Blog | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Piazzetta virtuale

 agorà

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

Blog

Fammi giocare

quando vado al parco
gioco con gomez
gli lancio lontano
un bastone,
di scatto corre veloce
prendendolo al volo
così gioca felice
per ore.
stanco riposa
sopra i miei piedi
e lo accarezzo
dalla testa alla coda.
nel silenzio dei faggi
ti penso mia musa,
fammi giocare
con i tuoi capelli
come fa il vento,
fatti disfare
la frangetta ribelle,
inventa giochi d'amore.
lancia un bastone
io sarò gomez.
 
renato finotti.

Lacrime

come acqua
acqua che calma si racconta
nel tranquillo veleggiare dei miei pensieri

Di quando valeva la pena e per piovere si faceva il ballo.

Io che avevo un bottone di baco
e una seta di rose rosso ardente.
Un paio di scarpe da clown gialle
e occhiali da sera grandi e scuri.
Una vecchia Olivetti portatile
e un treno già al ritorno.
La tessera del Genoa e un fondo di vin bianco.
Un genio d’amico che suonava al piano
canzoni d’amore senza il do e il fa.
Un vecchio avvocato. Una maniglia segnata,
una bici diabetica, un cumulo, un cirro,
un estratto, un cammello col re Baldassarre.
Mia Nicol dissi e Gioconda rispose.
Mia Wendy, la prima signora... la più bella.
Volavano via i tre moschettieri.
Rin tin tin, il mio jojo, l’azzurro del mare
il sette di coppe e lo sguardo di te
che mi uccidevi il cuore.
Il bosco di note e il tempo che passa.
Una lampada di Aladino
dentro un cappello a cilindro.
Non sapevo che la primavera
durava solo un secondo.
...ma io volevo soltanto scriver la poesia
più bella del mondo.
... Io volevo soltanto scrivere
una poesia...
Ora vi presento la mia nonna Abelarda.
La mia sposa solitaria.
Il padrino che mi sposò.
La legione straniera.
Mio fratello che vende la merce
al mercato ambulante
e Simbad che vende il nipote cantante.
La puttana Carlotta e il suo cane bassotto.
La mia giubba di cotta di maglia
e contro il destino continuo la guerra.
Ma riposa chi sogna nel sogno. 
I bimbi ad esempio,
così quando sogno, fingo anch’io...
Le banche ai conti del business
all’accademia del furto, canto,
del cigno il “Simon delle sirene”
che pianse al monte Calvario.
Se tu volessi sposare il commissario, dissi,
il carro è al ponte e la speranza allo scoglio del mare.
Il si del cane e la demenza. La lista del ricercato
e poi tu, bottiglia di rum a un concerto lontano.
Vuoi sapere la lezione al coma profondo?
Non puoi pensare diverso è la canzone
della barca sul mare. E della foresta incantata
le lacrime a piovere
quando valeva la pena.
E della pagina di una poesia
che parlasse del mondo.
Della penna intinta nell’inchiostro
colato e iracondo…  

E pensare che io che volevo soltanto

scrivere
...la poesia più bella del mondo.

 

Vorrei...

Vorrei gioire nell'attimo che incrocio il tuo sguardo,
vorrei tuffarmi nel tuo cuore avvolto da quell'aura misteriosa..
il vento accarezza i  miei capelli e mi ricordano le tue mani e quando veramente mi stai accanto
tutto quello che vorrei dirti si dissolve nell'aria..
Forse sono troppo immatura per te... forse non sono ancora pronta... ma almeno potevi lasciarmi il tempo di crescere..

