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Lullaby of Birdland

Lunedì mattina, ore 10.43, un ufficio qualunque di una città spigolosa.
Armadio, scrivania, sedia. Debole luce di neon. Nessun rumore che proviene dall'esterno.
In sottofondo Lullaby of Birdland, Charlie Parker e un sassofono che è la fine mondo.
Nell'ufficio ci sono due uomini. Uno è seduto, l'altro sta guardando le pareti spoglie e gli da le spalle.
C'è della muffa in un angolo del soffitto.
Il vero senso della musica sta nelle pause, pensa l'uomo in piedi, in quei silenzi che si riempiono di aspettative. Nell'attesa di ciò che accadrà.
Le pause della musica sono l'impalcatura dell'emozione che si sprigiona dalle note.
Senza quei momenti in cui ti è permesso di tirare il fiato, di renderti conto di cosa stia accadendo, di fare i conti con la tua anima ingarbugliata nei battere e nei levare, non ci sarebbe altro che un lungo suono informe e senza identità.
Non ci sarebbe la musica, insomma.
L'uomo seduto guarda a terra, intravede i suoi piedi tra le gambe. Non sembra annoiato ma è come se al mondo non ci fosse nulla che possa interessarlo. Ha i capelli corti e neri, è grasso e sudaticcio.
È come la fisica quantistica, pensa l'uomo in piedi: l'emozione ci arriva impacchettata in globi di energia sonora chiamati note. E tra l'una e l'altra c'è un'attesa meravigliosa che da il senso a tutto il resto.
Il sassofono di Parker ci da sotto senza tregua, sempre più convinto del fatto suo e all'uomo in piedi vengono i brividi tanto è spettacolare quella musica.
Muove la testa con il ritmo del basso, che come ogni buon basso è impercettibile ma necessario.
L'uomo in piedi si chiama Klaus ma l'uomo seduto non lo sa.
È bello, slanciato, con muscoli allenati e un sorriso storto.
Ora sta sorridendo, e non la smette di guardare la parete.
Se non ci fosse la musica in quella stanza si sentirebbe soltanto un respiro affannato.
Tutta la vita è fatta di pause che danno senso al resto dell'esistenza.
Klaus ne è convinto: anche nel suo mestiere è lo stesso . E' necessario saper aspettare e scegliere i tempi giusti.
Per esempio adesso è il momento dell'attesa, della pazienza.
Il cliente deve rendersi conto lentamente di cosa stia succedendo, per poi sorprenderlo quando meno se lo aspetta.
Questo è la maniera migliore per lavorare: suono, attesa, sorpresa e ancora suono.
Come Charlie Parker, come il jazz, che non sai mai quale accordo ti riserverà e in che modo deciderà di colpirti.
Stai lì ad ascoltare e pensi: quando arriverà?
E l'attesa ti distrugge.
Anche l'uomo seduto pensa la stessa cosa, ma lui non ha in mente la musica.
Quando arriverà? Si chiede mentre il sangue gli scivola dal mento e gocciola sulle scarpe.
Ha un profondo taglio sulla fronte, due lembi di carne aperta verticalmente, una specie di macabro terzo occhio.
Anche il resto della faccia è in pessime condizioni.
Il dolore più lancinante però gli sale dalla mascella. Probabilmente è slogata, forse del tutto disarticolata. Quando lo sconosciuto gli ha infilato a forza una sfera di metallo in bocca gliel'ha aperta oltre la sua naturale possibilità.
Il dolore l'ha quasi fatto svenire, non si è neppure accorto che nella manovra gli si è spezzato un incisivo.
Ora si sta lentamente riprendendo, il dolore si affievolisce ma resta acuto come un ronzio in tutto il corpo. Ma questa non è una consolazione: nel momento in cui quella sfera gli ha sfondato la bocca, in mezzo a tutto il dolore, ha compreso anche un dettaglio fondamentale: non uscirà vivo da quella stanza. Quello che gli è stato fatto è irreparabile: non è una semplice stortura, un osso rotto, una fronte sfregiata, qualcosa che si aggiusta.
Quello è il principio della sua fine e non c'è nulla che lui può fare per salvarsi.
Edesserne consapevole è il peggiore di tutti i mali. L'uomo seduto vorrebbe piangere ma lo sconforto è talmente grande che non gli è concesso neppure quel sollievo.
Con la testa china verso il pavimento non fa altro che chiedersi: quando arriverà?
Ormai sono passati diversi minuti da quando lo sconosciuto gli ha ficcato la sfera in bocca. Nell'aria c'è una musica vivace e allegra: è il suo requiem.
Forse mi lascerà morire così, inizia a pensare. Forse altro dolore gli sarà risparmiato.
Klaus non conosce l'uomo seduto. È un cliente come tanti. Ha ricevuto solo un'istruzione: ammazzalo lentamente.
Sta mantenendo le aspettative.
Aveva deciso di utilizzare la sfera, per finirlo. Si tratta di una versione moderna della pera orale, uno dei più terribili strumenti di tortura medievali. Il suo nome derivava dalla forma, simile al frutto della pera, ed era costituito da due segmenti espandibili, apribili come spicchi girando una leva. I segmenti potevano avere al loro apice una punta acuminata per meglio dilaniare il fondo della cavità. Poteva essere in bronzo, ferro, oppure legno duro.
Veniva introdotta a forza nella bocca, e lentamente espansa fino alla disarticolazione della mandibola.
La sua sfera non è così raffinata, ma il risultato è comunque apprezzabile.
Con la coda dell'occhio Klaus osserva l'uomo seduto. Ha visto l'espressione dipinta sul suo volto decine di altre volte, la stessa di molti suoi clienti.
Rassegnazione.
Charlie Parker è alle prese con un assolo sghembo, fantastico. Sta per arrivare il momento migliore del brano, quello in cui l'artista darà il meglio di sé.
E anche il suo momento è arrivato, la pausa è durata il tempo necessario, l'espressione del cliente ne è la prova.
Ora tocca a lui, a esibirsi con l'assolo.
Dalla tasca Klaus estrae un tirapugni. Se lo infila tra le dita, lo sistema con cura. Non si è ancora voltato: non deve rovinare la sorpresa.
Poi tutto accade con la velocità di un lampo.
Klaus sa esattamente di quanto dovrà allungare il braccio per colpirlo, quanta forza dovrà dare per staccargli la mascella di netto, sradicando le ossa, i nervi e la carne dal volto.
Ruota rapidamente su se stesso, sferra un pugno poderoso, senza pietà.
Colpisce la guancia dell'uomo seduto che si accorge all'ultimo momento di quello che sta accadendo.
Klaus gli legge lo stupore negli occhi quando la pelle si rompe e il dolore lo pervade fin dentro all'anima. Ha ottenuto il risultato che voleva: l'attesa è stata precisa, il suono meraviglioso, l'artista impeccabile.
Suono, attesa, sorpresa e ancora suono. Tutto perfetto.
Charlie Parker manda nell'aria le ultime note del pezzo mentre i denti del cliente volano sul pavimento della stanza e lui cade di lato, andando a sbattere con la faccia al suolo.
L'ultimo cosa che vede è la sua mascella, staccata dal suo volto, a poche spanne da lui.
Un'immagine tanto irreale da sembrare un incubo.
E mentre decide che quello deve essere per forza soltanto un sogno manda anche l'ultimo respiro, proprio mentre l'ultima nota di Lullaby o Birdland vibra nell'aria.
Klaus lo guarda soddisfatto: l'esibizione è stata perfetta.

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