di destre visionarie e mediocri d’occidente. E rimestare nel brodo eroico di Templari e Vichinghi, di Anelli e Nibelunghi, di Graal, Carmina medioevali e riti celtici- è grottesco!
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