Il significato del vento

La Signora

I
Ero rimasto solo nello scompartimento, quando la Signora, che doveva appena essere salita su quel treno, apparve dietro il vetro dello scorrevole e guardò se v’era corrispondenza tra i numeri a fianco della porta e quello della poltrona prenotata, stampato sul talloncino beige che reggeva all’altezza del seno come fosse presbite.
Una volta assicuratasene, appoggiò la mano inguantata dello stesso colore del biglietto sulla maniglia d’ottone e, senza sforzo alcuno, il battente scivolò all’indietro riportandomi per una frazione di minuto alla realtà sonorizzata del marciapiede ferroviario.
Dietro il finestrino del corridoio un signore biondo grigio, alto e corpulento, sbarbato perfettamente, dopo averla baciata sulla guancia, si stava chinando a raccogliere la valigia della moglie, di cui potevo scorgere solo il cappellino fiorito ed una sezione del viso.
Anche la donna appena entrata indossava un cappello, a tese larghe, color sabbia come i guanti, che si intonava deliziosamente con il tailleur nero fumo che finiva sotto le ginocchia. Dallo stesso pendeva un velo che poteva solo farmeli indovinare, i lineamenti del viso.
Mi alzai, arrossendo leggermente per non essere stato pronto come avrei invece voluto, e con lo sguardo chiesi il permesso di poterle alloggiare la valigia sulla reticella all’altezza del copricapo. Sedette.
Non era molto alta, direi anzi di statura più bassa di quella media delle studentesse che avevano pochi istanti prima svuotato la cabina, ed i fianchi, pur se strettamente inguainati dalla sottana, mi sembrarono anch’essi un poco ridondanti rispetto ai canoni di snellezza anoressica che già imperava da un decennio.

Era un sogno

 
Ti ha cercato
il vento mia musa
e ti vide in volto,
non aveva parole
eri con altri amori
poi smarrito
si perse nell’infinito
nel grande silenzio
dei cieli.
Il vento ha lasciato
solo polvere
fra le mie dita
e la mia voce
un eco lontano
e gente in riso.
Io non credo,
ricordo ieri
le tue ondate di luce,
io ci credo ancora.
Era solo un sogno.
domani rivedrò
il tuo sorriso fine.
 
           Renato Finotti
 
 
 

Il mio nemico

L’acqua del fiume scorreva lenta attorcigliandosi in pigri mulinelli, seduto sulla sponda, lo sguardo fisso al niente, attendevo un evento che desse senso alla vita sino allora vissuta. Solo lo sciabordio del fiume teneva desti i miei sensi. Non so quanto tempo ho trascorso così, sulla riva di quel fiume. I mulinelli inghiottivano i cadaveri dei miei anni ormai consunti ed erosi ma attendevo, sicuro che il nemico di lì a poco sarebbe passato. Lo vidi arrivare, finalmente, e lo seguii con lo sguardo: ero io. Soddisfatto lasciai la riva di quel fiume e me ne andai. Ora, seduto sulla sponda di un altro fiume attendo che passi il cadavere dell’ultimo nemico: il tempo.  Ma forse è già passato e non me ne sono accorto.

Ossesse razzie

Anguilla divincolarmi tra umori
tramonti di savana e accenti
di battaglia e buriana
e premerti con mio petto e mie fauci
tra le erbe irrorate
della tua ispida vibrazione
bagnata
pregna di deliri sgrammaticati
appettiti di fauno e di ninfa
d’arsura febbrile
simbiosi elettrica tarantolata
strimpellarti tutta a soggetto
su spartiti di tuoi gemiti celesti
e tue cosce predatrici
dettano leggi cosmiche di nembi
carichi di onda e tuono
pungerti e attraversarti è carità invocata
folate norrene e unniche razzie
su impero di carni pallide in disfatta
dove il fianco è densa crema
dita, lance vi si conficcano
come a tesori di salato sudore
aspersi d’oscene ambrosie divine.

 

Ieri, oggi, domani

 
E’ oggi
che ci diremo,
non domani,
non ieri,
ma oggi, ci ruberemo
tutti i sospiri.
 

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 3 utenti e 5457 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Antonio.T.
  • Ardoval
  • Il Folletto