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La fortuna

Fra poco sarà passato mezzo secolo dalla festa di Woodstock. Una kermesse mistico-musicale destinata a infondere linfe quintessenziali a intere generazioni avvenire, come una specie di carburante che facesse girare il motore del senso, del significato della vita, a pieno regime per migliaia, milioni di giovani intelligenze, armate di un credo, di una speranza, di un anelito di pace per l’inquietudine e la violenza di questa pallina che rotola nell’universo. Una propulsione subito avversata dai moralisti ottusi e da quelli malintenzionati, cioè dai venditori di armi, dai becchini del profitto, dai mercenari d’olocausti. Tutta l’abiezione capitalista si dispiegò contro l’ingenua rivoluzione dei fiori, diffamandola e facendola passare per una debosciata consorteria di sfaticati e di drogati intesi soltanto a gozzovigliare, senza darsi il minimo obbligo di responsabilità. E infine l’ebbero vinta senza neanche combattere. I “divi” della musica Rock vennero cooptati nelle loro fila, trasformati in icone commerciali, affossati e zittiti sotto una coltre di dollari. La loro vittoria però non conveniva ai loro intendimenti e venne da altrove che dal soffocamento del dissenso che lo stesso titolo di pace evocava (peace, love & music). La vittoria del “male” si produsse come fine di quell’aura epica che il vento  hippie aveva soffiato sul destino di intere generazioni (blowing in the wind). E questa fine si manifestò come catastrofe, non lontano da Woodstock. La catastrofe delle Twin Towers, l’undici settembre, l’11. 10. 01- sembra una formula cibernetica. 
Questo evento segnò il totale declino di quell’inconsueto, mite vento pacifista e ciò a cui prelude è appena incominciato ed è a tutt’oggi piuttosto impensabile contro cosa e dove e quando andrà a sbattere. In questo tempo oramai deprivato d’ogni epos, noi abbiamo avuto la fortuna di attraversare gli anni epici della contestazione, della messa in discussione delle strutture violente e inique che regolavano la vita quotidiana tradizionale. Tentando di modificarle, di riformarle, di superarle.
Già, ma allora cos’era questa “fortuna”? Perché diciamo che potemmo disporre e godere della fortuna di Woodstock? Per rispondere a questo dobbiamo compiere un salto di 100 anni.
Proprio un secolo fa (e in Italia se ne celebra il centenario) si aprivano le danze della più grandiosa carneficina sin lì mai architettata dal genere umano. La “grande” guerra spezzava il vaso di Pandora del  presente, dell’evo techné, liberando potenze infernali di cui neanche gli stessi esecutori  percepivano il catastrofico impatto. All’indomani, un mondo allibito e annichilito tirava le cifre dell’assurdo massacro, tentando di rimettere insieme i pezzi insanguinati di un puzzle che una mentalità arcaica aveva sparso, fattispecie sul suolo europeo, in nome della violenza arrogante dei suoi imperi obsoleti e dei suoi rampanti interessi borghesi.
Ma non bastava. Solo vent’anni dopo, al macello del WW1 si fece seguire l’ecatombe allucinante del WW2. Oltre il che, fra le macerie fumanti della vecchia Europa agonizzante, e con l’incubo inchiodato fra gli occhi, una nuova forma di consapevolezza iniziò a frasi strada nelle coscienze di chi ce l’aveva una coscienza. E fu così che al nichilismo rassegnato di quelli che si posero in attesa della disintegrazione nucleare del mondo, si affiancò il rifiuto di quelli che non volevano essere complici del fini-mondo. Nacque la Beat Generation e i giovani del mondo cosiddetto “civile” si raccolsero sotto quel segno di diniego “beat” del filisteismo guerrafondaio del potere.
Si generò così la “fortuna” di Woodstock. Grazie all’irrimediabile senso di colpa del tempo che era riuscito a partorire Auschwitz e Hiroshima, noi, nati subito dopo, potemmo godere della fortuna di un’età messianica, votata all’”amore, pace e musica”, e che durò qualche decennio. Una fortuna breve e ora scaduta, perché se è vero che l’utopia stragista dei carnefici neri era fondata sulle menzogne nevrotiche di un Führer e sull’odio cieco che aveva  iniettato a un popolo intero per trascinarlo in un’avventura sadica e barbara, invertendo e capovolgendo il codice civile dei valori; è pur altrettanto vero che la contro-utopia hippie di un pacifismo gratuito e senza un adeguato correlato critico, era ovviamente soltanto un episodio destinato ad estinguersi.
Tuttavia quella “fortuna” accompagnò gentilmente le nostre giovinezze e noi godemmo di una chance sconosciuta a tutti i secoli precedenti: avevamo potuto vivere i nostri anni migliori senza guerre, senza il rischio di dover ammazzare chicchessia, né il terrore di morire per cause e interessi altrui e avverse alla propria coscienza (nonostante la "guerra fredda" e altri conflitti locali, come il Vietnam). Grazie alla irremissibile colpa dei nostri padri, fummo graziati ed esentati dalla violenza sanguinante della storia, almeno finché questa non rientrò nei suoi consueti, efferati ranghi. E così l’utopia si spense definitivamente all’alba del nuovo secolo, quando altri barbari, dopo i nazisti, si affacciarono sul pulpito, oramai mediatico, del mondo. Non sto parlando di Al Qaeda e dell’attentato di New York, ma di chi trascinò il mondo davanti a quell’ennesima tragedia. Di quelli che, dopo lo scossone del Vietnam, unica guerra persa della Casa Bianca e che i predenti persero a casa loro, in America, grazie proprio alla “contro-utopia” che non voleva essere correa nei piani sciagurati della politica, riacchiapparono le redini del consenso con una specie di controrivoluzione che ricondusse l’ideologia allo stadio precedente. Allo stadio precedente Hitler, quando un affarismo sfrenato portò l’intero consesso umano davanti al crack del 1929. Il bello di questa trappola fu che questa ideologia fu pensata (da Von Hayek) e messa in cantiere (da Thatcher-Reagan) proprio sulla falsariga di una promessa di benessere che avrebbe scongiurato per sempre la miseria e la bancarotta- specialmente dello statalismo. Una promessa puntata sull’individualismo, incosciente del senso di catastrofe iniettato nel proprio DNA. Così la catastrofe arrivò. Era un 11 settembre del nuovo millennio. Laggiù si arenò la fortuna…
 

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